Sbaglia chi gioisce per l’intervento (ambiguo) della Chiesa contro Berlusconi

Non credo ci sia molto da gioire perché il cardinale Angelo Bagnasco, capo dei vescovi italiani, ha finalmente detto quello che ha detto a proposito del bisogno di “aria pulita”. Premesso che di aria pulita c’è bisogno anche nella Chiesa, e in particolare a Genova visto lo scandalo del prete pedofilo don Riccardo Seppia e visto l’ostracismo anche da parte dello stesso  Bagnasco verso il “prete da marciapiede” don Andrea Gallo, ci sono alcune considerazioni da fare.
La prima considerazione è che il ritardo della Chiesa nel prendere posizione contro il degrado non solo morale che promana dal sistema Berlusconi e annesso stile di vita non è certo un ritardo casuale. E’ da oltre un anno che la Chiesa avrebbe dovuto parlare. Non agli italiani tutti, ma ai suoi credenti. Avrebbe dovuto farlo non appena venuto a galla lo scandalo dei rapporti con la minorenne Noemi di Napoli e avrebbe dovuto rifarlo non appena tracimato il liquame stappato da Patrizia D’Addario&C. Invece la Chiesa era anzi perfino propensa al perdono e alla benedizione pubblica con il cardinale Tarcisio Bertone, segretario di Stato vaticano, accorso all’Aquila alla tradizionale Festa della Perdonanza per, appunto, perdonare e assolvere Berlusconi. Solo la puttanata di Vittorio Feltri su Il Giornale contro Dino Boffo fece saltare la progettata trasformazione della Perdonanza in Puttananza. Continua a leggere

Salvare Israele dal sonno della ragione della sua maggioranza e del suo governo. Tutti ammettono che la lotta contro la nascita dello Stato palestinese è soprattutto per evitare che Israele finisca sotto processo al tribunale internazionale dell’Aja. Così come ormai si ammette che Berlusconi non si dimette solo per paura di finire in galera

Israele e Berlusconi non vogliono essere processati, perché sanno che sono colpevoli e verrebbero quindi condannati. Ciò che colpisce è che ormai quasi tutti riconoscono che il governo di Israele si oppone alla nascita dello Stato palestinese soprattutto per il timore che lo Stato israeliano venga denunciato al tribunale internazionale dell’Aja per rispondere dei suoi vari gravi delitti contro i palestinesi, con il rischio concreto di condanna. Il che equivale ad ammettere che Israele di tali delitti,  contro l’umanità e il diritto internazionale, si è effettivamente macchiato. Colpisce anche l’analogia con il governo Berlusconi: quasi tutti ammettono, a partire dallo stesso Silvio Berlusconi, che non si dimette solo per il timore di finire, giustamente, in galera. C’è bisogno di commenti? No di certo. Mi limito pertanto a pubblicare due articoli esemplari e sorprendenti. Del primo sorprende il fatto che sia stato pubblicato su un giornale italiano, nella fattispecie su Repubblica. Del secondo sorprende che sia stato scritto da un israeliano ebreo, a dimostrazione che l’equazione ebreo=sionista=israeliano e viceversa è assolutamente falsa, come del resto sappiamo molto bene. Checché ne dica il capo dello Stato Giorgio Napolitano,  che tempo fa ha pubblicamente avvalorato tale frottola affermando che oggi l’antisemitismo si traveste da antisionismo. Evidentemente anche Napolitano finge di ignorare che sono semiti anche gli arabi e i palestinesi, e che quindi oggi i veri antisemiti sono i fanatici israeliani come Netanyahu, Barak, Lieberman, Sharon, ecc., nonché i loro potenti sopporters negli Usa con in testa la lobby sionista dell’Aipac.

