11 settembre (2001) e 17 settembre (1982): i due pesi e due misure che stritolano la nostra morale. E la nostra credibilità

La profonda ipocrisia e disonestà, nel senso anche di malafede, dell’Occidente, cioè dell’Europa e degli Usa, appaiono in tutta la loro grave enormità dal confronto tra queste due date e relative rimembranze: 11 settembre 2001 e 17 settembre 1982. La prima data è – come sanno anche i sassi – quella dell’abbattimento delle Twin Tower di New York. Ma la seconda? Chi di noi occidentali se la ricorda? No, non è la presa di Porta Pia, quella è del 19 settembre, se non erro.  Non ricordate, vero? E’ il giorno della strage di Sabra e Chatila. Vale a dire, della terribile mattanza – tra i 3 e i 6 mila civili ammazzati a sangue freddo, le donne e le bambine dopo essere state stuprate, le donne incinta dopo essere state sventrate e massacrate con il feto messo loro in braccio – fatta eseguire a Beirut dai militari israeliani alle milizie collaborazioniste dei falangisti cristiani nei campi profughi palestinesi di Sabra e Chatila. Falangisti cristiani… Questo è dunque il cristianesimo in Libano?
Per i 2.750 morti delle Twin Tower (cifra recente di Repubblica), che l’approssimazione giornalistica anche della Rai fa diventare sempre “oltre 3.000 morti”, è stata immediatamente scatenata l’invasione dell’Afganistan e ogni anno si fanno celebrazioni e ricordi vari non solo nei giorni che cadono l’11 settembre. In più, suoniamo a rotta di collo la grancassa del dolore, esibito in modo fin troppo eccessivo, e delle accuse all’islam intero. Al punto da scatenare una campagna contro “la moschea a Ground Zero”, sorvolando disinvoltamente – as usual – che non si tratta niente affatto di Ground Zero. E’ come urlare contro una moschea in piazza S. Pietro a Roma mentre invece si intende farla in corso Vittorio Emanuele, o a Milano contro una moschea in piazza Duomo mentre invece si tratta di farla in piazza Cavour o in piazzale Augusto. Insomma, il solito nostro barare.

Per il massacro a sangue freddo di Sabra e Chatila, uno dei vari fatti compiere dagli israeliani ai cristiani falangisti o compiuti in prima persona in Libano, non è invece successo nulla. Anzi, il suo responsabile, il generale israeliano Ariel Sharon e vari altri ufficiali dei servizi segreti e dello stato maggiore, è in seguito diventato capo del governo israeliano! Reputo grave che un popolo affidi il proprio governo a un soldataccio con le mani così lorde di sangue, ma questi sono affari del popolo israeliano. Che però a un certo punto su questa orripilante vicenda ha prodotto persone capaci di autocritica e dolore, come il regista Ariel Folman con il bel film Valzer con Bashir. Noi invece navigando in senso opposto abbiamo prodotto i Giuliano Ferrara, Paolo Guzzanti, ecc.

Insomma, il solito due pesi e due misure elevato all’ennesima potenza, che individua, descrive e misura alla perfezione il nostro abisso morale e la vera natura della nostra politica in Medio Oriente. Si noti che il massacro di Sabra e Chatila – durato qualche giorno e non un paio d’ore – è stato reso possibile dal fatto che la Casa Bianca decise di evacuare da Beirut con 15 giorni di anticipo i suoi militari fatti arrivare per proteggere la disgraziata e affamata popolazione civile dei campi profughi dai massacratori falangisti cristiani e dagli stessi militari israeliani, che con un esercito di 30 mila soldati e centinaia di carri armati, appoggiati da un nugolo di aerei ed elicotteri fa guerra, avevano da qualche tempo invaso il Libano. Il loro traguardo era schiacciare la Resistenza palestinese e far fuori anche Arafat. Dopo una serie di trattative questi evacuò dalla città i suoi uomini e le armi imbarcandosi nel porto di Beirut per trasferirsi  a Tunisi, e i campi profughi rimasero privi di protezione militare motivo per cui per proteggerne la popolazione arrivarono le truppe di alcuni Paesi, Stati Uniti soprattutto. Insomma, partendo all’improvviso, con due settimane di anticipo su quanto concordato, gli Usa hanno la grave responsabilità di avere spianato di fatto la strada alle belve. Fermo restando che il tracollo morale dell’Occidente verso il mondo arabo e islamico è iniziato con la spedizione di Napoleone in Egitto ed è proseguito senza sosta fino ad oggi, è esploso con il colonialismo inglese e francese per diventare il cancro che ancora oggi ci consuma con la politica angloamericana in Medio Oriente. Nel passato recente c’è da dire che come Londra ha la responsabilità delle tragedie etniche e territoriali dell’Iraq e dell’India/Pakistan, così Parigi ha la responsabilità del sistema politico confessionale che dilania il Libano da decenni anche con guerre civili: i cosiddetti cristiani, infatti, non vogliono assolutamente perdere il predominio assegnato loro dal colonialismo dei cattolici francesi.

La sporcizia intellettuale, la disonestà politica e l’opportunismo voltagabbanesco di noi occidentali, e italiani in particolare,  è descritta alla perfezione dalla parabola dell’arcitaliano, come lui stesso si pregia definirsi, Giuliano Ferrara. E mi scuso se in un tale contesto nomino un personaggio così imbarazzante. Ferrara è partito prendendo a suo tempo a pugni in diretta tv un direttore di orchestra che rifiutava di dedicare ai martiri di Sabra e Chatila il concerto in esecuzione in piazza a Torino ed è arrivato a organizzare a Roma l’Israele Day, e fin qui passi, ma poi anche l’ossequio ruffiano e conformista, se non anche leccacingoli, a qualunque eccesso e crimine dei dirigenti politici e militari israeliani. Insomma, un paladino tra la Oriana Fallaci e la Giovanna d’Arco dell’ultrasionismo arabofobo duro e puro, che ci spinge alla guerra globale con l’islam. Non è cambiato solo Ferrara, del quale non frega niente a nessuno, ma anche gran parte di noi, sinistra compresa. Marco Travaglio, l’eroe dell’antiberlusconismo duro e puro, ha applaudito anche lui il massacro di Gaza definendo l’invasione israeliana una giusta risposta ad una aggressione. Lo ha cioè definito negli stessi termini in cui di recente l’ha definita Berlusconi e prima di lui il voltagabbana Paolo Guzzanti e la colona ultrasionista arabofoba Fiamma Nirenstein, portata da Berlusconi nel nostro parlamento nonostante risieda in una colonia vicino Betrlemme.

A Beirut e in Libano ho fatto il giro di vari campi profughi e degli annessi luoghi delle varie stragi e massacri di palestinesi compiuti dagli invasori israeliani e annessi fiancheggiatori cristiani. Ne sono uscito abbastanza scosso. Mi venivano in mente spesso le parole di un film: “Ho visto cose che voi umani….”. Umani? Il livello di vita degli ormai oltre 400 mila profughi palestinesi, ammassati nei campi in condizioni semplicemente disastrose, è nella stragrande maggior parte dei casi miserabile. L’aumento demografico ha nel frattempo raddoppiato i palestinesi, che però sono costretti a vivere negli stessi spazi angusti dei campi perché è vietato ampliarli. Anzi, gli spazi sono diminuiti perché ci sono campi non più ricostruiti in tutto o in parte dopo le tragedie dell’82. Solo da poco tempo i palestinesi hanno acquisito il diritto al lavoro, ma solo dietro domanda al ministero del Lavoro e annessa autorizzazione, se concessa. In ogni caso i palestinesi devono lavorare sotto padrone e NON possono svolgere professioni autonome come fare il medico, l’avvocato, l’ingegnere, ecc. Non credevo alle mie orecchie quando mi hanno detto che per comprare un televisore o un frigorifero i palestinesi devono avere l’autorizzazione dei servizi segreti libanesi! Il problema è che per evitare “l’inquinamento” di oltre 400 mila musulmani i cristiani non vogliono assolutamente che i palestinesi abbiano i diritti civili: da ormai 60 anni. Grazie ai cristiani, in Libano i palestinesi sono trattati decisamente peggio che in Giordania e Siria, dove esistono gli altri loro campi profughi. I palestinesi, ammassati in ghetti e sottoposti a mille divieti e al continuo furto della loro terra perfino a casa loro in Palestina, sono diventati di fatto gli ebrei moderni, una diaspora di massa della nostra era: per loro però niente “diritto al ritorno”…. Il lato comico, si fa per dire, è che i palestinesi NON vogliono diventare libanesi, non ci pensano neppure da lontano, vogliono infatti restare palestinesi in attesa del chimerico tornare a casa, cioè in Palestina. Nel frattempo però, ovviamente, vogliono i diritti civili, ma sono trattati dai cristiani libanesi come neppure Umberto Bossi si sognerebbe di fare con gli extracomunitari o i rom in Italia.
Il viaggio è stato organizzato dal comitato “Per non dimenticare Sabra e Chatila”,
che dal 2000 organizza ogni anno una visita pellegrinaggio sui luoghi dei massacri grazie all’impegno del grande giornalista Stefano Chiarini, purtroppo scomparso poco tempo fa, e dal Forum Palestina. Chiarini, amato in LIbano non solo da tutti i palestinesi, con la sua inossidabile volontà è riuscito – tra l’altro – a far diventare un sacrario la discarica di Chatila dove erano stati gettati a mo’ di immondizie ciò che restava dei corpi delle migliaia di palestinesi vittime della “soluzione finale” voluta da Sharon ed eseguita dai miliziaoni cristiani. Dagli incontri cui ho assistito e partecipato tra personalità libanesi ed esponenti del comitato sono venute fuori alcune buone notizie. La prima è che il leader del movimento Almustaqbal, una delle maggiori basi dell’attuale governo di Saad Hariri, figlio del precedente capo del governo Rafic Hariri ucciso in un attentato assieme a sette uomini della sua scorta, si è impegnato a farci trovare per la visita dell’anno prossimo il pieno diritto dei palestinesi al lavoro, segno che l’opera di Chiarini e la credibilità del comitato sono notevoli. Da notare che il leader di Almustaqbal è un Hariri, cugino dell’attuale primo ministro. La seconda buona notizia è che Walid Jumblat, il leader della minoranza drusa, progressista,  s’è impegnato anche lui per la piena conquista dei diritti civili per i profughi palestinesi, per i quali è da sempre all’opera, pur avvertendo che il processo sarà lento. Infine, Talal Salman, direttore ed editore del quotidiano Assafir, il più autorevole del Libano (non ha mai interrotto le pubblicazioni neppure durante la guerra civile), ha spiegato che secondo lui l’attacco all’Iran non ci sarà. Opinione ripetuta giorni dopo da Jumblat.

