La scomparsa di Emanuela Orlandi: dopo il ventennio nero di balle sulla pista “turco-sovietica” ecco in scena la versione riveduta e corretta di Sabrina Minardi. Le cui parole, a differenza di quelle delle D’Addario sui vizi di Berlusconi, sono immediatamente assurte al rango di verità rivelata. Proprio quando in Vaticano accelerano la volontà di beatificare papa Wojtyla

Non c’è che dire: il titolo del mio libro sul caso Orlandi è quanto mai azzeccato: “Dai Lupi Grigi alla banda della Magliana”. Ma ieri, nel corso di otto interviste per radio e agenzie e due per Raitre, sono rimasto sgomento per la generale mancanza di memoria. Comprensibile, visto che si tratta di una piece, una tragedia camuffata da farsa che però si vuole spacciare come dramma mondiale, “rapimento mediatico” – come l’ha ironicamente bollato il magistrato romano Severino Santiapichi – che si trascina da oltre 26 anni… Soprattutto i giovani, che ne sanno? Non sempre c’è tempo per documentarsi, e in ogni caso come orientarsi nell’oceano di chiacchiere, balle, depistaggi, deliri e inganni vari rifilati ai mass media, e da questi supinamente avvalorati, per oltre un quarto di secolo? Ma la disinvoltura di queste ore lascia sgomenti. Se non peggio. Anche perché è una spia di come in Italia si sia sfarinato e si vada sfarinando un po’ tutto, in particolare ciò che dovrebbe essere robusto e non sfarinabile, a partire dalla politica e dalle istituzioni, assi portanti della democrazia e della pacifica convivenza civile. Se si arriva a privatizzare perfino l’acqua, in attesa forse di privatizzare anche l’aria, si può ben privatizzare e appaltare anche la verità di turno…. Ma veniamo al sodo.

Per  oltre 20 anni si sono sbracciati a giurare e rigiurare in continuazione che erano stati i terroristi turchi, i Lupi Grigi musulmani manovrati come burattini dai comunisti atei di Mosca, e che l’avevano rapita per scambiarla con il loro sodale Alì Mehmet Agca in galera a vita in Italia per avere sparato al papa. Poi di colpo, un anno e mezzo fa, salta fuori l’ennesima “supertestimone” di turno, Sabrina Minardi, da anni dentro e fuori le case di cura per drogati, e  pretendono ci si dimentichi di questi oltre 20 anni di balle “turche” e “comuniste” e che si accetti a occhi chiusi il nuovo vangelo: a rapirla e a ucciderla è stata la banda della Magliana per mano del boss Enrico “Renatino” De Pedis. Il racconto della Minardi – che riporto per intero qui in basso – era un po’ troppo confuso per essere credibile, tant’è che non se ne è saputo più nulla. E’ riesploso di colpo ieri, giovedì 19 novembre 2009, con la pretesa di avere risolto il caso, cioè a dire un giallo che dura da ormai 26 anni e mezzo.  La novità è che la Minardi “ha riconosciuto la voce” di un tizio che una volta ha telefonato a casa degli Orlandi dicendo di chiamarsi “Mario” per raccontare balle su Emanuela scomparsa da casa da qualche giorno. L’altra novità è che nel nuovo racconto la Minardi ha eliminato le parti chiaramente impossibili. Mah. Questa nuova versione ripulita mi ricorda gli esami da rimandato a ottobre, quando si passa l’estate a studiare meglio una materia per poter superare l’esame di riparazione a ottobre. Solo che nel caso della Minardi l’esame i riparazione è stato rimandato a novembre, e di un anno e mezzo dopo: tempo per prepararsi meglio ce n’è stato quindi a iosa…. Qualche lezione privata, qualche lezione imparata meglio, magari a memoria, e il nuovo esame magari si supera. Forse.