A tale proposito, è assolutamente sbagliato che si parli di “lobby ebraica”, così come è sbagliato dire che “gli ebrei di New York” hanno tradito i democratici votando in massa per i conservatori  perché contrari alle aperture dei democratici riguardo la nascita dello Stato palestinese. A parte il fatto che tali aperture NON ci sono, se non a chiacchiere, resta il fatto che non di lobby ebraiche si tratta, bensì di lobby sioniste. Sono molti a New York gli ebrei che hanno orrore delle politica israeliana, a partire dal regista Woody Allen, così come è robusta la componente ebraica antisionista in vari Stati degli Usa. L’esempio più eclatante è quello di Noam Chomsky, forse l’intellettuale più importante oggi esistente al mondo. Continuare a parlare di “lobby ebraica”, come fa anche Vittorio Zussoni, è sbagliato e pericoloso anche perché finisce con aizzare le antipatie o gli odi contro gli ebrei in blocco, vizio antico del mondo cristiani di cui è bene fare a meno, anziché contro i responsabili dei soprusi contro i palestinesi, tenendo presente che il sionismo comprende anche, negli Usa, una bella fetta del mondo cristiano. Fetta che è stata per esempio alla base della rielezione di George Bush e molto ha contribuito a spingere per l’invasione dell’Iraq così come oggi spinge per la guerra anche contro l’Iran.
Ma ecco i due articoli. Continua a leggere

La più grande escort (anche) con Berlusconi è la Chiesa, che a fronte di tanta devastazione non solo morale tace e sa urlare solo contro i poveracci alla Englaro. La verità sulla “rivoluzione libica” comincia finalmente a emergere anche sui principali giornali

Che usi avesse lo abbiamo capito al punto da averlo ribattezzato da un bel pezzo Il Chiavaliere, epiteto molto più adeguato alla realtà del titolo di Cavaliere. Ciò detto, salto a piè pari il fetido argomento “Silvio e le donne” per fare invece la seguente considerazione: strano che tutti facciano finta di non accorgersi che dalle intercettazioni telefoniche e annesse azioni risulta chiaro e tondo che NON E’ VERO che Silvio Berlsuconi non interferisce con i suoi giornali e televisioni, NON è cioè quel “mero proprietario” che ai gonzi come Veltroni-D’Alema&C è riuscito a far credere di essere in modo da potersi mettere con il loro volenteroso aiuto la legge sotto i piedi e candidarsi alle elezioni. Con le note conseguenze, sempre più a valanga e per l’esattezza a valanga di merda.
Visto che è ormai assodato che il conflitto di interessi c’è ed è in piena azione, e che invece quella del “mero proprietraio” è solo una presa per il sedere di tutti gli italiani, il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano dovrebbe intervenire d’autorità. Non è vero che non può destituire Berlusconi da primo ministro: il Chiavaliere ha tradito il solenne giuramento fatto al monento di ricevere l’incarico, ha mentito agli italiani, ha tradito l’opinione pubblica, ha tradito e falsificato la realtà in vari campi. Soprattutto, la sua permanenza a palazzo Chigi vanifica i sacrifici, le “lacrime e sangue” che lo stesso Napolitano ci chiede, vanifica il senso di responsabilità che da qualche tempo il capo dello Stato chiede con insistenza a tutti con il paradossale risultato di salvare di Berlusconi  primo ministro, il quale oltretutto sta sputtanando l’Italia a livello planetario. Insomma, il Chiavaliere sta danneggiando gravemente l’interesse generale dell’Italia in più campi, fino a minacciarne il rimanere nell’euro e nell’Eurozona e quindi la stessa unità nazionale. Non so se ciò basti per l’accusa di Alto Tradimento, ma di sicuro ce n’è più che a sufficienza perché Napolitano inviti con fermezza e se necessario anche pubblicamente Berlusconi a dimettersi mettendo sul piatto come aut aut le proprie dimissioni. Di fronte a una mossa come questa Berlusconi sarebbe semplicemente spazzato dalla scena. Non c’è da temere che il parlamento si rifiuti di dar vita a un altro centrodestra, vista la fifa nera che i parlamentari hanno di non essere rieletti in caso di elezioni anticipate. I Responsabili alla Scilipioti non potrebbero certo mostrarsi cosi Irresponsabili da non sostenere un nuovo centrodestra perché se lo facessero confermerebbero clamorosamente che con Berlusconi non erano Responsabili quanto invece semplicemente Venduti.