Sono stato tra l’altro a Kana, il paesino nel quale gli israeliani nel corso dell’ultima invasione del Libano hanno bombardato due palazzi con la scusa che “da lì sparavano contro i nostri soldati”, con il risultato di fare un massacro di decine di civili, soprattutto bambini. Che quella israeliana fosse una scusa lo faceva intuire l’orribile frase di uno dei massimi comandanti militari – “Per ogni nostro caduto uccideremo cento di loro” – inferocito per l’imprevista resistenza opposta dalle milizie di Hetzbollah. In realtà, come è facile appurare andando a Kana, gli israeliani volevano uccidere i due comandanti militari di Hetzbollah che abitavano con le loro famiglie in quegli affollati palazzi, e per uccidere loro hanno massacrato decine di civili innocenti. Ne pubblico parte delle foto. Così come pubblico parte delle foto che mostrano le orrende condizioni di vita nei campi profughi palestinesi e come è ridotto ancora oggi il campo di Chatila. Non c’è bisogno di didascalie. Purtroppo.

Il campo profughi di Sabra non è stato più ricostruito, tanto era stato ridotto a macerie e a montagne di cadaveri. Gli israeliani avevano chiuso in una morsa di acciaio i due campi respingendo indietro, mandandoli così a morte certa, i disgraziati terrorizzati che cercavano scampo fuggendo. Il regista di Valzer con Bashir racconta le telefonate di militari di truppa come lui per avvertire Sharon che  “sta accadendo qualcosa di allarmante” e la gelida risposta di Sharon: “La ringrazio della telefonata”. Della quale peraltro non aveva bisogno: è assodato che con il suo stato maggiore si godeva lo spettacolo del massacro osservandolo con il binocolo dai piani alti di un palazzone immediatamente fuori dal campo. Che a un certo punto gli israeliani di notte hanno illuminato dall’alto con i fari fotoelettrici per permettere allo sciame di pluriassassini di condurre meglio il lavoro loro affidato. C’è chi crede, anche tra gli israeliani, che forse tutto ciò è il motivo per cui Dio ha ridotto da anni Sharon in coma irreversibile e per farlo soffrire il più possibile non si decide a farlo spirare: il “grande condottiero” è da anni solo un misero tronco umano, che di umano ormai non ha neppure il poco che aveva prima, tenuto accanitamente in vita artificiale a mo’ di totem e reperto archeologico nazionale. Riguardo tale convinzione circa l’operato di Dio, no comment.

Per i morti delle Twin Tower è stato invaso l’Afganistan, poi anche l’Iraq. Per quelli della guerra civile in  Kosovo è stato messo in moto e fatto funzionare il Tribunale Internazionale. Per Sharon e i massacratori di Sabra e Chatila non è successo nulla. Stefano Chiarini e altri erano riusciti a fare intervenire la giustizia del Belgio, che per i delitti contro l’umanità può intevenire ovunque, ma tutto è stato messo a tacere: Israele e gli Usa sono troppo potenti: loro non si lasciano processare, quale che sia l’atrocità commessa. Qualcuno dovrebbe ricordare loro che quando la nostra Democrazia Cristiana era sotto scandali vari il suo leader Aldo Moro in parlamento scandì con orgoglio che “la Democrazia Cristiana non si fa processare!”, e che sia Moro che la DC hanno fatto la fine che hanno fatto: meglio sarebbe stato se avessero accettato di essere processati. Anche Silvio Berlusconi, come è ormai evidente da anni, non si lascia processare, ma tralasciamo.

Alcuni dei massacratori sono diventati ministri del Libano mentre altri campano comunque tranquilli. Almeno uno fa il taxista e ancora oggi si vanta di averne “sgozzati un sacco” e che il problema era “se stuprare le donne prima o lavorare subito di coltello o ascia”. Coltello o ascia? “Eh sì, perché gli israeliani ci avevano fornito di quelle armi per evitare che usando le armi da fuoco suscitassimo allarme e capissero anche fuori dal campo che era in corso un massacro. Però alla fine per sbrigarci abbiamo usato anche le armi da fuoco e gli esplosivi per cercare di cancellare la tracce”.
Che però non sono cancellabili. Non negli animi degli esseri umani non accecati dall’odio e dal fanatismo.

Due pesi e due misure: una tenaglia che stritola la nostra morale. E la nostra credibilità.

Non è il caso di volere giustizia? Non vendetta: ma giustizia.

668 commenti
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  1. Shalom: Ballando con Bashir
    Shalom: Ballando con Bashir says:

    Il film d’animazione, già premiato all’ultimo festival di cannes, racconta attravverso una lancinante ricostruzione di memorie in(in)terrotte, la strage dei profughi palestinesi di Sabra e Chatila compiuti dai falangisti libanesi il 16 settembre del 1982 con il tacito consenso di Ariel Sharon e Rafael Eitan.

    Il film è Israeliano, diretto da Ari Folman, e racconta come il protagonista (lui stesso) avendo rimosso tutto ciò che era accaduto all’epoca dell’invasione israeliana del Libano, cerca di ricostruirne i pezzi con l’aiuto dei compagni d’armi.

    La pellicola è stata osannata in Israele e censurata in Libano. Ma il racconto del regista non è pro Israele. Nonostante alcune pecche di sceneggiatura, l’impatto emotivo ha evidentemente il sopravvento e va visto anche alla luce di ciò che sta accadendo a Gaza in questi giorni. Non vuole però essere un film retoricamente contro la guerra, o contro un tipo di guerra. Infatti non si denuncia l’intervento militare, semmai le sue storture e le ovvie conseguenze. E’ essenzialmente un film sulla memoria, sulla ricostruzione di una memoria dapprima personale (quella di Folman) e poi collettiva. Valzer con Bashir denuda la coscienza di Israele su un avvenimento scomodo e esemplifica cosa accade ad un popolo quando dimentica, quando non vuole ricordare.

    La terapia dell’autore ci aiuta a capire e a riflettere su ciò che è accaduto anche intorno a noi. Già in questo blog avevamo parlato di come il cinema potesse essere una via importante per affrontare temi civili complessi senza perdersi nel caos dell’informazione generalista. Ragionare insieme all’autore di “Valzer con Bashir” ci aiuta a contestualizzare un fatto e allo stesso tempo mostra come si possa dare un contributo alla soluzione del conflitto israelo-palestine senza demonizzare tout court gli uni o gli altri.

  2. Shalom: l'Iran, la bomba atomica e le nostre menzogne
    Shalom: l'Iran, la bomba atomica e le nostre menzogne says:

    27.06.2010
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    Giorgio S. Frankel: “L’Iran e la bomba”
    conflitti globali

    Dalla prefazione dell’autore:

    Per progettare e costruire le prime atomiche partendo quasi da zero, durante la Seconda guerra mondiale, gli americani impiegarono sei anni, se si fa iniziare la «corsa alla Bomba» con la celebre lettera di Albert Einstein al presidente Roosevelt, o molto meno – solo tre anni e mezzo – se si conteggiano i tempi dall’avvio vero e proprio del «Progetto Manhattan». A confronto, l’atomica iraniana ha avuto tempi così lunghi e un procedere così lento che non si può certo parlare di una «corsa alla Bomba» da parte di Teheran. Quell’atomica, in effetti, è stata in prima pagina, per così dire, per quasi vent’anni, e sempre data per imminente – una questione, si diceva ogni volta, ormai di pochi anni: dai tre ai cinque, secondo molte previsioni, o anche meno, secondo altre. Ma il fatidico giorno «X» dell’Iran nucleare ha continuato a fuggire in avanti. Ancora nel 2009 non si era certi che Teheran avesse effettivamente deciso di dotarsi di armi atomiche. Del resto, nel novembre 2007 le agenzie di intelligence degli Stati Uniti, in una valutazione («National Intelligence Estimate») del programma nucleare iraniano, dissero che, molto verosimilmente, Teheran aveva chiuso la parte militare del programma stesso già nel 2003, a causa delle pressioni internazionali.

    Nel corso degli anni, numerosi «scoop» giornalistici e alcuni rapporti di vari centri di ricerca, soprattutto negli Stati Uniti, hanno parlato di prove concrete e decisive circa l’esistenza di un programma militare iraniano in uno stadio ormai avanzato. A questi si aggiungono, tra gli altri, anche occasionali rapporti di alcuni Comitati del Congresso degli Stati Uniti. Alcune «rivelazioni» sono poi risultate di fonte israeliana; sono quindi possibili casi di disinformazione e guerra psicologica. In linea di massima, gli «scoop» giornalistici, per quanto clamorosi, non sembrano avere avuto alcun seguito di rilievo per quanto riguarda la linea delle potenze occidentali e la politica dell’Aiea.

    Gli Stati Uniti hanno più volte minacciato azioni militari contro il programma nucleare iraniano, soprattutto dopo la guerra in Iraq. Israele ha parlato della possibilità concreta di un proprio attacco «preventivo», anche con armi atomiche, contro la «minaccia» nucleare iraniana fin dall’inizio degli anni Novanta. Israele, con la sua potenza nucleare (che alcune stime mettono al terzo o quarto posto nella graduatoria mondiale), è un fattore chiave della persistente emergenza iraniana a livello globale, mentre Russia e Cina hanno stretti rapporti con l’Iran e negano l’esistenza di un programma nucleare militare (molto probabilmente non sarebbero a favore di un Iran nucleare, ancorché alleato), gli altri paesi del Medio Oriente, Turchia compresa, sono in linea di massima orientati al dialogo anziché a uno scontro, l’Europa sarebbe favorevole a sviluppare i rapporti economici con l’Iran, mentre negli Stati Uniti la Casa Bianca, già con Bush, il Pentagono e il Dipartimento di Stato hanno in varie occasioni attenuato i toni verso l’Iran, a dispetto della retorica bellicista del Congresso e di molti politologi e teorici «neocon» che hanno sviluppato una sorta di ideologia intorno all’ipotesi di bombardare l’Iran. Le minacce israeliane, come ha scritto il politologo Trita Parsi, sono un «bluff», ma le conseguenze di un eventuale attacco sarebbero troppo pericolose per correre il rischio, e questo costringe le altre potenze a continuare le pressioni sull’Iran per tenere sotto controllo il fattore Israele.

