Fare sistema o uscire dal sistema?

“Fare sistema” o “uscire dal sistema” sono espressioni che sembrano non voler dire nulla al singolo cittadino.

Generalmente tutti noi “facciamo sistema”, pur senza volerlo o pur senza saperlo. Noi tutti esistiamo ereditando un sistema di vita precedente e ne riproduciamo le condizioni della sua sopravvivenza. In tal senso, p.es., anche il proletariato occidentale è co-responsabile dello sfruttamento delle periferie neocoloniali da parte dell’imperialismo statunitense, nipponico ed euroccidentale (a questo imperialismo ora bisogna aggiungere anche quello cinese, che tiene in condizioni sub-umane i propri lavoratori, i cui prodotti possono essere venduti in tutto il mondo a prezzi stracciati).

Per “uscire dal sistema” c’è solo un modo: conquistare il potere politico e condizionare con lo strumento della politica l’attività economica. Il problema è come farlo, cioè non solo come “conquistare” il potere ma anche – ed è ancora più importante – come “condizionare” l’economia, evitando di ripetere tutti gli errori del passato.

La storia della sinistra ha dimostrato che, sul problema della “conquista”, i metodi generalmente sono due: o si conquista politicamente lo Stato dopo aver conquistato culturalmente la società civile, oppure questa si conquista “dopo” aver conquistato quello.

La prima soluzione è detta “gramsciana”, la seconda “leninista”. La prima non è mai arrivata a conquistare alcuno Stato; la seconda vi è riuscita in più Stati, ma è poi sempre stata tradita da una gestione autoritaria del potere.

Dov’è che si sbaglia quando si creano alternative al sistema, ovvero quando la politica vuole condizionare l’economia?

Intanto bisogna dire che la via gramsciana sbaglia nell’illudersi che il passaggio dalla conquista della società alla conquista dello Stato possa avvenire in maniere indolore, cioè in maniera automatica, come una logica conseguenza, una inevitabile necessità. E’ addirittura un errore pensare di poter conquistare una società di tipo “borghese” in maniera “progressiva”, per determinazioni quantitative, senza traumatiche rotture.

Il capitale ha mezzi molto potenti per “imborghesire” la popolazione, al punto che in una società “borghese” si è tutti “corrotti”, inevitabilmente. Per convincersene, è sufficiente vedere quante volte si è venuti meno, proprio durante le rivoluzioni, agli ideali di giustizia sociale.

Da quanto è nato il socialismo, i “momenti forti” in Italia sono stati soltanto il “Biennio rosso”, la Resistenza e il Sessantotto, e ogni volta gli ideali sono stati traditi. E gli altri paesi europei han fatto lo stesso: dalla Comune di Parigi alla Repubblica di Weimar, ecc.

Nell’Europa occidentale non solo è fallita la strategia gramsciana, ma anche quella pre- o filo-leninista di conquista dello Stato, che in genere si presenta quando le crisi sociali sono gravissime e insostenibili, di regola correlate a disastri bellici.

Il socialismo europeo non è mai riuscito ad approfittare delle situazioni favorevoli a una “fuoriuscita dal sistema”, quelle in cui le contraddizioni del sistema esplodono. Nelle società borghesi avanzate, opulente, il socialismo non riesce a spuntarla né in situazioni pacifiche né in quelle disastrate.

Al massimo il socialismo riesce a imporsi nei paesi periferici più arretrati, nei cosiddetti “anelli deboli” del sistema, dove la povertà regna sovrana. Solo che in questi paesi, dopo aver compiuto la rivoluzione, nasce immancabilmente una dittatura. Sicché non si capisce dove stia l’errore.

In occidente il socialismo, nel migliore dei casi, rischia di diventare un puntello del sistema borghese; altrove rischia di negare più libertà di quante ne neghi il capitalismo.

Le strade da percorrere sono altre. “Uscire dal sistema” non può voler dire soltanto attendere passivamente che la sua crisi strutturale giunga a esplodere, ma non può neppure voler dire aiutare il sistema a sopravvivere compiendo singoli aggiustamenti o parziali riforme.

A livello di società civile bisogna uscire progressivamente dalla logica del mercato, entrando in quella dell’autoconsumo, e il giorno in cui s’imporrà l’esigenza di una rivoluzione politica, occorrerà da subito porre le condizioni perché lo Stato venga sostituito dal governo politico della società civile, la quale deve essere messa in grado di autogestirsi.

In Russia la rivoluzione venne tradita nel momento stesso in cui si svuotarono i “soviet” del loro effettivo potere. Non si può affidare a uno “Stato socialista” il compito di abbattere la borghesia, perché poi, dopo che l’avrà fatto, esso non avrà pietà neppure del proletariato.

Bisogna demandare immediatamente alla società civile il compito di liberarsi della mentalità borghese al proprio interno, smantellando progressivamente tutte le funzioni dello Stato.

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