A fronte di tanta devastazione della morale pubblica e privata nonché della riduzione della donna a semplice “troia”, come le chiamano il fornitore Tarantini di carne fresca e il suo cliente abituale, impressiona il silenzio del Vaticano e della Chiesa, ennesima dimostrazione dell’arte del meretricio nella quale Santa Madre Chiesa eccelle da quasi duemila anni, da sempre escort dei potenti al governo: i 3 miliardi di euro incassati ogni anni dall’imbelle Stato italiano valgono bene questo nuovo caso di prostituzione. Del resto già dopo il caso Noemi, della quale e dei cui genitori è ora più chiaro il tipo di disponbilità verso “papi” Silvio, il Vaticano per mano del segretario di Stato Raffaele Bertone era ansioso di assolvere pubblicamente il Grande Chiavaliere approfittando della festa della Perdonanza a L’Aquila. Ricordate? Quella tradizionale festa religiosa aquilana la ribattezai la Puttananza, e il pornografico abbraccio e bacio in bocca di Santa Madre Chiesa con Berlusconi non venne consumato solo perché, se non ricordo male, Vittorio Feltri  accoltellò alla schiena Dino Boffo, l’allora direttore de L’Avvenire d’Italia, quotidiano dei vescovi italiani, suscitanto l’inevitabile irrigidimento delle gerarchie. La Chiesa fa la voce grossa contro i poveracci alla Englaro e i loro diritti, ma tace vilmente di fronte agli “uomini della Provvidenza” e al denaro. Perfino Manuela Arcuri e Patrizia D’Addario sono delle educande di fronte alla sfacciataggine del meretricio vaticano, che ha degradato il cristianesimo in cattolicesimo papalino, quello che a suo tempo ha dato il disco verde sia al nazismo che al fascismo in cambio di ricchi piatti di lenticchie chiamati Concordato, che decenza vuole venga finalmente abolito anche in Italia anziché ingrassato da puttanieri incalliti.

Cambiamo argomento. Vi propongo in sequenza la lettura di alcuni articoli, a partire da quello di Guido Rampoldi su Repubblica  che a partire dal titolo – I Gattopardi di Tripoli –  smaschera clamorosamente la marea di panzane ovunque addotta per giustificare l’ingiustificabile guerra in Libia. A seguire, un articolo di Franco Venturini sul Corriere della Sera, che dimostra come, incredibile ma vero, l’Italia non sia più un Paese mediterraneo, una lettera di un lettore del Corsera a Sergio Romano e la sua interessante risposta, infine il vergognoso articolo del solito bugiardo Levy Bernard Henri, la cui boria trionfalista a fronte degli altri articoli citati suona per quello che è: pura boria narciso trionfalistica. Continua a leggere

Quando il popolo comincia ad amarsi

Noi cominciamo ad amarci quando l’odio rende impossibile l’amore. Prima che l’odio raggiunga l’apice, c’è rassegnazione, indifferenza, sopportazione del male.

Il popolo comincia ad amarsi quando è stanco di odiarsi per colpa di chi lo governa, per colpa di chi, stando al potere, invece di risolvere i problemi, li crea, li amplifica, li fa incancrenire, rendendoli irrisolvibili.

Noi non riusciamo ad amarci nella normalità della vita quotidiana semplicemente perché non esiste alcuna normalità in cui poter essere davvero umani. La vita è una continua sopportazione dolorosa di sofferenze imposte dai poteri forti.

Non ci si libera di questa servitù se non reagendo in massa, all’unisono, proprio perché chi governa ha sempre gli strumenti per reprimere qualunque istanza individuale o di piccolo gruppo o anche di un grande partito che, di fronte alle forze dell’ordine, resta disarmato. Chi governa, anche se rappresenta un’infima minoranza rispetto a quanti soffrono, è convinto d’avere il potere sufficiente per continuare a dominare.