    Queste considerazioni, e altre che ne conseguono o possono a esse connettersi, non implicano necessariamente un atteggiamento di simpatia politica verso il regime di Teheran, la sua ideologia e la sua politica interna. Bisogna però ricordare che intorno al 2003, prima e dopo la guerra in Iraq, coloro che dicevano che l’Iraq non aveva un arsenale di «armi di distruzione di massa» e non poneva una minaccia ai vicini e tanto meno al mondo venivano facilmente infamati come «amici» e sostenitori della dittatura di Saddam Hussein. Il punto è che quelle armi non c’erano e le prove della loro esistenza erano assolutamente false, mentre la successiva distruzione dell’Iraq è stata tragicamente vera e quasi irreversibile.

    Ai tempi della guerra in Iraq la boutade di successo negli Stati Uniti era: «Tutti vogliono andare a Baghdad, ma gli uomini veri vanno a Teheran!», ovvero: «Dopo l’Iraq, il primo della lista è l’Iran». Il punto è che, a parte ogni considerazione sul regime di Teheran, un attacco all’Iran col pretesto delle sue (ipotetiche) armi nucleari potrebbe provocare uno shock petrolifero mondiale, destabilizzare come una catastrofe l’intero Medio Oriente e mettere Stati Uniti e Cina in una pericolosa rotta di collisione frontale. Questi e altri possibili eventi connessi potrebbero poi essere ricordati, in un lontano futuro, come i prodromi della terribile Grande guerra globale del secondo decennio del XXI secolo.

    In altre parole, quello che sembrava possibile all’America di George W. Bush alla vigilia della spedizione in Iraq, quando gli Stati Uniti erano «l’unica super-potenza globale rimasta al mondo», e non intendevano tener conto dell’Europa o della Russia, non sembra più possibile, se non con rischi altissimi, all’America di Barack Obama, una potenza in declino, impastoiata in una difficile guerra sul fronte Afghanistan-Pakistan, e che prevede di combattere in quelle zone del mondo una «Lunga guerra» che durerà altri cinquant’anni, mentre la Cina e l’Asia emergono come futuro polo del potere globale.

    I rapporti di forza a livello globale sono in pochi anni molto cambiati. Anche il Medio Oriente è cambiato, come si vede col rapido avanzare degli interessi della Cina nel Golfo Persico, le modernizzazioni della regione, il nuovo ruolo della Turchia, il dinamismo degli emirati del Golfo e altri sviluppi. Nel Medio Oriente esteso si gioca una partita decisiva per il futuro ordine mondiale e per definire i confini tra il potere asiatico che avanza e quello americano che retrocede. L’Iran è certamente un settore chiave di questa competizione globale.

    Come si vede, dunque, la questione della (ipotetica) atomica di Teheran ha molte sfaccettature, a cominciare da quella tecnologica e industriale, relativa alle effettive capacità iraniane in campo nucleare, che però non può essere qui esaminata. Tra le sfaccettature di carattere più propriamente politico, una di grande rilievo è la propaganda, che quando è ben condotta è difficile da individuare subito. Nei paesi occidentali, la propaganda permea ogni altro aspetto della questione iraniana, condiziona sempre più il linguaggio politico, e ha acquisito una dimensione e una veemenza senza precedenti nella storia recente. Un’altra sfaccettatura comprende le pressioni e le manovre diplomatiche, le ritorsioni economiche, le minacce militari volte a bloccare il programma nucleare iraniano.

    _______________

    Giorgio S. Frankel – analista di questioni internazionali e giornalista professionista indipendente, si occupa di Medio Oriente e Golfo Persico dall’inizio degli anni Settanta. Negli ultimi anni ha scritto anche di Asia centrale, politica petrolifere internazionali, industria aerospaziale. In passato ha seguito a lungo i problemi strategici Est- Ovest, le questioni del Sudafrica e dell’Africa australe, oltre che della Turchia. Collabora a «Il Sole 24 Ore», al «Corriere del Ticino» e ad altri periodici, tra cui «Il Mulino» e «Affari Esteri». È docente al «Master in Intelligence» dell’Università della Calabria e ha insegnato in varie edizioni del «Master in Peacekeeping» dell’Università di Torino.

  3. marco tempesta
    marco tempesta says:

    La situazione vista da Pino in Libano è il totale di una somma.
    Se prendiamo in considerazione tutti gli addendi e non soltanto la parte necessaria alla nostra dimostrazione, ci accorgeremo che nella guerra del Libano i palestinesi non hanno giocato il ruolo unicamente di vittime ma di attivi combattenti essi stessi.
    Si sa che in una guerra c’è chi le dà e c’è chi le prende, ci sono massacri e tutto il peggio che l’umanità è in grado di produrre. La guerra del Libano non ha fatto eccezione.
    A me piacerebbe che non del singolo episodio si parlasse, per quanto esecrabile possa essere ed infatti lo è, ma delle condizioni che hanno scatenato la guerra del Libano all’epoca. Condizioni alle quali i palestinesi, da quel che leggevo in quegli anni, non erano affatto estranei.
    Le mie informazioni sono solo derivanti dalle letture della stampa dell’epoca, quindi possono tranquillamente essere sbagliate. Mi piacerebbe che il problema fosse però affrontato nella sua globalità.
    Non vorrei neppure che si tacesse della strage del Settembre nero (Settembre sembra essere un mese sfigato per i palestinesi) quando Hussein di Giordania macellò migliaia di palestinesi in brevissimo tempo.
    Sono episodi che, come le medaglie, hanno due facce: l’effetto e la causa.
    Bisogna sempre analizzare entrambe le facce, se si vuole capire l’esatta portata di qualsiasi avvenimento, anche se a monte di tutto sia nella questione libanese che in quella giordana, la causa scatenante, il primo movens, è stata la creazione di Israele.

  4. marco tempesta
    marco tempesta says:

    Dicevo che da queste parti sta sorgendo la nostalgia dei Borboni.
    Di seguito l’intervento di un lettore, postato nella pagina Partigiani del terzo millennio:

    Cosa ci hanno rubato? Tutto! La storia, l’identità, le industrie, i soldi del banco di Napoli. Ti ricordo che il Regno delle Due Sicile era il terzo stato più popoloso e ricco d’Europa dopo Inghilterra e Francia. Napoli era la capitale euro…pea (e quindi mondiale) della cultura. Si costruivano ferrovie, strade, ponti di acciaio realizzati completamente in Sud Italia, cosa impensabile per il Piemonte di allora. Nel sud Italia nessuno è mai morto di fame; malattie da deficit nutrizionale come la pellagra e lo scorbuto erano endemici in nord Italia. Con l’annessione del sud Italia Banco di Napoli venne depredato per una cifra pari a 1.500.000 miliardi degli attuali euro!!! (…il deficit attuale dell’Italia). Le acciaierie di Morgiano, Calabria, vennero trasferite a Genova. Potrei continua all’infinito. Purtroppo la storia viene scritta dai vincitori e qualcuno mi deve spiegare perché se vinci la guerrausi il termine “briganti” (terroristi si direbbe ogggi) mentre se perdi la guerra usi il termine “partigiani”?

  5. peter
    peter says:

    x Marco

    pero’ se a suo tempo ci risparmiavi la bella storia della strada fantasma in Calabria adesso saresti piu’ credibile…

    Peter

  6. Follotitta
    Follotitta says:

    Cara Anita (874), la succursale della R.I.S.D. a Roma, era a palazzo Cenci a piazza Cenci. Chissa’, se avesse intrapreso i suoi studi artistici, e’ possibile che vi avrebbe potuto studiare nel suo ultimo anno di specializzazione. Un saluto. F.

  7. Uroburo
    Uroburo says:

    marco tempesta { 18.09.10 alle 17:34 } ci hanno rubato? Tutto! La storia, l’identità, le industrie, i soldi del banco di Napoli . il Regno delle Due Sicile era il terzo stato più popoloso e ricco d’Europa … Napoli era la capitale euro…pea (e quindi mondiale) della cultura. Si costruivano ferrovie, strade, ponti di acciaio realizzati completamente in Sud Italia … Nel sud Italia nessuno è mai morto di fame … Banco di Napoli venne depredato per una cifra pari a 1.500.000 miliardi degli attuali euro!!! Le acciaierie di Morgiano, Calabria, vennero trasferite a Genova.
    ————————————————————–
    Caro Marco,
    quanta rettorica, perbaccolina.
    Condivido la tua prima fase con una correzione: vi siete fatti rubare tutto; è giusto anche il dato sull’oro del Banco di Napoli.
    Il resto è una visione veramente romantica: il patrimonio industriale meridionale era poverissimo (per altro era povero perfino in Piemonte), limitato al tessile ed all’industria degli armamenti e concentrato quasi solo a Napoli. Le industrie meridionali per la verità non vennero tanto spostate al Nord quanto piuttosto vendute a speculatori, spesso meridionali, che non pensarono a valorizzarle ma a guadagnare abbassandole paghe (proprio come ora). Il governo però non fece nulla per difenderle.
    Il livello alimentare era basso, e Napoli era una città alla fame, anche se, ovviamente visto che ci crescono gli agrumi, non c’era lo scorbuto.
    In compenso il popolo meridionale, a partire dalla classe sua dirigente meridionale non seppe inserirsi adeguatamente nel processo di unificazione, con grande delusione dei piemontesi che, da parte loro, non fecero nulla per capire la situazione e si comportarono come in una colonia. Ma la ricchezza del Sud che pure c’era, venne sprecata in spese di rappresentanza da corte degli zar invece di essere adeguatamente investita.
    Spiacente ma al di là delle colpe del Piemonte è stata tutta la classe dirigente meridionale a dimostrare la sua spaventosa arretratezza.
    Sul piano culturale il Regno delle Due Sicilie era semplicemente inesistente. U.

