La principale contraddizione dell’impero romano d’occidente
Lo svolgimento dell’impero romano d’occidente, sino a quando Costantino non deciderà di trasferire la capitale a Bisanzio, non è per così dire una semplice lotta tra le prerogative aristocratiche del Senato e quelle militari degli imperatori, poiché nessun imperatore avrebbe potuto sussistere senza l’appoggio politico del Senato, anche se il Senato si opponeva sempre a quei provvedimenti imperiali che intaccavano le sue prerogative, e che in genere venivano presi proprio perché la situazione economica della società e finanziaria dello Stato era sempre ai limiti del collasso, proprio a causa dell’atteggiamento irresponsabile (schiavistico e monopolistico) dei senatori.
Nella fase imperiale il Senato non vuole rinunciare ai privilegi acquisiti così faticosamente in età repubblicana, dopo secoli di guerre puniche, di guerre di conquista e di guerre civili. Solo che questo atteggiamento provoca tensioni a non finire, che rischiano di destabilizzare l’impero. Almeno sino ad Ottaviano l’Italia è flagellata da continue guerre interne, più devastanti di quelle esterne. E’ sufficiente fare un esempio per rendersene conto: per abbattere i congiurati di Cesare (Bruto e Cassio), nella battaglia di Filippi si scontrarono 200 mila militari e di nuovo, altri 200 mila quando Ottaviano volle far fuori Antonio, ad Azio (1).
Antonio passava per traditore perché voleva trasferire la capitale dell’impero ad Alessandria d’Egitto, dopo aver sposato Cleopatra, ma forse aveva capito, prima di Ottaviano, che democratizzare il Senato sarebbe stato impossibile, anche dopo averne massacrato un terzo degli appartenenti, con in effetti lui e Ottaviano fecero, riducendolo da 900 a 600 membri, e sperando, illusoriamente, che almeno quest’ultimi fossero “fidati”.
Agli occhi della plebe e dei militari gli imperatori passavano per “salvatori della patria”, proprio perché il Senato appariva come il luogo per eccellenza dell’arbitrio e della corruzione. Ma se i militari ebbero modo di sfruttare questa convinzione, ottenendo, a loro volta, privilegi a non finire, la plebe rimase oppressa come prima, al punto che finì col favorire la penetrazione dei barbari nei confini dell’impero, e a trasformarsi progressivamente da “pagana” a “cristiana”.
La democrazia degli imperatori fu, nei confronti delle masse proletarie, solo propagandistica, in quanto il contrasto col Senato in ultima istanza restò apparente. Gli imperatori non si servirono mai delle sommosse popolari per dirigerle contro gli aristocratici terrieri, anzi, le repressero tutte molto duramente; persino i cristiani, che certamente rivoluzionari non erano, furono costantemente usati come capro espiatorio delle contraddizioni sociali, almeno sino alla svolta costantiniana. E questo inevitabilmente indebolì l’impero nei confronti della pressione esterna dei germanici.
Quando proprio non ne potevano più dei condizionamenti del Senato, gli imperatori, sotto pretesti di tipo militare, trasferivano le loro sedi operative in zone strategicamente rilevanti (più vicine ai confini). L’unica cosa significativa che gli imperatori riuscirono a ottenere contro il Senato, al fine di ridimensionarne i poteri, fu quella di estendere il diritto di cittadinanza a tutti gli abitanti delle province, cioè a fare della borghesia di queste colonie un puntello del loro potere militare.
Tuttavia l’idea di gestire l’impero in maniera assolutamente centralizzata, accentuandone gli aspetti fiscali e burocratici, che continuò anche dopo Diocleziano, il cui assolutismo monarchico poté essere imitato con successo da Costantino proprio grazie ai cristiani, fu un disastro assoluto per le sorti dell’impero, i cui abitanti, ridotti allo stremo, cominciarono a vedere i “barbari” come i propri liberatori.
Questa smania di centralizzare vasti territori geografici tornerà in auge, nell’Europa occidentale, al tempo del feudalesimo carolingio, con la benedizione della chiesa romana, che se ne servì per sbarazzarsi, in Italia, sia dei longobardi ariani che dei bizantini ortodossi, riuscendo a costituire un proprio Stato politico che durerà circa mille anni, e che anzi, seppur ridotto al minimo, permane ancora oggi.
In pratica le ambizioni del vecchio Senato pagano erano state ereditate dal nuovo “Senato” cristiano, anzi “cattolico-romano”, influenzando i destini di tutta l’Europa occidentale e, se vogliamo, del mondo intero, poiché sarà proprio sulla base dell’arroganza politica del clero cattolico che nascerà, come reazione, la prassi borghese, che seppe sostituire al primato della forza fisica quella della forza economica, al primato della terra quello del capitale, sfruttando proprio le ambiguità della religione cristiana, che predica l’umanesimo teorico e permette il peggior antiumanesimo pratico.
(1) Da sottolineare che quello fu il momento di maggior debolezza dell’impero e fu davvero un peccato che in Palestina non si riuscì a compiere l’insurrezione del movimento nazareno.