Il problema è che se si sopporta troppo, se ci si illude di poter sopportare ad oltranza, non si è poi capaci di reagire con la dovuta fermezza. Si finisce nella disperazione della vita isolata, anonima, che si abbruttisce sempre di più.

Dovremmo chiederci il motivo per cui è così difficile esprimere dei sentimenti umani positivi. Se si dicesse perché si teme la loro strumentalizzazione, si finirebbe col dare per scontato che la stragrande maggioranza delle persone esprime più facilmente dei sentimenti negativi; si finirebbe in sostanza con l’accampare dei pretesti. Se affermiamo che la natura umana è più incline al male (come in genere fanno i credenti), il discorso è già chiuso: l’essere umano ha poche speranze (per i credenti nessuna su questa terra).

La verità è che se non si viene educati alla positività (che non è quella sbandierata da chi possiede già tutto), si viene automaticamente educati alla negatività (che è quella di chi, avendo già tutto, fa di tutto per non perdere nulla e anzi per aumentare quello che ha).

Il senso della negatività (sia essa come indifferenza oppure odio) demotiva, avvilisce, diventa un circolo vizioso per i sentimenti umani, che non migliorano mai. Ecco perché per riuscire a vivere la positività del sentimento umano, quando il contesto è intriso di negatività, occorre, in via preliminare, uno sforzo della volontà, una conversione della mente, una modificazione delle abitudini.

La prima regola che ci si deve imporre è quella di lasciarsi condizionare il meno possibile dalla negatività. E’ una vera e propria lotta quotidiana contro la tentazione a comportarsi come gli altri, ovvero a giustificare il proprio comportamento sulla base di quello altrui, che appare prevalente (quante volte sentiamo dire, anche da parte di persone molto autorevoli, che se una certa cosa la fanno gli altri, ottenendo vantaggi tangibili, non si capisce perché la debbano fare solo loro?).

Avendo perduto la naturalezza dei rapporti umani e vivendo in un contesto sociale che ha ereditato dalle generazioni precedenti delle forme di vita caratterizzate negativamente, l’uomo contemporaneo, se vuole uscire da questo vicolo cieco, deve anzitutto fare violenza a se stesso, porsi in uno stato d’animo distaccato dalle mode prevalenti e, nello stesso tempo, con la medesima determinazione, combattere tutte le forme di negatività che rendono opprimente l’esistenza umana, il vivere civile.

La credibilità di un soggetto non sta soltanto nella verità che dice, ma soprattutto nel modo come la vive. La prassi è il criterio della verità. Essere credibili, dal punto di vista della verità, non significa essere accomodanti, minimizzando la negatività, far buon viso a cattiva sorte; significa essere coerenti con le proprie scelte che ai più paiono scomode, e bisogna farlo senza schematismi di sorta, senza fanatismi di maniera. Non si può diventare intolleranti proprio mentre si pensa di aver ragione.

Oggi purtroppo tutte queste cose è lo stesso “capitale” che le dice e semplicemente per accaparrarsi quanti più “clienti” possibili. In questo sistema infatti la positività viene assunta a modello fondamentale di sicuro benessere o di sicuro business. Il successo arride all’ottimista.

Ecco perché è difficile stabilire il luogo della verità e quando si parla di “punto di vista della verità”, si rischia di dire una cosa senza senso. La verità, in realtà, non ha più alcun luogo, se non quello della coscienza personale di ciascuno, che, se resta meramente personale e non diventa collettiva, è la cosa più arbitraria di questo mondo. La verità riposa soltanto nella coscienza degli uomini (al plurale) che la mettono in pratica. Di volta in volta. E guai a pensare che una verità vissuta in maniera collettiva sia di per sé migliore di una verità vissuta a titolo personale.

