L’etica in un contesto violento
In una società violenta, ove dominano acuti conflitti sociali, l’etica non può essere disgiunta dalla violenza; nel senso ch’essa può emergere da una riconsiderazione del male che si fa. Come quando p.es. ci si autogiustifica dicendo: “ho fatto la guerra perché ho obbedito al governo o perché mi sembrava fosse il mio dovere”, cioè “sono un eroe perché patriota”; oppure quando si dice: “L’ho ucciso perché era un mostro”, cioè “questo omicidio dovrebbero considerarlo una legittima difesa”; o quando, sotto interrogatorio, si dice: “sapevo ch’erano corrotti, ma non mi sono lasciato coinvolgere”, cioè “dovreste ringraziarmi, invece di dirmi che ho solo pensato ai fatti miei”.
In questi ambienti il tasso di moralità è così basso che appare “etica” anche l’azione che, in un altro contesto, sarebbe stata del tutto naturale o, al contrario, lo sarebbe stato a un livello minimalista. P.es. il fatto di non vendicarsi per un torto subito, dovrebbe essere considerato un normale atteggiamento umano, ma è raro in una società tipicamente violenta, e comunque non è affatto “etico” quando lo si motiva dicendo d’avere “pietà” per l’aggressore, come se fosse un minorato mentale.
La percezione che si ha della moralità, in un contesto di forte violenza, è ridotta al minimo; normalmente anzi si pensa che l’atteggiamento morale sia quello meno adatto a permettere la sopravvivenza. Occorre per forza essere duri, cattivi, sfrontati, stando bene attenti, nel contempo, a non comportarsi come ingenui e sprovveduti, rischiando d’essere ingannati o strumentalizzati da chi è capace di usare la violenza in forme più subdole e sottili.
Questi atteggiamenti si vedono moltissime volte là dove regna la povertà sociale, il degrado ambientale, l’individualismo esasperato, la criminalità più o meno organizzata, piccola o grande che sia.
E’ molto difficile vivere in un contesto di forte violenza e bisogna imparare presto a capire come non farsi schiacciare dagli altri. In contesti del genere i piccoli soprusi, se si è furbi, vengono facilmente minimizzati: si è tolleranti nei confronti delle piccole angherie. Certo, dipende sempre da chi le subisce, poiché se uno ha una certa reputazione da difendere, un certo onore, non fa molta differenza tra piccola o grande offesa: tutto diventa occasione per mostrare quel che si è.
In genere comunque, sapendo bene che non ci vuol molto a reagire in maniera sproporzionata, si sta sempre molto attenti a non compiere inutili provocazioni, a non dire parole di troppo, anche se lo stress, la tensione quotidiana portano invece a comportarsi proprio così, e si spera sempre che l’altro tenga conto di questi pesanti e costanti condizionamenti. Magari si diventa amici dopo essersi presi a pugni.
In contesti come questi vige sempre la regola delle tre scimmie: “se c’ero non ho visto nulla, se ho visto non ho sentito, se ho sentito non ho parlato”.
Se non si è dei boss, si è disposti a tollerare i piccoli sgarri, a meno che questi, sommandosi uno sull’altro, non diventino assolutamente insopportabili. Ecco, è a questo punto che scatta il meccanismo della scelta: diventare un feroce criminale, capace di difendersi sempre con la violenza, anche quella più spietata, nella convinzione che il rispetto altrui diventa proporzionale alla propria ferocia; oppure cambiare mentalità, ribaltando i consueti criteri di vita, approfittando delle tragedie più disumane e cominciando a guardare con occhi diversi anche le situazioni più banali.
Ci vuole una certa maturità per capire che questa seconda strada, per potersi realizzare, ha bisogno del concorso di una collettività. E’ certamente importante che uno dimostri di possedere un senso di responsabilità, ma è ancora più importante che questa responsabilità non lo trasformi in un “giustiziere della notte”, ma semmai in un punto di riferimento per organizzare una riscossa sociale.
Bisogna soprattutto evitare di illudersi che il pianto dei disperati possa indurre al pentimento i capi della criminalità, poiché, se anche qualcuno arriva a pentirsi, vi sarà sempre un altro che lo sostituirà, e che magari sarà ancora più spietato, cominciando proprio a dare l’esempio coi “traditori”.
E’ il sistema delle relazioni sociali che va cambiato, a partire dai rapporti di lavoro. Non c’è criminalità là dove non c’è sfruttamento del lavoro altrui.