E sì, forse, perché non tutte le ciambelle riescono col buco. Per esempio: E’ IMPOSSIBILE credere che la Minardi non abbia mai ascoltato prima di mercoledì la telefonata di “Mario”, per il semplice motivo che in parte era già stata diffusa da tempo da “Chi l’ha visto?” ed era ascoltabile dal link

http://www.chilhavisto.rai.it/Clv/img/o/OrlandiEmanuela/mario1.wma , grazie al quale ho ascoltato e riascoltato la telefonata decine di volte anch’io. Non voglio pensare abbiano fatto sparire da Internet nelle ultime ore il file, ma di sicuro c’era ed è dimostrabile perché come me lo hanno sentito vari colleghi, compreso chi me lo ha inviato per e-mail.

Sono comunque curioso di vedere se dai “ricordi” la Minardi ha tolto anche le sue cene a braccetto del boss criminale De Pedis, per giunta all’epoca latitante, a casa di Giulio Andreotti e consorte. E se ha tolto anche il nome di monsignor Paul Marcinkus, all’epoca governatore del Vaticano e della sua banca – il famoso e famigerato istituto bancario ipocritamente chiamato Istituto per le Opere di Religione (IOR) – nonché responsabile della sicurezza del papa, quale mandante dell’asserito rapimento e annessa uccisione della Orlandi. A seguito dello scandalo del Banco Ambrosiano, con annesso “suicidio” del suo amministratore Roberto Calvi, Marcinkus si vide spiccare dalla magistratura italiana un mandato di cattura, rimasto purtroppo lettera morta.

Intanto c’è da fare una osservazione fondamentale, che sgombera il tavolo da troppa fuffa, come ieri mi sono sgolato a spiegare anche a Rai News e a Linea Notte di Raitre. Si usa dire fin dall’inizio che Emanuela poche ore prima della sua scomparsa è stata vista – dal vigile urbano Alfredo Sambuco e dal poliziotto Bruno Bosco – parlare con un tizio davanti a palazzo Madama, sede del senato, affianco alla Bmw color “verde tundra” dello stesso tizio. Bene. O meglio: male. Malissimo. A leggere infatti il resoconto fatto al Sisde, cioè ai servizi segreti civili di cui all’epoca faceva parte, di Giulio Gangi, che in quanto amico di una cugina (Monica Meneguzzi) di Emanuele si è dato da fare fin dai primi giorni, la ragazza di cui gli hanno parlato a botta calda sia Sambuco che Bosco NON può essere Emanuela. Ripeto: NON può essere Emanuela. Perché? Perché Bosco parla di una ragazza “con uno zainetto a spalla”, mentre nel comunicati diffuso dagli Orlandi già il giorno dopo, 24 giugno, c’è scritto a chiare lettere che Emanuela è uscita di casa con una borsa di cuoio e un astuccio rettangolare nero che contiene il suo flauto. Come si legge a pagina 45 e 46 del mio libro:

“Mentre l’aereo di Wojtyla vola verso Roma, gli Orlandi decidono di stilare un breve testo che zio Meneguzzi porta ai giornali, pubblicato già il giorno dopo – 24 giugno – da «Il Tempo» e il 25 anche da «Il Messaggero» e «Paese Sera» nelle pagine delle cronache romane. Sotto il titolo Chi ha visto Emanuela? si legge: «Dalle ore 19:15 del 22 giugno si sono perse le tracce di Emanuela Orlandi, 15 anni, vista per l’ultima volta da due compagne di scuola in corso Rinascimento, di fronte al Senato. Emanuela è alta un metro e 65, corporatura snella, occhi marrone, capelli castano-scuri lunghi. Indossa pantaloni jeans con bretelle, camicetta bianca, e ha una borsa di cuoio e un astuccio nero rettangolare dove tiene un flauto. Chi l’avesse vista o ne avesse notizie, può telefonare al numero 69.84.982», vale a dire a casa Orlandi. Come si vede, non si parla affatto dello zaino visto da Bruno Bosco addosso alla «ragazzetta», mentre invece si parla di «una borsa di cuoio» e di un «astuccio nero rettangolare» per il flauto di cui però il poliziotto con Gangi non ha fatto nessuna menzione”.