  8. Anita
    Anita says:

    x Follotitta

    Caro Follotitta,
    non credo, ho fatto le magistrali in collegio come interna.
    I miei erano separati da quando avevo 10 anni e 4 mesi.
    Uscita dal collegio ero di peso…
    Ecco come sono finita negli US.
    Saluti, Anita

  9. Uroburo
    Uroburo says:

    peter { 18.09.10 alle 18:41 } pero’ se a suo tempo ci risparmiavi la bella storia della strada fantasma in Calabria adesso saresti piu’ credibile…
    ————————————
    Non è una storia è vera. U.

  10. marco tempesta
    marco tempesta says:

    Non vedo quindi come un filosofo possa ’sbagliare’, visto che si limita a pensare, cioe’ a seguire un suo ragionamento logico.
    ——————
    Semplice: basta mettere a capo di tutto il ragionamento logico un presupposto sbagliato.
    Marx non ha tenuto conto della natura dell’Uomo, ovvero della diversità intrinseca in ognuno, del famoso ferro di cavallo bestia-angelo.
    L’errore è stato ripetuto anche da altri teorici.
    Se si presume l’uomo come tendenzialmente generoso, solidale e quant’altro, l’uomo che nasce tabula rasa, l’uomo che cresce a seconda dell’educazione che gli si dà e non a seconda dell’indole, si commette un errore. Su questo errore si possono costruire tutti i ragionamenti esatti che si vuole, ma il risultato sarà sempre sbagliato. I fatti lo hanno sempre inesorabilmente dimostrato.

  11. marco tempesta
    marco tempesta says:

    x Uroburo:
    Ho letto da qualche parte in Internet una lunga lista di primati del regno di Napoli. Non appena la ritrovo la posterò. Ora sto aspettando di andare a un cabaret, verranno a prendermi tra qualche minuto.

  12. marco tempesta
    marco tempesta says:

    x Uro e Peter:
    la strada della Calabria sarà anche una storia vera, ma non vedo cosa c’entri io, non so di cosa stiate parlando.

  13. Follotitta
    Follotitta says:

    Caro Pino, l’essere ricordato di tutti questi doppiopesismi della ns storia contemporanea, e’ il motivo per cui la leggo volentieri. Lei fa tornare alla mente cose a volte rimosse, altre abbandonate nei ristagni della memoria, che invece e’ bene riportare attuali e su cui fare le ns brave considerazioni e valutazioni. La ringrazio per questo.
    Una considerazione la voglio fare sulla lotta, lunga e difficile come da lei riportato, per i diritti civili dei Palestinesi. Questi sono un popolo spodestato, ogni giorno di piu’, della propria sovranita'; vivono come in un vuoto, in cui la propria volonta’, la propria storia conta poco o niente. E si sa, i principi legali non esistono nel vuoto, e senza di essi e’ difficile redigere una Costituzione. Rimane solo la forza della volonta’, o meglio, della disperazione. E credere nei miracoli, che in quella terra sfortunata una volta erano all’ordine del giorno.
    La saluto. F.

  14. marco tempesta
    marco tempesta says:

    Il vero problema e’ che viviamo in una epoca contraddittoria: mentre la tecnologia e la scienza fanno passi da gigante, la mentalita’ della gente regredisce lentamente ma inesorabilmente verso l’eta’ della pietra (Follotitta)
    —–
    Ora non ho il tempo materiale per sviscerare questo argomento, perchè a momenti dovrò uscire. Lo farò domani.
    Un saluto, MT

  15. Follotitta
    Follotitta says:

    Cara Anita, la ringrazio per l’inserzione. Pensavo che il programma romano del RISD fosse piu’ antico; cioe’ non sapevo di aver avuto a che fare con i 1mi studenti che ne hanno usufruito. Lei e’ sempre capace di coprire lacune. La saluto. F.

  16. Follotitta
    Follotitta says:

    Caro Uro (12), non conosco la storia dell’unificazione (o sarebbe megio dire annessione?) del Sud al resto d’It, se non quello studiato sui testi scolastici. Ma ho la vaga sensazione che essa nasconda una doppia delusione. Quello delle masse contadine che da Garibaldi si sarebbero aspettate una redistribuzione delle terre, che non ci fu. Quella di una classe che lei chiama dirigente che era e rimase sottoposta al potere di una aristocrazia terriera arretrata. Lampedusa scrive argutamente che si cambio’ tutto per non cambiare niente. In realta’ il cambio ci fu, ma in senso peggiorativo, perche’ il governo che, partendo da Torino, via Firenze, atterro’ a Roma, era troppo lontano dalle problematiche meridionali per tirare fuori provvedimenti adeguati, mentre la maggioranza della nuova dirigenza meridionale formatasi nell’egida del nuovo parlamento era troppo avida per non pensare se non esclusivamente ai fatti propri. Insomma l’unificazione dell’It e’ nata male ed e’ continuata peggio. Ma su questo, sfortunatamente, non c’e’ da dibattere. Un saluto. F.

  17. peter
    peter says:

    x Uroburo

    piano, non cosi’ di corsa come sempre quando parla di noi.
    Il tesoro del banco di Napoli o della corona poteva essere 1500 miliardi di euro attuali, temo che Marco ci abbia aggiunto 3 zeri…
    Le analisi del Villari dimostravano che le industrie a Napoli non erano da buttare, e non erano solo tessili. Del resto, la prima ferrovia in Italia, e credo anche in Europa, si ebbe da noi. Ai Borbone piaceva cimentarsi col nuovo. In Lombardia si ebbe dopo, nel 1845.
    Culturalmente il Sud non era affatto inesistente, lei ha una certa faccia tosta a dirlo, o forse vuole provocare.
    La storia della letteratura in Italia venne iniziata dal De Sanctis. Settembrini era napoletano, Bakunin scelse di stabilirsi a Napoli.
    Sia pure nati durante o subito prima l’unificazione, il Sud diede origine a Pirandello, Verga, Capuana, Croce…
    Forse vuole dire che Napoli non era culturalmente a livello europeo come Londra e Parigi, ma all’epoca non lo erano neanche Milano e Roma.
    Per il resto, sono d’accordo che per noi l’unificazione fu una grande turlupinatura, specie fatta in quel modo che fu

    un saluto

    Peter

  18. peter
    peter says:

    e poi non dimentichiamo i contributi dati alla musica, la poesia ed il teatro da Napoli nei secoli precedenti, per i quali i napoletani erano noti alle corti europee di allora.
    La famosa discesa di Carlo VIII in Italia con un esercito di 40.000 uomini era dovuta ad una disputa col re di Napoli, al quale andava a dare una lezione, per cui non e’ che il regno borbonico in Europa, storicamente, contasse quanto il due di picche

    Peter

  19. Controcorrente
    Controcorrente says:

    Lo scandalo ‘permanente” consiste nell’accettare che un simbolo di Partito ,addobbi la Cosa Pubblica.
    Per di più un simbolo di un partito dichiaratamente Secessionista!
    Tu da giovane devi essere stata una “grande ostacolista”per come aggiri ,raggiri, le evidenze.
    Dici che stai seduta sulla Costituzione, probabilmente hai letto male,non è quellaitaliana, poichè se alzi le chiappe e la leggi,oltre a starci seduta sopra ti accorgerai che questo è un atto che offende tutti gli altri, i non leghisti…
    Diversamente da te la mia democrazia, il mio agnosticismo, sopporta bellamente tutti i cristi e madonne appese in ogni dove, cultura e tradizione Millenarie…, ma che una banda di Bingo Bongo del Nord,che si sono inventati una storia, schiaffino il loro simbolo su una cosa PUBBLICA è inammisibile. COME TUTTO quello che hai scritto tu “donna di principi sani e d incorruttibile,fa VERAMENTE PENA VEDERTI RIDOTTA COSì A DIFENDERE L’INDIFENDIBILE!!
    Ti ripeto, tutto quello che hai scritto ,non giustifica nulla, proprio nulla…!!!
    Solo il fascismo ha messo i simboli di partito nelle Scuole pubbliche !!
    Già,ma tu non sei fascista!

    cc

  20. Controcorrente
    Controcorrente says:

    Resistere, resistere,resistere…
    Adro, adro ,adro e ancora Adro,contro il nuovo fascismo!

    cc

  21. Controcorrente
    Controcorrente says:

    Ora non ho il tempo materiale per sviscerare questo argomento, perchè a momenti dovrò uscire. Lo farò domani.
    Un saluto, MT

    Meno male, ma domani mi raccomando, fallo subito di prima mattina, così inizio la giornata di buouumore…
    Sarà all’altezza delle tue prestazioni, come ne caso Di Chabra e Chatila…la somma degli addendi,meno la radice quadra, porta invariabilmente alle solite quattro risate…!!
    E alla giustificazione di 6000 morti civili, massacrati!
    E tepareva la filosofia di marco tempesta !massacratore di Marx!
    Temo però che vi sia di peggio.. in te, (tu non sei solo un pistola),ma adesso ti aspetto con impazienza!!

    cc

  22. Popeye
    Popeye says:

    Cara Anita,
    Spero che tu sai cosa dice Follotitta. La ISD a Roma fa parte o e una estensione della Iowa University e niente a che fare con la Rhoad Island School of Design. Ma forse sbaglio.

  23. sylvi
    sylvi says:

    caro CC,

    penso che il 25 sia diretto a me, ti rivolgi al femminile e parli di Adro, un Comune leghista.
    Potrei dirti che non hai risposto alle mie tre domande che sono preliminari!

    Da giovane giocavo a palla a volo, ma non disdegnavo il salto in alto, però UN OSTACOLO alla volta.
    Ho scritto che ERO seduta sulla Costituzione e che Roma mi ha insegnato a stare al mio posto…..Da mo’!
    Se i soli di Adro vengono tolti, resta la Scuola, o NO???
    Un “simbolo di partito addobba la Scuola pubblica” e secondo te c’è il pericolo del ritorno al fascismo…perchè fin ad ora non c’era?

    Io sono veramente stufa di parole, parole, parole…prima dei soli vengono i bambini e i ragazzi morti sotto le macerie delle scuole…VERE!!
    E se i Sindaci del Sud mettono il loro simbolo partitico sulle loro scuole disastrate , dopo averle ristrutturate…a me non me ne frega niente dei simboli, mi interessa che il calcestruzzo sia buono e , in zona sismica, ci sia tutto il ferro che serve.

