Dall’economia alla finanza
Qual è la differenza fondamentale tra economia e finanza? La differenza sta nel fatto che per circa mezzo millennio (ma se guardiamo l’Italia comunale dobbiamo raddoppiare il periodo) il capitale è stato usato per produrre beni industriali (o comunque manifatturieri); oggi invece il capitale come denaro pretende di autogestirsi e di dettare legge anche alla produzione. La moneta, figlia legittima della merce, si sta ribellando contro la propria madre. E una madre severa non può far nulla contro una figlia viziata.
In questo momento le banche, gli istituti finanziari e di credito, gli speculatori di borsa sono i veri protagonisti della vita economica del mondo, sia esso industrializzato o no. Stiamo assistendo a un passaggio epocale, analogo a quello che nel mondo romano portò alla supremazia degli imperatori-generali sul Senato, composto prevalentemente dai latifondisti e da una borghesia arricchitasi con lo sfruttamento delle colonie, gli appalti, la compravendita degli schiavi, l’usura ecc.
La finanziarizzazione moderna dell’economia è iniziata dopo la guerra civile americana, con la prestigiosa ascesa della borsa di New York (1869): da allora l’andamento della borsa è diventato un termometro essenziale dell’andamento delle varie economie. Le principali crisi economiche hanno avuto nella borsa il loro epicentro. La prima fu quella del 1873, seguita dalla crisi del 1890 e da quella del 1907.
Queste crisi contribuirono non poco allo scoppio della I guerra mondiale, la quale, come un effetto domino, portò al crac del 1929, il quale, a sua volta, portò allo scoppio della II guerra mondiale. Gli effetti dei disastri finanziari sono sempre di lunga durata. Alla catastrofe della I guerra mondiale l’unica alternativa che il capitalismo riuscì a porre fu la dittatura dei regimi nazi-fascisti, i quali però, essendo economicamente fallimentari, furono costretti a far scoppiare la II guerra mondiale. E la fine di questa guerra, molto più devastante della prima, comportò la nascita dello Stato sociale, che voleva essere la risposta “borghese” al socialismo statale che s’andava diffondendo nell’Europa orientale, in Cina e in altri paesi ancora.
A partire dagli anni Ottanta i grandi capitali di tutto il mondo hanno iniziato a smantellare lo Stato sociale (deregulation), cercando di porre le condizioni per cui divenga necessario ripristinare l’idea, in nome dell’anticomunismo, di una dittatura militare, che è più facile da gestire sul piano politico e meno onerosa su quello economico. Almeno in teoria. Queste dittature infatti comportano sempre, sia come causa che come effetto, un generale impoverimento della società, cui si cerca di rispondere aumentando la tensione a livello internazionale, cioè subordinando la politica estera a quella militare, nel senso che tutto il peso delle contraddizioni interne viene scaricato all’esterno.
La dittatura, più che degli imprenditori (in mezzo ai quali vi sono livelli di fatturato incredibilmente diversificati), è oggi un’esigenza dell’alta finanza, i cui interessi sono abbastanza omogenei, persino a livello internazionale, per quanto qui la parte del leone venga svolta dagli Usa, che controllano il FMI, la Banca Mondiale, il WTO ecc.
Cos’è che spaventa di più l’alta finanza da indurla a volere la dittatura? Non è forse stato sufficiente il crollo del socialismo di stato per rassicurarla?
L’alta finanza s’è arricchita grazie all’industria, la quale, estorcendo plusvalore ai propri lavoratori, finiva con l’ingrassare soprattutto le banche, che avevano meno rischi delle imprese, anche se una pessima gestione degli enormi capitali accumulati ha poi portato alcune di esse a clamorosi crolli (soprattutto negli Usa), e molte altre le avrebbero seguite a ruota se non fossero intervenuti gli Stati sociali dei vari paesi, i quali temevano seriamente, in caso di crac bancari o borsistici, delle ripercussioni rivoluzionarie.
Gli istituti finanziari si sono trovati a gestire dei patrimoni enormi e, come spesso succede in questi casi, hanno cominciato a fare investimenti sbagliati, oppure a promettere cose che poi non sono riusciti a mantenere (p.es. degli alti tassi di rendimento).
Le banche hanno cominciato a indebitarsi e gli Stati, già indebitati per conto loro, non sempre sono stati in grado di coprire i debiti delle loro banche. Alcune, per quanto imponenti, han dovuto chiudere.
Quando una banca fallisce ci rimettono anzitutto i suoi risparmiatori, e anche coloro che hanno bisogno di crediti (mutui per farsi una casa o per avviare o ristrutturare un’attività produttiva). Gli Stati han cercato di salvare le banche, ma le banche non stanno salvando le imprese, né favorendo la nascita di nuove attività produttive.
La finanza sta usando il debito per ricattare l’economia produttiva e per ricattare anche gli Stati, il cui aspetto “sociale” è sicuramente molto costoso, anche perché gli Stati capitalisti non fanno pagare tasse adeguate ai ceti più benestanti e meno che mai a quelli che possono sfuggire i controlli fiscali.
A livello mondiale la grande finanza si sta accorgendo di alcuni aspetti importanti:
- il Terzo Mondo non è in grado di pagare i propri debiti e, di fronte alle proprie crisi finanziarie, tende a optare per soluzioni che non piacciono al grande capitale (p.es. vengono nazionalizzate le risorse energetiche o strategiche);
- un paese come la Cina sta diventando troppo competitivo, con dei ritmi di crescita impensabili per qualunque paese capitalista (è peraltro il maggiore creditore degli Usa);
- l’euro è una moneta troppo forte e un’Europa troppo unita, che rischi di inglobare anche la Russia, fa decisamente paura agli Stati Uniti. Di qui i continui attacchi speculativi contro i paesi più deboli della Unione Europea, affinché da un loro default si possa ottenere la crisi anche di quelli più forti.
In questo momento solo due paesi possono avere interesse a minacciare la stabilità dell’occidente: gli Stati Uniti, che hanno bisogno di una dittatura militare per sopravvivere, in quanto i loro debiti sono enormi e i loro avversari economici cominciano a preoccuparli seriamente; oppure la Cina, che al cospetto di un crollo del sistema economico occidentale, avrebbe tutto da guadagnare, ponendosi come unica alternativa praticabile. I suoi capitali infatti sono enormi (frutto di un colossale sfruttamento interno di manodopera sottopagata): possono mandare in crisi intere nazioni soltanto usando la Borsa in maniera spregiudicata.
I cinesi hanno il vantaggio di controllare la gran parte del debito americano e di poter gestire i loro capitali in chiave strategica, in quanto l’area pubblica (controllata da un partito unico e da uno Stato centralista) politicamente è dominante rispetto a quella privata. Le decisioni possono essere prese molto in fretta: cosa che nessun paese occidentale può permettersi, in quanto qui la politica è subordinata all’economia e, oggi, l’economia alla finanza.