Il flauto è dovuto al fatto che Emanuela, studentessa di liceo scientifico, era anche una studentessa di flauto, pianoforte e canto corale al conservatorio di S. Apollinare. Se Emanuela è uscita di casa con una borsa a mano NON può essere la ragazza che ha invece uno zainetto a spalla e NON una borsa di cuoio a mano. Per non parlare della mancanza del lungo e vistoso astuccio nero con dentro il flauto.
Tutta la storia della Bmw si può quindi buttare via, assieme alle testimonianze – se così vogliamo chiamarle… – del vigile e del poliziotto di servizio quel giorno e in quelle ore davanti al senato. E se la Bmw si può buttare, allora puzza molto l’insistere anche della Minardi su – guarda caso – una Bmw, ovviamente di De Pedis e/o del suo giro. Ma proseguiamo.

Come pure ho scritto nel mio libro, a leggere il rapporto di Gangi al Sisde si scopre anche che né Bosco né Sambuco hanno mai detto che l’uomo della Bmw aveva con sé, da mostrare alla ragazza, prodotti di bellezza Avon. Bosco ha detto a  Gangi solo di avere visto da una ventina di metri “un tascapane di tipo militare” che, una volta aperto, mostrava al suo interno la lettera A maiuscola. E Sambuco mi ha addirittura giurato che lui di Avon NON ha mai parlato! Mai a verbale con i carabinieri (della sede di via In Selci). Se si è prestato a parlare di Avon in qualche intervista – nelle quali peraltro si contraddice clamorosamente perfino su più cose – lo ha fatto solo per supportare quanto detto da Federica Orlandi a proposito dell’ultima telefonata di sua sorella Emanuela. “Per dare qualche speranza a quei poveracci”, mi ha spiegato Sambuco, come ho riportato nel libro. Ma proseguiamo.

Strano. I giornali dicono che il “riconoscimento” della voce è avvenuto solo mercoledì 18 c. m. Com’è possibile quindi che senza uno straccio di verifica si spari nel giro di poche ore la certezza che ormai il caso è risolto? Tanta fretta mi ricorda la sceneggiata di Alì Agca fatto trovare “per caso” ai vari giornalisti – appositamente convocati – subito dopo l’interrogatorio fatto dal magistrato Margherita Gerunda su segnalazione del Sisde che – chissà perché e su base zero – indicava in Agca il possibile movente del “rapimento”. In ogni caso, quando si parla di “riconoscimento della voce” di una telefonata bisogna andarci cauti. Molto cauti. Nel 1979 io e il professore Toni Negri venimmo arrestati con l’accusa – tra le altre – di avere rapito il leader democristiano Aldo Moro. Alla base delle fantasmagoriche e demenziali accuse c’era “il riconoscimento delle voci” mie e di Negri da parte di un paio di persone che avevano sentito alla radio e alla televisione le telefonate di alcuni brigasti del sequestro Moro, telefonate intercettate dalla polizia e fatte diffondere dal ministero dell’Interno. Come è noto, quei due “riconoscimenti” si sono rivelati due colossali “sole”, vocabolo che nel gergo romano significa “bidoni”. Per quale motivo invece il “riconoscimento” della Minardi si vuole sia credibile? Già un paio di anni fa un pentito del banda della Magliana, Antonio Mancini, raccontò in una puntata del programma televisivo “Chi l’ha visto?” che la voce di Mario era quella di un certo “Ruffetto”, forse di nome Libero ma di cognome non reso noto, killer della Magliana molto apprezzato da De Pedis. Qualche giornale scrive che una perizia ha dimostrato che Mancini s’è sbagliato, ecco perché ora si cambia cavallo e si punta sul “Mario” della Minardi. Bene. Ma scusate: se si è sbagliato Mancini, che in quanto membro di un certo peso della banda della Magliana doveva conoscere “Ruffetto” piuttosto bene ed è quindi strano ne abbia confuso la voce, è ancor più probabile che si sbagli anche la Minardi. O no? O qualcuno ha regalato alla Minardi la patente di infallibilità, manco fosse il papa e nonostante le enormi cazzate sparate un anno e mezzo fa?