    Mi potrebbe importare come siamo giunti qua…ma questo pare non interessi ….
    Il tuo post è un po’ un minestrone di tante problematiche…e mi dici come mi sono ridotta io…
    Troppe volte ho cercato di dissentire, spiegando….sono fascista!

    Sai che cosa ti dico? In Yugoslavia continuavano a darci dei fascisti solo perchè parlavamo italiano, ma era la politica di Tito per giustificare altro…loro hanno smesso…e qua si continua…
    Resisti pure…buon pro!
    Buonanotte
    Sylvi

  24. marco tempesta
    marco tempesta says:

    Ho tentato di postare un lungo elenco riguardante Napoli prima di Garibaldi, ad uso dei nostri storici, che però non è passato. L’ho inviato a Pino, ritenendolo particolarmente interessante.

  25. sylvi
    sylvi says:

    Finalmente una discussione sull'”Unità d’Italia” dove io, fortunatamente, non c’entro “una beata fava” direbbe lo storico accreditato!

    Non è che forse l’Oro di Napoli è servito per “convincere”, armi in pugno, noi del Nordest, troppo recalcitranti, ad unirsi alla Festa?

    Sylvi

  26. peter
    peter says:

    x Sylvi

    lei stessa ammette che napoletani e terroni in genere la divertono molto piu’ dei lerci e noiosissimi austriaci…

    Peter

  27. marco tempesta
    marco tempesta says:

    Caro Peter, quando leggerai l’elenco che ho postato, ti renderai conto che il regno delle due Sicilie, e specialmente Napoli, era ben altro di quel che raccontano i libri di storia. Mi sa che qui dove abito ora, hanno proprio ragione a rimpiangere Franceschiello!

  28. sylvi
    sylvi says:

    x Peter

    perchè lerci?
    Se dovesse andare in Austria, non prenoti, qualsiasi
    zimmer sarà di un candore che ci può mangiare per terra!

    Noiosissimi? Stanno imparando velocissimamente …
    dagli “italiani”!

    Sylvi

  29. Popeye
    Popeye says:

    L’avvio degli Studi nella città di Salerno risale al secolo VIII d.C. grazie alla nascita della celeberrima Scuola medica salernitana, autorevolissima e prestigiosissima istituzione sanitaria che conservò la sua importanza per tutto il Medioevo. È fondamentale ricordare che oltre all’insegnamento della Medicina nello Studio salernitano erano impartiti anche gli insegnamenti di Filosofia, della Teologia e del Diritto. Tutto ciò avrebbe contribuito, secondo l’opinione di molti esperti impegnati in dibattiti ancora accesi sull’argomento, a fare di Salerno la più antica Università europea.

    Il percorso storico della Scuola salernitana, istituzionalizzata come Università vera e propria solo con la dinastia Angioina, prosegue nei secoli successivi tra alterne vicende seguendo le sorti del Regno di Napoli, fino a quando, nel 1811, Gioacchino Murat con l’intento di riorganizzare l’istruzione pubblica nel Regno napoletano, decide di chiudere l’Università di Salerno trasformandola in un “Real Liceo”. I R. Licei erano delle vere e proprie scuole universitarie collocate nelle maggiori città del Regno e dipendevano tutti dall’Università di Napoli. Con la restaurazione borbonica nel Regno delle Due Sicilie questo sistema universitario rimase pressoché invariato, e anzi subito dopo la restaurazione, con decreto del 14 gennaio 1817, Re Ferdinando I di Borbone stabilì che a Salerno, come a Bari, all’Aquila e a Catanzaro, i Reali Licei impartissero gli insegnamenti di diritto e notariato, anatomia e fisiologia, chirurgia ed ostetricia, chimica e farmacia, medicina legale e scienze varie.
    ————–
    Posso solo immaginare se c’era la cultura!

  30. peter
    peter says:

    x Sylvi

    oddio, dice ‘ci puo’ mangiare per terra’, espressione di rara volgarita’ usata spesso (nei racconti che ho sentito) dai lerci svizzeri tedeschi…
    Lercio significa volgare, detestabile, vile, non necessariamente sporco, ma mi rendo conto di scivolare nel razzismo nazionalista io stesso…

    Peter

  31. peter
    peter says:

    x Marco

    gia’, ma vallo a dire all’onnisciente Uroburo, ed alla austera Sylvi, non a me…
    Sta a lui giudicare di evoluzione, mustelidi, genetica, e cultura storica del profondo Sud, ed a lei di buone maniere. Gli esami (per noi) non finiranno mai.

    Peter

  32. Popeye
    Popeye says:

    “Al mattino del giorno 14 ricevemmo l’ordine di entrare nel paese, fucilare gli abitanti, meno i figli, le donne e gli infermi, e incendiarlo. Subito abbiamo cominciato a fucilare… quanti capitava, indi il soldato saccheggiava, ed infine abbiamo dato l’incendio al paese, di circa 4.500 abitanti. Quale desolazione… non si poteva stare d’intorno per il gran calore; e quale rumore facevano quei poveri diavoli che la sorte era di morire abbrustoliti, e chi sotto le rovine delle case. Noi invece durante l’incendio avevamo di tutto: pollastri, pane, vino e capponi, niente mancava”. Olocausto firmato dagli Einsatzkommando? No, soldati italiani, al comando di ufficiali italiani. E il villaggio non sta in Etiopia ma in Italia, nel Beneventano. Il suo nome è Pontelandolfo. Massacro a opera dei bersaglieri, data 14 agosto 1861, meno di un anno dopo l’ingresso trionfale di Garibaldi a Napoli. Pontelandolfo, nome cancellato dai libri perché ricorda che al Sud ci fu guerra, sporca e terribile, e non solo annessione.
    —————————–
    Meno male che questi avevano cultura!

  33. Anita
    Anita says:

    x Popeye

    Caro P,
    credo che ci sia una sola scuola d’arte in R.I. e’ la R.I.S.D in Benefit Street, Providence,R.I.
    E’ molto conosciuta e attira studenti da tutto il mondo.

    Rhode Island School of Design [RISD], Providence, RI
    Bachelor of Fine Arts, Photography
    Art History Concentration
    Rhode Island School of Design [RISD], Italy
    Independent Study
    Rhode Island School of Design [RISD], Paris, France
    SPEOS, Photography, Wintersession

    Li’ si studia molte forme d’arte, pittura, scultura, fashion design, architettura, etc….

    Se Follotitta non era un insegnante di pittura, di fotografia…etc…, potrebbe essere stato un insegnante di architettura a Roma, nel programma internazionale.
    O…un fashion designer, io opto per architettura.

    E’ un universita’ un po’ pazza, ma e’ frequentata da artisti o aspiranti artisti.

    I forgot to eat, I am hungry.
    TTYL,
    Anita

  34. Pino Nicotri
    Pino Nicotri says:

    DA PARTE DI MARCO TEMPESTA
    ——————————————
    Caro Uro, i dati del ’76 dimostrano come la debolezza delle sinistre non stia
    nel numero degli elettori di sinistra, ma nella incapacità dei partiti
    sedicenti di sinistra a coalizzarsi per un obiettivo comune. Che poi è sempre
    stato il tallone d’achille delle sinistre italiane.
    Il PRI ed il PSI che facevano comunella con la DC nonostante fossero uno il
    partito laico per eccellenza ( “Il Tevere più largo” lo ha scritto Spadolini) e
    l’altro il rappresentante del socialismo per definizione, sono la dimostrazione
    che l’essere di sinistra è una maniera molto individualista di concepire la
    politica, che in Italia è sempre e solo stata fatta dai segretari di partito e
    dai capicorrente.
    Vizio ereditato dai partiti che oggi vorrebbero sembrare di sinistra ma che
    possono ingannare solo le anime semplici come CC e qualcun altro qui dentro.
    Per cui parlare di sinistre riferendosi ai partiti in Italia, mi sembra del
    tutto fuori luogo. Come anche parlare di democrazia, se proprio vogliamo andare
    per il sottile.

  35. Pino Nicotri
    Pino Nicotri says:

    DA PARTE DI MARCO TEMPESTA
    ————————————————-
    Per la delizia degli storici del blog, quelli serii, intendo, ecco un elenco
    da leggere per intero, e scusate se è poco…..
    L’autore dello scritto non sono io ma Gennaro De Crescenzo, il quale ha anche
    aggiunto una ricca bibliografia che però ho omesso. Ok, buona lettura e cercate
    di ricordare quello che è scritto qui, prima di riparlare di Napoli. Grazie.
    ——–
    Dai lavori pubblici al diritto, dalle produzioni specialistiche alle scoperte
    scientifiche, dalle conquiste sociali alle tecnologie più avanzate, spesso,
    leggendo tra i documenti della nostra storia le notizie relative ai primati del
    Regno di Napoli, viene fuori un quadro inedito di una nazione che stava
    seguendo un suo percorso politico, sociale, economico e culturale coerente con
    le scelte delle sue classi dirigenti e con le aspettative dei popoli governati.
    In questa sede saranno segnalati sinteticamente i primati più significativi: in
    qualche caso si trattò di episodi importanti ma isolati della nostra storia,
    altri hanno costituito le basi e le premesse per ulteriori progressi.

    Tra i primati più famosi sono certamente da includere quelli legati ad
    alcune opere pubbliche realizzate intorno alla metà dell’Ottocento.

    Il 4 ottobre del 1839 fu inaugurata a Napoli la prima ferrovia italiana,
    la Napoli-Portici.
    Durante il viaggio la signora Cottrau, figlia di un funzionario
    pubblico, fu colta dalle doglie e a casa partorì il piccolo Alfredo, destinato
    a diventare un ingegnere specializzato proprio nella costruzione di linee
    ferroviarie
    (i 7.900 metri della strada erano stati costruiti in un anno:
    solo in ottobre l’avevano percorsa 57.779 persone;
    28.000 nei primi giorni di novembre.

    Nel 1843 fu inaugurato il tratto Napoli-Caserta prolungato fino a
    Capua nel 1845;
    nel 1856 il tratto Nola-Sarno mentre era già stata prolungata la prima
    linea fino a Castellammare.
    I progetti di Francesco II non furono portati a termine e le difficoltà
    attuali di molte linee ferroviarie meridionali confermano le difficoltà
    incontrate dallo stesso governo borbonico nel miglioramento delle ferrovie e la
    loro lungimiranza nella valorizzazione dei trasporti marittimi.