Il colonialismo non è affatto morto: lo dimostrano la guerra alla Libia, simile alla tragica guerra di secessione del Biafra, e il veto Usa all’Onu contro la nascita dello Stato palestinese (decisa a suo tempo dalla stessa Onu!). Ovvero: dal miserabile fallimento del “Nuovo Medio Oriente” di Bush e del “Nuovo rapporto con l’Islam” di Obama alla “Nuova Libia” di Levy-Sarkozy

Il colonialismo europeo pareva morto. Finita in tragedia con milioni di morti l’occupazione del Vietnam e fallito nel sangue il tentativo della Francia di indorare la pillola nordafricana dichiarando l’Algeria “territorio metropololitano francese”, dichiarando cioè che i due Paesi su sponde opposte del Mediterraneo erano in realtà un Paese unico. Ora invece si scopre che il colonialismo europeo, capitanato proprio dalla Francia, non è affatto morto. L’intervento militare in Libia, stravolgendo ancora una volta una risoluzione Onu, è infatti sempre più chiaramente e scopertamente un’iniziativa francese, e inglese, per poter continuare ad avere dei protettorati e delle colonie petrolifere in Nord Africa. La Francia ha già le mani sporche di sangue di un paio di milioni di nigeriani vittime del suo avere finanziato, armato e appoggiato la secessione del Biafra dalla Nigeria perché nel Biafra c’era il grosso del petrolio nigeriano. Prima di quella tragedia la Nigeria era un Paese in via di forte sviluppo, poi invece si è ridotto all’emigrazione di nigeriane per fare le prostitute in Europa, solo a Torino ce una ventina di anni fa ce n’erano ben 7.000. Ora Sarkozy sta facendo il bis con la Libia.

Non esiste nessuna “rivoluzione democratica” e nessuna “primavera libica”, esistono invece la volontà e l’intervento militare franco-inglese per buttar giù Gheddafi e sostituirlo con un governo più o meno come il suo, ma prono alla volontà di Parigi e Londra. Alla stessa stregua con la quale gli Usa hanno invaso l’Iraq, per mettere in piedi una caricatura di democrazia tenendosi però ben stretti gli accessi, i giacimenti e i privilegi petroliferi. Speriamo che i cinesi o gli indiani non prendano esempio da noi per invadere la Francia o l’Inghilterra o l’Italia per imporre governi e regimi a loro graditi. Continua a leggere

Programma minimo per uscire dal mercato

Porsi contro il denaro oggi vuol dire porsi contro il sistema in cui il denaro, nella sua forma di principale mezzo di scambio, di investimento e di accumulazione, è il fulcro di ogni forma di esistenza, nessuna esclusa. Un tempo il denaro era cosa che riguardava solo la città, non la campagna né la montagna: oggi investe il mondo intero.

Contro il sistema basato sul denaro, sia esso nella forma del capitale o nella forma di semplice mezzo di scambio, esiste un’unica soluzione: l’autoconsumo, cioè consumare direttamente ciò che si produce, senza passare attraverso l’intermediazione del mercato.

Sul mercato infatti il produttore prevale sul consumatore; nell’autoconsumo invece si equivalgono o addirittura coincidono, e là dove si diversificano è solo per cose non essenziali alla propria riproduzione, e quand’anche fossero cose essenziali, il bisogno di averle, tra produttore e consumatore, sarebbe reciproco. Questo perché in luogo del denaro domina il baratto, sulla base del quale entrambi i contraenti conoscono bene il valore delle merci che si scambiano. Sanno bene che il valore di un bene è stabilito dal tempo di lavoro socialmente necessario a produrlo, senza interferenze di prezzi stabiliti dal mercato.

Nell’autoconsumo l’interdipendenza è solo fra produttore e consumatore, mentre quella che ci propone l’attuale sistema è una dipendenza unilaterale del consumatore nei confronti del mercato (e anche quella del produttore minore nei confronti di quello maggiore). Una delle componenti fondamentali del mercato è la borsa valori e cambi, che ancor meno del mercato può essere tenuta sotto controllo. Non solo la finanza marcia per conto proprio rispetto all’economia, ma ha anche il potere di distruggerla.

La comunità locale deve tornare a controllare l’uso dei mezzi produttivi locali, che le permettono di esistere e di riprodursi. Per poter controllare questo uso occorre che essa ne sia proprietaria esclusiva. I mezzi di produzione devono appartenere alla comunità locale.