La “rivelazione” di Mancini ha fatto la fine che meritava, ma NON ha insegnato nulla a certi inquirenti: sembra di rivedere le informative del Sisde alla Gerunda, suggestive, pilotate, ma campate sul nulla. O meglio: campate sulla malafede e volontà di depistaggio, come gli anni hanno implacabilmente dimostrato. La Minardi l’altro ieri ha detto la stessa cosa, ha cioè detto che si tratta di “Ruffetto”? C’è chi dice di sì, e c’è chi dice di no. Come che sia, riconoscere una voce a 26 anni e passa di distanza è possibile? E’ credibile? Mah. La perizia fonica fatta comparando la voce di una persona con quella registrata telefono è impresa ardua: i telefoni infatti, specie quelli di un quarto di secolo fa, “tagliano” le frequenze estreme della voce umana, cioè le frequenze più alte e quelle più basse, ma in questo modo la comparazione delle due voci avviene con una delle due, quella al telefono, in parte mutilata. Raggiungere la certezza in queste condizioni è impossibile, come dimostrano vari casi giudiziari anche clamorosi. La perizia diventa ancor più difficile – o impossibile? – perché il quarto di secolo passato nel frattempo ha alterato – se non altro per motivi ormonali ai quali si possono aggiungere il fumo, eventuali malattie, l’alcol, ecc. – la voce da comparare con quella di tanto tempo fa: la mia voce di oggi è eguale a quella che avevo 26 anni fa? Ne sarei sorpreso, visto che molte altre cose del mio corpo, eccetto forse il colore degli occhi e la forma delle orecchie, sono cambiate… E la perizia diventa ancor più difficile – o impossibile? – se ci si basa sul ricordo di come era una voce di qualcuno di più di un quarto di secolo fa.  O no?
Ecco perché tutta questa “notizia bomba” mi puzza. “Bomba” sì, ma del tipo bombetta puzzolente. E mica poco.

Stranissimo. Se una D’Addario più altre donne dicono di essere state a letto con Silvio Berlusconi, e documentano la cosa con foto scattate a casa sua e registrazioni dei suoi consigli erotici, viene subito alzato un fuoco di sbarramento per definire i loro racconti e le loro prove come robaccia adulterata. La merce di una Minardi viene invece di colpo avvalorata come oro colato. Mah.  Altro che due pesi e due misure. Quando si tratta di Berlusconi, Dell’Utri, Previti, Mills, ecc., si grida al complotto delle “toghe rosse” e che non sono credibili neppure le condanne confermate in terzo grado. Se invece parla una Minardi ecco che diventa di colpo una “supertestimone” e i suoi vaneggiamenti diventano di colpo vangelo, “rivelazioni”. Mah. Vedremo. Sì, vedremo se e quali verifiche hanno fatto i magistrati e quali prove hanno trovato a conferma. Per carità: tutto è possibile…. O quasi.