    E c’è ancora chi racconta che quella ferrovia era stata voluta dal Re
    per svago personale.

    Strettamente legata alla ferrovia era la fabbrica di Pietrarsa, la prima
    fabbrica metalmeccanica d’Italia con i suoi 1.500 operai
    (l’Ansaldo di Genova ne occupava negli stessi anni 480,
    la FIAT di Torino non era ancora nata).
    A Pietrarsa, infatti, venivano costruite anche le locomotive e le rotaie.
    L’antico stabilimento di cui si daranno notizie più approfondite nei capitoli
    successivi è attualmente sede di un Museo Ferroviario che conserva anche una
    ricostruzione della Bayard e dei vagoni della Napoli-Portici.

    Nell’aprile del 1832 era stato inaugurato il primo ponte in ferro in
    Italia sul Garigliano con un modernissimo traliccio metallico sospeso.
    Certamente meno famoso un altro primato legato sempre alle opere pubbliche del
    tempo:
    la costruzione della prima locomotiva collinare a cura di Giovanni
    Pattison, capace di superare pendii del 2,5% .
    Napoletano, inoltre, il primo faro lenticolare costruito in
    Italia.
    Napoletano anche il primo telegrafo elettrico nel 1849.

    Sempre dai Borbone fu voluta la prima illuminazione a gas di una città
    italiana (nel 1839 e solo dopo Londra e Parigi).
    E sempre Ferdinando II aveva fatto scavare per la prima volta dei pozzi
    artesiani (2).

    Tra i primati sarebbero da considerare anche i lavori per i famosi e
    tragicamente attuali Regi Legni o quelli per l’alveo del Sarno nel maggio del
    1858, che disegnarono l’assetto idrogeologico del territorio in maniera
    adeguata e sicura (3).

    Il 16 aprile del 1833 partì da Napoli la “Francesco I”, prima nave da
    crociera sicuramente per l’Italia e una delle prime al mondo. Preceduta da una
    campagna pubblicitaria simile a quelle attuali, si imbarcarono
    nobili, autorità, principi reali,
    13 inglesi, 12 francesi, 3 russi, 3 spagnoli, 2 prussiani, 2 bavaresi, 2
    olandesi, 1 ungherese, 1 svizzero, 1 svedese, 1 greco (con funzioni che oggi
    potremmo definire magari di tour operator).
    In poco più di tre mesi la nave passò per Taormina, Catania, Siracusa,
    Malta, Corfù, Patrasso, Delfo, Zante, Atene, Smirne e Costantinopoli e tornò a
    Napoli: il tutto, come per gli attuali crocieristi, con escursioni e visite
    guidate, balli, tavolini da gioco sul ponte e feste a bordo.
    Uno degli ospiti, l’architetto francese Marchebeus, così descrive il suo
    viaggio: “Il mare era grosso da due giorni […] avanzammo lentamente malgrado
    la forza dei 120 cavalli della nostra macchina e la notte ci sorprese con la
    minaccia di una tempesta. Il nostro bastimento suscitava sul suo cammino lunghe
    strisce di fiamme fosforescenti, ma pochi passeggeri erano in grado di
    interessarsi a questo fenomeno poiché quasi tutti erano in preda ad un orribile
    mal di mare. Quando il mare si placò nello stretto di Messina tutti tornarono
    arzilli come nulla fosse stato e sbarcammo a Messina dove in gran parte si fu
    invitati a un ballo offerto in onore del Re di Napoli allora giunto in
    città”.
    E tra feste e incontri importanti (il Re di Grecia, il governatore di
    Malta, i sultani) “il più grande e il più bel piroscafo tra quelli che si son
    veduti sinora nel Mediterraneo” rientrò a Napoli a mezzogiorno del 9 agosto
    1833. Sempre secondo il parere del cronista citato prima, “riassumendo, la
    prima crociera turistica che sia stata fatta, data l’epoca in cui ebbe luogo,
    per le persone che vi presero parte, pel programma-itinerario, per gli svaghi
    brillanti che l’accompagnarono, malgrado qualche inconveniente, può benissimo
    far dire: non si fa meglio oggi” (4).
    Le prime agenzie turistiche, del resto, a seguito degli scavi di Pompei
    ed Ercolano, si ebbero proprio nel Regno delle Due Sicilie e Napoli e Parigi
    erano le città con maggiore affluenza turistica tra Settecento e Ottocento (nel
    1838 solo negli alberghi di prima categoria risultavano oltre 8500 nominativi
    di turisti) (5).

    Alla stessa tradizione legata al mare si legano alcuni dei primati più
    famosi:
    il Regno aveva la prima flotta mercantile e la prima flotta militare
    d’Italia. Del resto era stato il giurista Michele de Jorio, di Procida, a
    compilare il primo Codice Marittimo, più volte citato o copiato, già nel 1781:
    prima di allora ogni stato aveva regolamenti slegati sui vari settori della
    navigazione e del commercio marittimo (6).
    Il “Ferdinando I”, poi, costruito a Napoli e partito da Napoli nel 1818,
    fu il primo piroscafo a solcare il Mediterraneo.
    A Castellammare era stata costruita la più grande corazzata italiana ad
    elica (il “Monarca”, 3800 tonnellate).

    A questo proposito c’è da sottolineare la costituzione della prima
    compagnia di navigazione a vapore nel 1836 e, sempre nel Mediterraneo, a
    dimostrazione del fatto che i Borbone avevano già intuito l’importanza degli
    scambi culturali, economici e commerciali con i paesi di quell’area per il
    meridione d’Italia.
    Successivamente Ferdinando II, con un decreto che evidenziava
    l’incremento dei traffìci e la volontà di incrementarli ulteriormente, concesse
    protezioni ed esenzioni fiscali “a qualunque suddito o estero stabilintesi nel
    Regno che costruisse nei cantieri del medesimo o vi introducesse dallo
    straniero un battello a vapore per destinarlo alla marina mercantile” (7).
    Nacquero così la compagnia di Vincenzo Florio, quella di De Martino, la
    Società Calabro-Sicula e, nel 1853, quella Società Sicula Transatlantica del
    palermitano Salvatore De Pace che con il piroscafo “Sicilia”, primo nel
    Mediterraneo, iniziò dei viaggi periodici in America in 26 giorni (8).

    Il primo bacino di carenaggio in muratura, sempre per la stessa politica di
    valorizzazione della risorsa-mare, fu inaugurato a Napoli nel 1852

    Tra le opere pubbliche e le conquiste sociali, invece, potrebbero essere
    considerate altre iniziative come la costruzione di orfanotrofi, ospizi,
    collegi, conservatori e strutture di assistenza e formazione che, per numero e
    per qualità, costituivano senza dubbio un primato a livello europeo.
    Tra i più famosi ed efficienti si ricordano senz’altro il Real Albergo dei
    Poveri di Napoli, una vera e propria città (1600 stanze) capace di ospitare
    formandole e avviandole al lavoro in diversi settori oltre 3000 persone,
    il Real Albergo dei Poveri d Palermo,
    il Collegio del Carminello a Napoli (addirittura con la possibilità
    di stage all’estero per le allieve),
    il Reale Ospizio di san Ferdinando a Salerno,
    il Real Collegio Tulliano ad Alpino,
    il Real Orfanotrofio Maria Cristina a Bitonto,
    il Real Ospizio Francesco I a Giovinazzo,
    la Real Casa di mendicità a Sulmona,
    l’Istituto Principi di Napoli (primo esempio al mondo di recupero e
    formazione professionale dei ciechi),
    i primi istituti per sordomuti (1835),
    il Reale Morotrofio di Aversa, primo e moderno ospedale psichiatrico
    italiano (e a questo proposito c’è da sottolineare anche l’alto grado di
    scientificità raggiunto dalla psicoterapia nel Regno).
    14 gli istituti d’istruzione media superiore,
    34 i conservatori complessivamente per ragazzi e ragazze nella sola Napoli
    (10).

    Risultavano anche altri primati molto significativi:
    la più bassa percentuale di mortalità infantile e la più alta
    percentuale di media per abitanti in Italia, percentuali interamente capovolte
    rispetto al resto della penisola italiana pochi anni dopo l’unificazione (11).

    Un vero e proprio sistema di “case popolari” applicato in maniera
    moderna per la prima volta in Italia, risultava sia a San Leucio presso Caserta
    che a Barletta (12).

    Anche se l’argomento non è tra i più ameni, non possiamo non citare un
    altro esempio di conquista sociale veramente all’avanguardia per i tempi:
    il 31 dicembre del 1763 fu inaugurato a Napoli, nei pressi di
    Poggioreale e su disegno di Ferdinando Fuga, il “Cimitero delle 366 fosse”
    (attualmente in pessime condizioni), “dove vadano a sotterrarsi i corpi di
    quelli che muoiono negli ospedali e di tutti coloro i quali per essere troppo
    poveri non possono portarsi nelle chiese”;
    vent’anni dopo a Palermo veniva costruito il primo cimitero in Europa ad
    uso di tutte le classi socialie nel 1817
    sempre Ferdinando I ordinava la costruzione di cimiteri in tutti i
    comuni del Regno in modo che “ai cittadini chiari nelle arti e nelle scienze, o
    per fatti di guerra si possa nei cimiteri innalzar monumenti od altro che valga
    a conservare la memoria sempre viva ed in pregio […] e si permetta di porre
    una lapide in memoria dell’amico e del parente. Le virtù private sono quelle
    che formano le pubbliche virtù e chi non porta niuno amore alla sua propria
    famiglia non potrà giammai amare quella più ampia cui egli appartiene, la
    Patria”(13).

    Altro primato invidiabile a livello sociale, infine, fu la creazione di un
    sistema pensionistico per i lavoratori con una trattenuta del 2% sugli
    stipendi; tutti gli impiegati collocati a riposo con 40 anni più un giorno di
    servizio avrebbero ricevuto la totalità dello stipendio (14).

