Mettere la retromarcia
Dovremmo chiederci il motivo per cui il nostro pianeta ha avuto bisogno di 4 miliardi di anni prima di poter essere abitato da noi. Supponiamo infatti di dover popolare l’universo. Se per rendere abitabile un pianeta, ci volesse un tempo così lungo, la cosa sarebbe impossibile o comunque non avrebbe senso tentarla.
In questo momento noi stiamo cercando dei pianeti che abbiano almeno l’acqua, dalla quale si potrebbe ricavare l’ossigeno, cioè la vita. Ma sappiamo bene che la vita non ha bisogno solo di ossigeno. Bisogna porre le condizioni perché essa si possa riprodurre automaticamente, senza intervento umano. La natura ha proprio la caratteristica d’essere indipendente dalla nostra volontà.
In realtà noi siamo lontanissimi dal poter porre le condizioni perché nell’universo si possa formare, su qualche pianeta, una natura del tutto autonoma. Tutto quello che potremmo fare, al di fuori del nostro pianeta, sarebbe di tipo artificiale. Persino sulla Terra non siamo in grado di garantire alla natura una sua riproducibilità del tutto naturale.
Chi pensa, in questo momento, di poter popolare l’universo, nelle condizioni artificiali in cui ci troviamo, perde solo il suo tempo. Occorre prima che la sostanza del nostro essere assuma una nuova forma, adatta a vivere nell’universo.
Al momento possiamo soltanto chiederci come salvaguardare integralmente la natura del globo terracqueo, poiché questo, per permettere a noi di esistere, ha avuto bisogno di una gestazione incredibilmente lunga, tanto che ci vien quasi da pensare a una sorta di unicità in questo “esperimento” dell’universo. Non è possibile pensare che, una volta che il genere umano avrà acquisito la capacità di abitare il cosmo intero, ci voglia un tempo altrettanto lungo per costruire altri pianeti abitabili.
Noi, quando facciamo scienza, possiamo facilmente constatare di non aver bisogno di ripetere tutto il percorso di chi ci ha preceduto. Siamo abbastanza intelligenti da capire che possiamo partire dalle ultime cose che sono già state compiute. Grazie al fatto che abbiamo, in qualunque momento, la possibilità di posizionarci, come nani, sulle spalle dei giganti, possiamo esportare facilmente scienza e tecnica là dove si è ancora all’età della pietra. Il progresso, grazie all’uomo, diventa molto veloce. Può darsi quindi che, quando dovremo realizzare l’obiettivo di popolare l’universo, potremo fare la stessa cosa.
Il problema semmai è un altro. È il criterio di trasmissione del nostro progresso scientifico che andrebbe messo in discussione. Noi abbiamo fatto della scienza e della tecnica l’occasione per distruggere la natura, ponendoci fuori dalle condizioni di spazio-tempo in cui ci è stato chiesto di vivere. Cioè abbiamo voluto dimostrare una nostra capacità di trasformazione che è andata ben oltre i limiti di agibilità che la natura ci aveva consentito.
La natura infatti non può sopportare elementi che minaccino la sua esistenza, tanto più che questa ha avuto bisogno di oltre 4 miliardi di anni per assestarsi e consolidarsi in maniera definitiva. I delicati equilibri che in questo lunghissimo tempo si sono creati, non possono essere violati impunemente, meno che mai se lo vengono oltre un certo limite di estensione o d’intensità.
Quindi dobbiamo aspettarci una sorta di gigantesco meccanismo di autodifesa, che sicuramente ci coglierà impreparati, in quanto non siamo abituati a rispettare l’ambiente in cui viviamo. Scatterà in maniera automatica un allarme rosso, che noi stessi usiamo quando si supera una certa soglia di pericolo. Considerando che abbiamo devastato l’intero pianeta, le conseguenze dovranno per forza essere planetarie.
Se si guardano p. es. i deserti, si ha l’impressione che, piuttosto che permettere all’uomo di continuare a esistere, la natura preferisce, in un certo senso, mutilarsi, cioè tagliarsi il piede incancrenito per salvare la gamba, nella speranza che su quel che resta l’uomo si comporti con più attenzioni e premure.
Noi dunque dobbiamo aspettarci una reazione a catena prodotta da una arbitraria antropizzazione artificiale della natura. Ed è molto probabile che ciò avverrà contemporaneamente su più livelli, come p. es. l’innalzamento dei mari in seguito allo scioglimento dei ghiacciai, artici e non, causato dal surriscaldamento del clima, che provoca temperature e fenomeni atmosferici sempre più fuori norma e che rende l’aria sempre più nociva e irrespirabile; senza poi considerare che l’allargamento del buco dell’ozono può farci ammalare tutti di melanoma.
Se la natura inizia a collassare su aree molto vaste, il genere umano dovrà ridursi sensibilmente di numero. Ma questo, nelle attuali condizioni di particolare antagonismo sociale planetario, può voler dire soltanto portare il livello di conflittualità ai limiti di una nuova guerra mondiale. Noi stiamo andando in quinta, a tutta velocità, quando invece dovremmo mettere la retromarcia.
Quando lo scopo della società contemporanea non è l’uomo ma il profitto ,la antropizzazione può lasciarsi alle spalle solo lande desolate e montagne di immondizia di ogni genere oltre a casseforti piene di materiale cartaceo senza valore.
Se ” la natura preferisce, in un certo senso, mutilarsi, cioè tagliarsi il piede incancrenito per salvare la gamba” spazzerà via senza esitare il marciscente piede ,uomo economico, che ha dato ampia dimostrazione di un disastro su due gambe
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