Tutti i componenti della comunità locale devono chiedersi di cosa hanno bisogno per sopravvivere, senza dipendere dal mercato. La produzione va finalizzata alle esigenze locali. E devono anche chiedersi, nel caso in cui avessero bisogno di qualcosa che non riescono a produrre, se sia davvero essenziale averla, o quale sia il modo migliore per ottenerla, senza arrecare danno alla natura, o quale sia il prezzo che l’autonomia può essere disposta a pagare per ottenerla, senza arrecare danno a se stessa.

Per mettere in piedi una comunità del genere vi sono solo due strade di carattere generale: o si attende che il sistema crolli rovinosamente, e allora saranno gli eventi che in qualche maniera costringeranno a compiere la scelta dell’autoconsumo (e questa è una strada molto dolorosa, già sperimentata, p.es., col crollo dell’impero romano); oppure si comincia subito a riflettere su come creare un’alternativa concreta, uscendo progressivamente dal mercato. Questa è una strada pedagogica, sicuramente molto meno dolorosa, in quanto ci si educa lentamente ma con decisione consapevole, senza particolari traumi (se non quelli artificiosi e pretestuosi della coscienza), nella convinzione che i tempi di realizzo degli obiettivi, a causa di abitudini collettive profondamente sbagliate, saranno sicuramente molto lunghi.

Bisogna partire da una riflessione culturale sui valori della vita, cercando però, nel contempo, di realizzare quelle piccole cose che modificano in maniera tangibile il nostro stile di vita. Noi non dobbiamo comportarci bene per far star meglio il sistema: dobbiamo uscirne, per il bene anche di chi non è consapevole della sua disumanità o della sua incapacità strutturale a risolvere i conflitti di classe, gli antagonismi sociali.

E’ un lavoro continuativo, verso obiettivi sempre più importanti, in rapporto anche al numero di persone che si riescono a coinvolgere.

Per partire bisogna chiedersi anzitutto da dove provengono i nostri alimenti, come vengono prodotti e quante possibilità abbiamo d’intervenire sulla loro produzione e distribuzione. Il consumatore deve cercare il più possibile di stabilire un rapporto organico, non occasionale, coi produttori locali e organizzare, con questi, la produzione e lo smercio dei beni per la comunità locale. Il produttore deve sapere in anticipo ciò di cui la comunità locale ha bisogno. Produrre esclusivamente per realizzare profitti è immorale e chi lo fa va estromesso dalla comunità locale.

Bisogna inoltre verificare se tutto quello che in questo momento stiamo usando è di fondamentale importanza per la nostra esistenza e se non è assolutamente sostituibile da nient’altro. Bisogna informarsi sulle possibili alternative praticabili. E’ noto infatti che a parità di qualità costa di più un prodotto reclamizzato o di marca. E se anche la qualità non è identica, bisogna abituarsi a considerare i vantaggi sociali, che non sono immediatamente quantificabili. Siamo p.es. abituati a mangiare frutta senza imperfezioni esterne, pur sapendo che una frutta del genere è stata trattata con sostanze cancerogene.

Pensiamo soltanto all’uso dei dispenser che sostituiscono i contenitori di plastica o di vetro che ogni volta acquistiamo quando il loro contenuto è finito: dall’acqua al vino, dal latte all’olio e all’aceto, dai saponi ai detersivi. Non è solo una questione di risparmio: è anche un modo per dire basta ai produttori di contenitori usa e getta, all’inquinamento dell’ambiente. E’ un modo per far capire al sistema che il consumatore vuole interagire col produttore, obbligandolo a fare scelte eco e socialmente compatibili.

La raccolta differenziata dei rifiuti non ha senso se, a monte, non si modificano delle abitudini sbagliate, dettate da logiche di mercato.

Ma pensiamo anche all’uso dei medicinali, in cui la chimica ha completamente sostituito la fitoterapia, una scienza durata non migliaia ma milioni di anni.

E che dire di quella incredibile tragedia che abbiamo arrecato alla natura sostituendo gli orologi a carica manuale con quelli a pila?