    Lungo anche l’elenco dei primati di carattere culturale e scientifico.
    Il teatro San Carlo, realizzato in appena 270 giorni dall’architetto
    Mediano e dalla ditta Carasale nel 1737, il primo teatro nel mondo per il
    prestigio delle stagioni teatrali e musicali e per la qualità dell’edifìcio e
    dell’acustica.
    Nel 1812 vi fu annessa la prima Scuola di Ballo in Italia.
    Significativo del clima culturale del tempo anche il numero complessivo dei
    teatri e dei prestigiosissimi conservatori musicali in tutto il Regno.
    In questa sede non si possono non citare gli scavi di Pompei ed
    Ercolano, i più importanti scavi archeologia del mondo voluti da Carlo di
    Borbone e proseguiti dagli altri sovrani; significativa anche la sequenza delle
    istituzioni create parallelamente all’inizio degli scavi nel 1738;
    nel 1752 viene istituita la Stamperia Reale per illustrare con opportune
    pubblicazioni le antichità ritrovate negli scavi;
    nel 1753 furono rinvenuti i primi papiri ercolanesi e fu costituita
    un’Officina dei Papiri per lo studio e l’analisi;
    nel 1755 veniva fondata l’Accademia Ercolanese di Archeologia con i più
    famosi intellettuali del tempo;
    nel 1777 Ferdinando IV inaugurava il Real Museo Borbonico nel Palazzo
    dei Regi Studi (attuale Museo Archeologico Nazionale) per contenere tutto il
    repertorio museale antico del Regno, con i due grandi nuclei espositivi della
    Collezione Farnese e dei reperti di Pompei, Stabia ed Ercolano.
    La struttura ospitava anche le sedi della Reale Accademia Ercolanese,
    della Reale Accademia delle Scienze (1732, terza dopo quella di Londra e quella
    di Parigi) e della Reale Accademia di Belle Arti (1752, prima in Italia)
    costituendo il primo grande polo culturale italiano e uno dei più importanti
    poli culturali a livello mondiale.

    Nel 1752 era stata istituita la prima cattedra di astronomia in Italia e
    nel 1819 il primo Osservatorio Astronomico a Capodimonte.
    È del 1762 l’Accademia di Architettura, una delle prime e più
    prestigiose in Europa, inaugurata insieme a quella di Madrid per volere di
    Carlo di Borbone.
    Di grandissimo prestigio internazionale anche la Scuola di Cartografia:
    nel 1792 l’Atlante Marittimo Napoletano sostituì quello inglese.
    Nel 1801 fu inaugurato il primo Museo Mineralogico del mondo mentre,
    successivamente, erano stati portati a termine o ampliati i progetti di Murat
    per l’Orto Botanico e il Museo di Antropologia e Zoologia, tra i primi al
    mondo.
    Tra i primi in Europa anche il Centro Sismologico Vesuviano.
    A proposito di sperimentazioni scientifiche all’avanguardia, non si possono
    non segnalare anche a questo proposito
    San Leucio con il suo ciclo produttivo completo che andava dal baco al
    prodotto finito o il centro di sperimentazione agricolo e pastorale nel sito
    Reale di Carditello presso Capua o gli stessi risultati raggiunti
    nell’allevamento dei cavalli: il cavallo di razza napoletana, infatti, fu a
    lungo una sorta di moderna “Ferrari” presso le corti di mezzo mondo per
    eleganza e capacità (collo di agno e zampe possenti).

    Nel 1860 fu approvato il primo piano regolatore per la città di Napoli e
    tra i primi piani di questo genere in Italia. Francesco II, infatti, pochi
    giorni prima di lasciare il Regno, diede le opportune indicazioni in materia
    urbanistica “tenuto conto dell’accresciuta popolazione e delle continue e
    straordinarie richieste di ampie località create dal grande sviluppo delle
    industrie, del commercio e della navigazione di questa atta capitale”.

    Il progetto curato dall’architetto Sabatini prevedeva anche la creazione di
    un “centro direzionale” di Napoli proprio nell’area dove è stato realizzato
    circa 150 anni dopo, collegandolo con una linea ferroviaria “metropolitana” di
    cinque chilometri al centro storico (15).

    Tra industria e cultura qualche altro dato: erano 113 le stamperie
    attive nella sola capitale intorno al 1860; decine i giornali e le riviste
    scientifiche e culturali anche specialistiche (dal Bullettino Archeologico a
    quello di geografia, antesignano degli odierni periodici per viaggi e turismo,
    dall’Annuncio delle Scienze Chimiche e Farmaceutiche, al Propagatore delle
    scienze naturali, dallo Spettatore legale alla Gazzetta dei Tribunali, dall’Eco
    delle Industrie a L’industriale fino a L’amico dei Comici e dei Cantanti…);
    400 i titoli pubblicati ogni anno (cifra più che considerevole anche per i
    nostri tempi); un centinaio addirittura i giornali e i giornaletti stampati
    poco prima della fine del regno e in gran parte “rivoluzionari” a dimostrazione
    della relatività della proverbiale severità della polizia borbonica (16).

    Non a caso, del resto, considerato il clima nel quale si sviluppavano la
    cultura e le scienze del tempo, nel 1845 fu organizzato proprio nella capitale
    del Regno delle Due Sicilie il VII Congresso Internazionale degli Scienziati.

    Molto significativi, infine, alcuni primati nel settore delle industrie
    e delle produzioni artigianali.
    Alla Mostra Industriale di Parigi nel 1856, il Regno delle Due Sicilie
    risultava essere la terza potenza industriale del mondo dopo Inghilterra e
    Francia, la prima in Italia.
    Alla stessa mostra le paste e i coralli vinsero il primo premio per la
    qualità dei prodotti.
    Se, come si è detto, la fabbrica metalmeccanica di Pietrarsa era la
    prima fabbrica metalmeccanica d’Italia,
    il cantiere di Castellammare era il più grande e moderno (oltre 2000
    operai nel 1856).

    Da primato anche la produzione di carta (con le prime fabbriche
    motorizzate) e
    di guanti: fino a 700.000 dozzine di paia ogni anno (100.000 le dozzine
    prodotte da tutti gli altri stati italiani).

    Per concludere, poi, pochi ma significativi primati di natura
    economica:
    la prima cattedra di economia (affidata al Genovesi);
    la quotazione al 120% della rendita dello stato napoletano alla Borsa di
    Parigi nel 1860 (la più alta di tutti i paesi);
    il minore carico tributario erariale in Europa (17);
    dei 668 milioni di lire-oro, patrimonio di tutti gli stati italiani
    messi insieme 443 milioni erano del Regno delle Due Sicilie (18);
    la capitale del Regno, inoltre, risultava essere la città più popolosa
    d’Italia (447.065 abitanti rispetto ai 204.715 di Torino o ai 194.587 di Roma,
    come si rileva dal censimento del 1861);
    1.189.582 gli addetti all’industria nel Mezzogiorno continentale secondo i
    dati del primo censimento italiano del 1861,
    2.569.000 quelli all’agricoltura,
    189.504 al commercio,
    130.597 i pubblici impiegati,
    534.485 i liberi professionisti,
    240.000 soldati e addetti alla pubblica sicurezza (si pensi che, fatte
    le necessarie proporzioni, in Piemonte e Liguria gli addetti all’industria
    erano 345.563, quelli all’agricoltura 1.341.867; in Lombardia 465.003
    nell’industria, 1.086.028 nell’agricoltura).

    Significativi anche i dati relativi al movimento di importazione ed
    esportazione relativi agli ultimi anni del regno, per la forte tendenza
    positiva, tenuto anche conto del fatto che in quegli anni i prezzi di mercato
    subirono lievi ribassi e non aumenti:
    29.291.507 ducati dal 1845 al 1849,
    31.111.292 ducati dal 18450 al 1854,
    34.355.860 ducati dal 1855 al 1860 (19).

    Quasi a sintetizzare il quadro tracciato in queste pagine,
    non si conosceva la parola “emigrazione” nel Regno delle Due Sicilie, a
    differenza di molti altri paesi del resto dell’Italia e di quanto poi doveva
    accadere subito dopo l’unificazione.

  36. Pino Nicotri
    Pino Nicotri says:

    x Marco Tempesta

    Con il tuo modo di ragionare bisogna dunque dare ragione agli attentatori delle Twin Tower. Oltre che ai fucilatori delle Fosse Ardeatine e agli autori delle varie stragi come quella di Marzabotto. Per non dire di quella a Milano del generale Bava Beccaris e dei 20-40 mila massacrati dal generale Graziani per l’attentato contro di lui purtroppo fallito. Gli addendi infatti non mancavano neppure in quelle somme dei cadaveri prodotti. E non mancavano neppure le solite responsabilità degli “altri”.
    Cosa c’entri poi il “settembre nero” lo sa solo il Padreterno. Quello fu infatti uno scontro tra militari.
    Ti ocnfesso che mi suscita molta meraviglia e delusione che tu possa giustificare il massacro dei civili, in gran massa donne e bambini, di Sabra e Chatila con il fatto che la resistenza palestinese aveva messo radice in Libano. Forse che se tu fai il soldato o il miliziano i tuoi avversari sono autorizzati a massacrarti la famiglia e mezza Bisceglie, per giunta dopo avere struprato le tue donne e le loro figlie e quelle del paese?
    pino

  37. Anita
    Anita says:

    Per gli amanti della Storia Americana.

    Una rara collezione di foto di 150 anni fa’ della Guerra Civile…

    THESE PICTURES ARE VERY PROFOUND. It is most fortunate that these have survived.

    Most probably a million wet plate photos were made during the civil war on glass plate. Popular during the war, they lost their appeal after wars and so many were sold for the glass. Many were used in green houses.

    Over the years the sun caused the images to disappear.

    These are pretty amazing considering they were taken up to 150 years ago: An amazing compendium of photos from the era of the War Between the States.
    Run the cursor over the photograph and the picture caption will pop up. After clicking on (i.e, enlarging) a given photograph, click the “Back” button to get back the panel of photos.
    Also, save these by copy and paste or “Save” picture.

    Original Civil War photographs

    http://www.mikelynaugh.com:80/VirtualCivilWar/New/Originals2/index.html

    Anita

  38. G20, G8 e la strategia di Sarkozy: di Mario Lettieri* e Paolo Raimondi**
    G20, G8 e la strategia di Sarkozy: di Mario Lettieri* e Paolo Raimondi** says:

    Il 12 novembre prossimo la Francia assumerà la presidenza del G20 e il primo gennaio anche quella del G8. Il presidente Nicolas Sarkozy si sente investito di una missione storica, come ai tempi di de Gaulle. Nelle sue intenzioni c’è il disegno di fare dell’Unione Europea un attore globale. A fine agosto all’incontro con gli ambasciatori e diplomatici francesi convocati all’Eliseo, ha tracciato la sua strategia

    Al di là delle solite esagerazioni verbali galliche, sempre in cerca di miti di grandeur, il programma di lavoro di Sarkozy merita però un’attenta considerazione. Prima di tutto ha rigettato l’idea dei molti che ancora vorrebbero un ritorno al tran tran abituale. Il presidente francese ha indicato i temi di grande portate internazionale da affrontare con determinazione.