Torniamo ora alla Bmw, che pare ormai da anni un incrocio tra l’Olonese Volante, Moby Dick e un disco volante. Già ad agosto dell’anno scorso era stata data una notizia clamorosa. Buttato a mare come se niente fosse il ventennio nero di balle e depistaggi “islamicico-turco-comunisti” e sostituito da un paio di mesi Agca con la Minardi, ecco che il giorno prima di ferragosto sul sito di «Repubblica» e dell’agenzia Agi a partire dalle ore 15:54 compare il seguente capolavoro, dove tra un mare di se e di verbi al condizionale l’unica cosa data per certa è che è stata finalmente trovata la famosa Bmw e che su tale auto Emanuela ci venne «caricata». Particolare quest’ultimo intrigante, ma inventato di sana pianta perché non è mai esistito nessun testimone che l’abbia vista salire o venire “caricata” su quell’auto:


“È da tempo oggetto di analisi di laboratorio la Bmw, parcheggiata dal ’95 a Villa Borghese e rimasta inutilizzata in tutti questi anni, che potrebbe essere collegata al sequestro di Emanuela Orlandi. Chi segue la pista della Banda della Magliana, come ha suggerito mesi fa la supertestimone Sabrina Minardi, ex amante del boss Renato De Pedis, è convinto che dall’esame di questa vettura possano emergere elementi preziosi all’inchiesta. Quella Bmw potrebbe essere l’auto su cui fu caricata la 15enne il 22 giugno del 1983, giorno del rapimento, e potrebbe essere stata utilizzata successivamente dalla stessa Minardi per raggiungere il benzinaio del Vaticano e consegnare la ragazzina a un uomo con l’aspetto di un monsignore. La procura ha affidato agli esperti della polizia scientifica l’esame del dna su quanto repertato a bordo dell’auto nella speranza che si possa fare chiarezza sulla scomparsa della ragazza. “La pista che stiamo seguendo è quella giusta – è la sensazione di un inquirente –, servirebbe un pizzico di fortuna perché è trascorso tanto tempo ed è difficile trovare le prove”. Sulla vicenda, comunque, è intervenuto l’avvocato Renato Borzone, difensore di Flavio Carboni che, stando ai primi accertamenti, sembrerebbe essere il proprietario di quella Bmw poi passata di mano ad altri: “In mancanza del tradizionale giallo estivo o dell’omicidio dell’estate, si è preferito ripiegare su questa boutade ferragostana”, ha detto il penalista. “Ora non ci resta che attendere la prossima puntata” “.

E’ questa, esplosa in queste ore, la nuova puntata? Staremo a vedere. Anche a voler credere alla Minardi, le cose comunque chiare come la luce del sole ed assodate sono comunque intanto almeno due, e mica da ridere:
– la pista “turco-sovietica” era una bufala, che ci hanno voluto imporre per due decenni abbondanti;
– il Vaticano non solo ha mentito in lungo e in largo, e non si mente per 26 anni solo per proteggere – che so – un barista o una guardia svizzera, ma è anche il mandante, nella persona di Marcinkus, del rapimento e assassinio di Emanuela. A pagina 182 del mio libro c’è l’elenco impietoso, lungo una intera pagina, di tutte le balle e le cose poco credibili raccontate dal Vaticano o da esso comunque avvalorate.

Ed eccovi ora quanto ho già scritto nel mio libro, che, si badi bene, è uscito esattamente un anno fa:

Il 22 giugno 2008 è il 25esimo anniversario del «rapimento». Come per incanto a Roma ricompaiono i manifesti di Emanuela Orlandi e Mirella Gregori di un quarto di secolo prima, per opera delle sorelle delle due ragazze scomparse, e il giorno dopo le agenzie di stampa sparano indiscrezioni di una precedente deposizione davanti ai magistrati dell’ex amante di Renatino. Ecco per esempio come ne parla il lancio dell’agenzia Agi:

