Quando il popolo comincia ad amarsi

Noi cominciamo ad amarci quando l’odio rende impossibile l’amore. Prima che l’odio raggiunga l’apice, c’è rassegnazione, indifferenza, sopportazione del male.

Il popolo comincia ad amarsi quando è stanco di odiarsi per colpa di chi lo governa, per colpa di chi, stando al potere, invece di risolvere i problemi, li crea, li amplifica, li fa incancrenire, rendendoli irrisolvibili.

Noi non riusciamo ad amarci nella normalità della vita quotidiana semplicemente perché non esiste alcuna normalità in cui poter essere davvero umani. La vita è una continua sopportazione dolorosa di sofferenze imposte dai poteri forti.

Non ci si libera di questa servitù se non reagendo in massa, all’unisono, proprio perché chi governa ha sempre gli strumenti per reprimere qualunque istanza individuale o di piccolo gruppo o anche di un grande partito che, di fronte alle forze dell’ordine, resta disarmato. Chi governa, anche se rappresenta un’infima minoranza rispetto a quanti soffrono, è convinto d’avere il potere sufficiente per continuare a dominare.

Il problema è che se si sopporta troppo, se ci si illude di poter sopportare ad oltranza, non si è poi capaci di reagire con la dovuta fermezza. Si finisce nella disperazione della vita isolata, anonima, che si abbruttisce sempre di più.

Dovremmo chiederci il motivo per cui è così difficile esprimere dei sentimenti umani positivi. Se si dicesse perché si teme la loro strumentalizzazione, si finirebbe col dare per scontato che la stragrande maggioranza delle persone esprime più facilmente dei sentimenti negativi; si finirebbe in sostanza con l’accampare dei pretesti. Se affermiamo che la natura umana è più incline al male (come in genere fanno i credenti), il discorso è già chiuso: l’essere umano ha poche speranze (per i credenti nessuna su questa terra).

La verità è che se non si viene educati alla positività (che non è quella sbandierata da chi possiede già tutto), si viene automaticamente educati alla negatività (che è quella di chi, avendo già tutto, fa di tutto per non perdere nulla e anzi per aumentare quello che ha).

Il senso della negatività (sia essa come indifferenza oppure odio) demotiva, avvilisce, diventa un circolo vizioso per i sentimenti umani, che non migliorano mai. Ecco perché per riuscire a vivere la positività del sentimento umano, quando il contesto è intriso di negatività, occorre, in via preliminare, uno sforzo della volontà, una conversione della mente, una modificazione delle abitudini.

La prima regola che ci si deve imporre è quella di lasciarsi condizionare il meno possibile dalla negatività. E’ una vera e propria lotta quotidiana contro la tentazione a comportarsi come gli altri, ovvero a giustificare il proprio comportamento sulla base di quello altrui, che appare prevalente (quante volte sentiamo dire, anche da parte di persone molto autorevoli, che se una certa cosa la fanno gli altri, ottenendo vantaggi tangibili, non si capisce perché la debbano fare solo loro?).

Avendo perduto la naturalezza dei rapporti umani e vivendo in un contesto sociale che ha ereditato dalle generazioni precedenti delle forme di vita caratterizzate negativamente, l’uomo contemporaneo, se vuole uscire da questo vicolo cieco, deve anzitutto fare violenza a se stesso, porsi in uno stato d’animo distaccato dalle mode prevalenti e, nello stesso tempo, con la medesima determinazione, combattere tutte le forme di negatività che rendono opprimente l’esistenza umana, il vivere civile.

La credibilità di un soggetto non sta soltanto nella verità che dice, ma soprattutto nel modo come la vive. La prassi è il criterio della verità. Essere credibili, dal punto di vista della verità, non significa essere accomodanti, minimizzando la negatività, far buon viso a cattiva sorte; significa essere coerenti con le proprie scelte che ai più paiono scomode, e bisogna farlo senza schematismi di sorta, senza fanatismi di maniera. Non si può diventare intolleranti proprio mentre si pensa di aver ragione.

Oggi purtroppo tutte queste cose è lo stesso “capitale” che le dice e semplicemente per accaparrarsi quanti più “clienti” possibili. In questo sistema infatti la positività viene assunta a modello fondamentale di sicuro benessere o di sicuro business. Il successo arride all’ottimista.

Ecco perché è difficile stabilire il luogo della verità e quando si parla di “punto di vista della verità”, si rischia di dire una cosa senza senso. La verità, in realtà, non ha più alcun luogo, se non quello della coscienza personale di ciascuno, che, se resta meramente personale e non diventa collettiva, è la cosa più arbitraria di questo mondo. La verità riposa soltanto nella coscienza degli uomini (al plurale) che la mettono in pratica. Di volta in volta. E guai a pensare che una verità vissuta in maniera collettiva sia di per sé migliore di una verità vissuta a titolo personale.