    Il primo riguarda la riforma del sistema monetario internazionale. Dopo la caduta di Bretton Woods nel 1971, “noi viviamo in un non-sistema monetario internazionale”, ha detto. Come noto, abbiamo avuto un lungo periodo di instabilità nei cambi, perciò il presidente francese propone non un ritorno ai cambi fissi, ma la realizzazione di adeguati strumenti per evitare l’eccessiva volatilità delle monete.

    Se per arrivare all’accordo di Bretton Woods ci volle un anno di lavori, oggi Sarkozy suggerisce l’organizzazione di un seminario internazionale di esperti da tenersi in Cina per approntare proposte per la riforma monetaria. Nuovi meccanismi internazionali di garanzia e controlli sui movimenti di capitali dovrebbero far parte di un sistema di regole multilaterali. Sarkozy lavorerebbe per il superamento del sistema monetario dominato da una sola moneta, il dollaro, anche perché il mondo da molto tempo è divenuto multi polare. Questo è un tema non più rinviabile, come anche noi abbiamo in passato evidenziato.

    Il secondo mira a creare dei meccanismi per neutralizzare il rischio della volatilità dei prezzi sulle materie prime che condiziona pesantemente l’economia dei singoli paesi. Bisogna partire dalla regolamentazione dei mercati dei derivati sulle commodities, sulla scia delle nuove regole proposte per contenere i derivati finanziari.

    Il presidente francese giustamente ritiene che la speculazione sulle materie prime e il cibo rappresenti il pericolo più grave di destabilizzazione economica e sociale.

    Il terzo tema verte sulla governance globale. Al riguardo egli prefigura la creazione di un segretariato permanente del G20 con il compito di attivare le decisioni prese collegialmente e per preparare i dossier di lavoro, coinvolgendo tutte le altre organizzazioni internazionali. Tra le priorità, mette anche la tassazione sulle transazioni finanziarie e la riforma della Banca Mondiale e del Fondo Monetario Internazionale.

    E’ senz’altro un progetto molto ambizioso, come ammette lui stesso. Ma noi riteniamo che contenga alcune proposte di riforma essenziali, che meritano il necessario sostegno, anche da parte dell’Italia.

    Questa visione strategica è in gran parte condivisibile, pur non approvando tutte le decisioni di politica economica sostenute da Sarkozy in sede nazionale ed europea. Egli spesso fa come il nostro ministro dell’Economia quando enuncia riforme e obiettivi condivisibili da raggiungere in sede internazionale, e poi adotta scelte discutibili in materia di politica interna nel nostro paese.

    Questo è il solito dilemma: collaborare per affrontare i più gravi problemi del pianeta, o litigare sulle singole questioni che dividono? Noi riteniamo che la portata della crisi richieda una grande riforma dell’economia e della finanza globale e che perciò si debba assolutamente raggiungere un’intesa complessiva tra interessi e posizioni differenti senza scadere nei soliti deludenti compromessi costruiti sui minimi comun denominatori.

    Nel suo discorso Sarkozy ha però mostrato un’idea dell’Europa imperniata sulla solita alleanza tra Francia e Germania. E questo è un grave limite se veramente si vuole rendere l’Europa, tutta l’Europa protagonista della svolta necessaria. Ma di questi problemi quando si discuterà nel nostro Parlamento?

    *Sottosegretario all’economia nel governo Prodi **Economista

  39. Gli Agnelli mannari: vestivamo alla ladrara
    Gli Agnelli mannari: vestivamo alla ladrara says:

    Fabrizio Massaro per “Milano Finanza”

    Riciclaggio. E’ questa la nuova ipotesi di reato su cui si sta muovendo la Procura di Milano che indaga sul presunto tesoro di Giovanni Agnelli nascosto all’estero. Un secondo tesoro occultato, secondo la Procura, ulteriore rispetto ai circa 1,4 miliardi di euro parcheggiati fuori dall’Italia e frutto dell’opa Exor del 1999, ormai venuti alla luce.

    Su questi 1,4 miliardi non dichiarati il sipario si è infatti chiuso circa un mese fa. A ridosso di Ferragosto, da un lato l’accomandita Giovanni Agnelli & C (holding che raccoglie tutti i rami del composito clan familiare), dall’altro la moglie dell’Avvocato, Marella Caracciolo, e la figlia Margherita Agnelli de Pahlen hanno raggiunto un accordo con il Fisco per circa 100 milioni complessivi.

    Una cifra di per sé imponente, eppure modesta rispetto alle somme in gioco, ma determinata sulla base degli elementi di prova maggiormente solidi che l’Agenzia delle Entrate era riuscita a recuperare. Quelle prove, per essere più chiari, che avrebbero sicuramente resistito a un eventuale ricorso degli Agnelli.

    L’accomandita ha già versato i 50 milioni di sua competenza, chiudendo le pendenze con il Fisco. Le due eredi invece non hanno ancora definito la questione, a quanto pare per il rifiuto di Margherita di pagare la sua quota di 25 milioni (altrettanti sono per Marella, che risponde in solido) per un’evasione da lei non compiuta, visto che nel 2003, alla scomparsa del padre, la dichiarazione dei redditi venne firmata solo dalla madre Marella.

    L’ipotesi di riciclaggio non riguarderebbe dunque questi 1,4 miliardi. Nello scenario ipotizzato dagli inquirenti ci sarebbero approssimativamente ancora 600-700 milioni non portati a conoscenza delle autorità fiscali italiane. Milioni che, se fossero reperiti, potrebbero essere a loro volta oggetto di una nuova contestazione da parte dell’Agenzia delle Entrate. Dovrebbe trattarsi del denaro che Margherita sostiene essere stato escluso dall’inventario dei beni del padre fatto in occasione dell’accordo ereditario del 2004 fra Marella e Margherita.

    Sulla base di quell’accordo, Margherita ottenne circa 1,15 miliardi di euro in cambio della rinuncia alle quote della Dicembre, la società semplice a monte dell’accomandita, e di cui John Elkann (figlio di Margherita) è primo azionista. Secondo l’ex legale di Margherita, Emanuele Gamna, ammontava a 1,5 miliardi di euro il patrimonio inventariato al momento dell’accordo.

    A Milano i pm Eugenio Fusco e Gaetano Ruta hanno da tempo sulla scrivania il faldone sul presunto tesoro di Agnelli e in quest’ambito a fine 2009 hanno indagato per estorsione proprio Margherita e il suo avvocato Charles Poncet. Avrebbero infatti tentato di ottenere dall’ex legale della signora de Palhen, Emanuele Gamna, parte dei 15 milioni di euro da lui incassati in nero all’estero come parcella per l’accordo del 2004, oltre a una dichiarazione giurata sui conti esteri dell’Avvocato da usare nel processo civile promosso da Margherita contro la madre e contro Gianluigi Gabetti, Franzo Grande Stevens e Sigfried Maron, considerati i gestori del tesoro estero di Agnelli. Una causa che però ha visto Margherita sconfitta all’inizio di quest’anno.

    Nel marzo scorso, per l’evasione fiscale sulla parcella, Gamna è stato condannato con rito abbreviato a 14 mesi di reclusione (pena sospesa) e a rifondere 10 milioni al Fisco. E’ proprio da alcune dichiarazioni di Gamna che avrebbe preso corpo la nuova caccia al tesoro estero, per il quale si ipotizza il riciclaggio. Sono già partite due rogatorie, una per la Svizzera e una verso il Liechtenstein (dove si trovava Alkyone, il fondo da cui Margherita ottenne la sua quota di eredità), e potrebbe esserne avviata una terza verso un Paese europeo.

    Nel mirino ci sarebbe fra l’altro un conto corrente aperto presso la Morgan Stanley di Zurigo: gli inquirenti vogliono conoscere riferimenti e movimenti dei conti e dei titolari (persone fisiche o giuridiche). Già diverse persone sarebbero state sentite dai magistrati, come il misterioso nobile molto introdotto nell’alta finanza elvetica che avrebbe svelato alcuni segreti sui conti esteri presuntamente riconducibili all’Avvocato.

    Una delle ipotesi da esaminare riguarda l’eventuale investimento di una parte di questi milioni in strumenti finanziari a lungo termine ma comunque smobilizzabili, che però sono stati lasciati all’estero dopo lo scoppio del caso in seguito alla causa avviata da Margherita. Un denaro che (qualora esistesse davvero) l’Avvocato potrebbe avere deciso di lasciare a chi avesse preso le redini della famiglia, per garantirgli una sua autonoma forza patrimoniale.

  40. marco tempesta
    marco tempesta says:

    Ti confesso che mi suscita molta meraviglia e delusione che tu possa giustificare il massacro dei civili, in gran massa donne e bambini, di Sabra e Chatila con il fatto che la resistenza palestinese aveva messo radice in Libano. (Pino)
    ————–
    Non giustifico proprio niente. Dico soltanto che in guerra queste cose accadono. Mai sentito parlare di interi villaggi gasati nella recentissima guerra di Bosnia? Di criminali di guerra serbi?

    La resistenza palestinese ha causato la distruzione del Libano, non si è limitata a metterci radici.
    Settembre nero è stata la reazione di Hussein alle prepotenze e allo strapotere della presenza militare palestinese.

    Uno può avere tutta la solidarietà che si vuole per un popolo oppresso, non sono certo io a negare la tragica situazione palestinese. Purtroppo quando si entra in uno stato di belligeranza, dichiarata o meno che sia, quando insomma esiste il nemico, viene fuori la parte peggiore dell’uomo, da una parte e dall’altra. Non solo da una parte. Indipendentemente dai torti e dalle ragioni.

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  1. […] dal sito di Pino Nicotri Pubblicato 5 ottobre 2010 Archivio , Libano Lascia un  commento http://www.pinonicotri.it/?p=2179#more-2179 […]

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