Essere o non-essere? Il problema del divenire
Che cos’è il non-essere? E’ tutto quello che non è, tutto quello che non riesce ad apparire. Molti pensano che sia così perché in realtà non esiste o comunque non è storicamente realizzabile o sociologicamente rilevante. Chi nega il non-essere pensa che l’essere sia una verità evidente, cioè che una determinata realtà spazio-temporale appaia come legittimamente dominante.
Tuttavia un essere evidente, scontato, è sempre di una povertà etica, politica e culturale disarmante, al punto che i più direbbero non che l’essere in questione è positivo o negativo, favorevole all’uomo o contrario, ma semplicemente che è un dato di fatto, che non può essere messo in discussione, qualsivoglia limite abbia.
Forse qualcuno sarebbe anche disposto ad ammettere che il vero essere è qualcosa di non statico, ma in mutamento, non coincidente con la realtà che oggi si vede. Forse costui lo farebbe sapendo che, in fondo, è più importante il divenire che l’essere, proprio perché se l’essere è negativo, invivibile, non possiamo negargli la speranza di migliorare.
Ma che cosa significa “migliorare”? Il divenire non è una concessione che l’essere fa al non-essere. Infatti il divenire è possibile proprio perché esiste il non-essere, che non è una variante dell’essere, ma una realtà propria, cioè la possibilità dell’opposto o comunque del diverso, il diritto a una alternativa.
La verità non sta nell’essere in sé, ma nel divenire, frutto di un incontro o anche, se necessario, di uno scontro tra essere e non-essere, nel rispetto delle reciproche autonomie. Questa la lezione hegeliana che tutti noi abbiamo appreso sui banchi di scuola.
La verità sta nel suo perenne movimento. Quando si presume che una verità sia evidente, lapalissiana, si sta violando la libertà di coscienza, che ha sempre diritto a pensarla diversamente. Là dove viene negata la diversità, lì esiste una dittatura, foss’anche in nome della democrazia.
Esiste infatti dittatura anche quando al non-essere si offre una formale libertà di parola, che alla resa dei conti, a causa dei vari impedimenti oggettivi, non produce alcun risultato tangibile. La democrazia illusoria dell’essere è appunto questa, che si vuol far credere che il non-essere ha diritto di esprimersi e che se nessuno lo ascolta, la responsabilità è sua: i cittadini, in definitiva, preferiscono l’essere, in quanto lo ritengono un’evidenza ineludibile.
E’ così che lo spessore delle contraddizioni viene ridotto al minimo: tutto viene relativizzato. Quando i politici americani affermano che il bello della loro democrazia è che i poveri non invidiano i ricchi, perché nel loro paese a tutti viene data la possibilità di arricchirsi, esprimono appunto questo relativismo superficiale con cui si affrontano i problemi.
Là dove esiste un irriducibile antagonismo sociale si preferisce vedere una sana competizione, da cui emergeranno i migliori. La competitività è uno dei totem da adorare del moderno capitalismo, il quale, proprio perché “moderno”, tende sempre più a escluderla, a favore di trust, cartelli e monopoli d’ogni genere.
Le corporazioni preferiscono gli accordi sotto banco alle liberalizzazioni, preferiscono tutelare i privilegi acquisiti alle logiche del libero mercato. Quando parlano di laisser faire è solo per contrastare l’autoconsumo, il protezionismo e le nazionalizzazioni o qualunque forma di socialismo. Ma, una volta ottenuta la facoltà di agire secondo i principi del free market, ecco che scattano i meccanismi monopolistici.
La concorrenza viene sbandierata come valore nel momento in cui ci si deve fare largo fra imprese monopolistiche, ma, una volta ottenuto il proprio spazio, immancabilmente lo si nega ai nuovi arrivati. Il capitalismo è un sistema individualistico che, a causa del proprio carattere antagonistico di fondo (tra chi ha e chi non ha), tende a trasformarsi in una casta sempre più piccola di privilegiati dal potere enorme.
E’ l’essere che nega risolutamente il non-essere, rifiuta la dialettica del movimento, il diritto al futuro. L’unica possibilità di emergere in queste condizioni è quella di dimostrare competenze straordinariamente complesse, capacità produttive, commerciali e comunicative altamente specializzate, fortissime aderenze col potere politico, affiliazioni sempre più criminose… Ma anche in questi casi si finisce soltanto per compiere operazioni di tipo quantitativo, cioè per modificare proporzioni, gradi e intensità di un essere che nella sostanza rimane inalterato. Nel migliore dei casi le contraddizioni non fanno che acuirsi.
Nei confronti di un essere del genere, il non-essere non potrà avere molti riguardi.