I giganti e gli esseri umani (favola per i figli senza dio)
Ci fu un tempo in cui un popolo (quello ebraico) scrisse che l’uomo e la donna erano stati fatti a immagine e somiglianza dei loro creatori.
In quel “facciamo l’uomo a nostra immagine e somiglianza” non c’era nulla di extraterreno, nulla di magico o di individuale. L’essere umano, maschile e femminile, era stato creato da altri esseri umani come loro, i cui poteri di creazione e di generazione, di produzione e di riproduzione volevano mettere a disposizione dei loro figli.
Gli antichi ebrei, dopo aver perduto l’esatta memoria di questi progenitori della specie umana, li chiamarono “giganti”.
I giganti non morivano come noi oggi, e neppure gli esseri umani creati da loro, ma dopo la colpa d’origine, che distrusse l’innocenza primordiale, subentrò la morte. Gli uomini non potevano più guardare in faccia chi li aveva generati. I figli si vergognavano di guardare in faccia i loro padri e le loro madri. E, per poterli rivedere, dovevano prima morire.
Per poter capire quel che erano stati, gli uomini dovevano smettere di essere quel che non erano. Solo così potevano ridiventare se stessi. La morte non fu soltanto la punizione per una grave colpa commessa, fu anche il solo modo per avere la possibilità di pentirsi e di tornare ad essere quel che si era: felici e immortali.
Poi fu la dimenticanza a portare a credere che esistesse un creatore così potente d’aver creato l’intero universo e che questo creatore si chiamasse “dio”, dotato di superpoteri, sconosciuti agli uomini.
E non solo la dimenticanza portò a esagerare, ma anche la convinzione d’aver perduto in maniera irreparabile qualcosa di fondamentale per la propria esistenza. La nostalgia del passato e l’orgoglio del presente ci fecero come impazzire.
Ma all’inizio non fu così. Gli stessi ebrei antichi ricordavano che il creatore e la sua donna creatrice passeggiavano nel giardino insieme agli uomini e alle donne che avevano generato. E anche questi si riproducevano, ben prima della colpa che spezzò l’unione primordiale.
Fu un errore pensare che l’innocenza degli uomini primitivi voleva dire guardarsi come i bambini. L’innocenza non era tanto una questione del corpo, ma una questione della mente, una forma d’interiorità spirituale: vivere la propria libertà nel rispetto di quella altrui.
L’uomo poteva guardare in faccia chi l’aveva generato perché tra i due non vi era molta differenza. Solo una pura e semplice questione di tempo, come esiste sempre un prima e un dopo. E forse neppure questa, poiché nell’universo l’infinito e l’eterno coincidono.
L’idea di “dio” è stata inventata dagli uomini quando si è perso il ricordo del familiare rapporto dei figli coi loro padri.
Gli esseri umani non provengono dagli animali. Sono gli animali che provengono dall’essere umano universale, da quei “giganti primordiali” che la fantasia umana ha creduto di poter scorgere, nascosti, dietro quel “facciamo”. Ogni animale ha una caratteristica umana accentuata. L’animale ha un particolare che ha preso il sopravvento sugli altri: i felini, p. es., han trasformato le nostre torce in occhi per la caccia notturna, i nostri coltelli in unghie affilate per catturare le prede.
Quando i “giganti” si sono stancati di “giocare” con gli animali, creandone di specie infinite, hanno generato gli esseri umani, con cui non potevano semplicemente giocare, poiché l’uomo e la donna furono dotati di una caratteristica sconosciuta agli animali, la stessa che avevano i “giganti”: la libertà di scelta, cioè il fatto di poter dire di no a una cosa giusta, a una decisione d’importanza vitale.
Coloro che ci hanno messo al mondo sono uomini e donne come noi, che avrebbero voluto renderci partecipi dei loro poteri se non avessimo rotto i rapporti con loro.
I poteri dovevano servirci per rendere l’universo bello come la Terra, che doveva fungere da modello per tutti gli altri pianeti. Un compito di una grandezza immensa, com’è immenso l’universo.
Ora non ci resta che imparare dai nostri stessi errori, pagando di persona e come specie. L’obiettivo è lo stesso, ma lo dovremo raggiungere seguendo un percorso accidentato, molto più difficile e col rischio di smarrire la “diritta via”.
Il modello umano da diffondere nel cosmo è quello dell’uomo primitivo, non “civilizzato”: l’opposto di quello che la storia vede a partire dalle civiltà schiavistiche. L’uomo preistorico è stato quello che ha vissuto più di ogni altro essere umano, quello che ha meglio rispettato la natura, quello che viveva in maniera più sana, più giusta, più libera, quello che non divideva la società in liberi e schiavi, in forti e deboli, in superiori e inferiori…
Noi dobbiamo tornare ad essere primitivi, per uscire definitivamente dalla “civiltà”. Solo così potremo ritrovare chi ci ha creati e riprendere il cammino là dove si era interrotto.