“ORLANDI: TESTIMONE, LA CONSEGNAI A UN SACERDOTE; ERA INTONTITA = (AGI) – Roma, 23 giu. – «Io arrivai lì al bar Gianicolo con una macchina – racconta. Poi Renato, il signor De Pedis, con cui in quel tempo avevo una relazione, mi disse di prendere un’altra macchina, che era una Bmw e di accompagnare… Cioè arrivò questa ragazza, una ragazzina, arrivò questa ragazza e se l’accompagnavo fino a sotto, dove sta il benzinaio del Vaticano, che ci sarebbe stata una macchina targata Città del Vaticano che stava aspettando questa ragazza. Io l’accompagnai: così feci. Durante il tragitto… non so quanto tempo era passato dal sequestro di Emanuela Orlandi… la identificai come Emanuela Orlandi… Era frastornata, era confusa ’sta ragazza. Si sentiva che non stava bene: piangeva, rideva. Anche se il tragitto è stato breve, mi sembra che parlava di un certo Paolo, non so se fosse il fratello. Va be’, comunque, io quando l’accompagnai c’era un signore con tutte le sembianze di essere un sacerdote, c’aveva il vestito lungo e il cappello con le falde larghe. Scese dalla Mercedes nera, io feci scendere la ragazza: “Buonasera, lei aspettava me?”. “Sì. Sì, credo proprio di sì”. Guardò la ragazza, prese la ragazza e salì in macchina sua. Poi, io, dopo che avevo realizzato chi era, dissi, quando tornai su, a Renato: “A’ Rena’, ma quella non era…” Ha detto: “Tu, se l’hai riconosciuta è meglio che non la riconosci, fatti gli affari tuoi” “.

Come si vede, se Emanuela «non stava bene», a giudicare dall’eloquio non è che Sabrina Minardi durante il racconto stesse meglio. Tralasciamo il far comparire con nonchalance la Bmw, il problema è che l’amante di De Pedis dice «la identificai come Emanuela Orlandi». E come ha fatto a identificarla? Le ha chiesto il nome e cognome? Le ha chiesto i documenti? S’era impressa nella mente le vecchie foto sui giornali, lei che era sempre strafatta di cocaina?

Lo stesso giorno del lancio dell’Agi le edizioni on line dei quotidiani sono più generose, danno più particolari. La confusissima Minardi è promossa a tamburo battente «supertestimone» e viene portata sugli scudi. Nell’Italia berluscona e veltrona «se po’ fa’» ormai anche questo. Vediamo l’articolo di www.repubblica.it che riassume il tutto punto per punto e ha il pregio di dire una castroneria madornale, imperdonabile, e una forse veniale. Quella madornale è che ipotizza la consegna di Emanuela al sacerdote da parte della Minardi come avvenuta «forse durante il rapimento», cioè come suo fine! Quella forse perdonabile è che fa parlare «la sorella» di Emanuela, ma non dice quale delle tre: in ogni caso, è bene tenere a mente cosa dice «la sorella», perché in un’altra intervista dirà l’esatto contrario. Miracoli vaticani? Come che sia, ecco i passi salienti dell’articolo di Marino Bisso e Giovanni Gagliardi:

“Emanuela Orlandi sarebbe stata prelevata da Renatino De Pedis su ordine di monsignor Marcinkus, all’epoca presidente dello IOR. Lo rivela Sabrina Minardi, la supertestimone che per anni fu l’amante del boss della banda della Magliana Enrico De Pedis, detto Renatino. La ragazza, dice Minardi, sarebbe poi stata uccisa e gettata in una betoniera a Torvajanica. E le sue dichiarazioni portano a nuove indagini.
«Nel sacco anche un bambino». «Successe tutto a Torvajanica», ha ricordato Sabrina Minardi, durante un colloquio con i dirigenti della Squadra Mobile, avvenuto il 14 marzo scorso. «Con Renatino, a pranzo da Pippo l’Abruzzese, arrivò Sergio, l’autista, con due sacchi. Andammo in un cantiere, io restai in auto: buttarono tutto dentro una betoniera. Così facciamo scomparire tutte le prove, dissero». In uno di quei sacchi c’era il corpo di Emanuela Orlandi e nell’altro, sostiene la donna, un bambino di 11 anni ucciso per vendetta, Domenico Nicitra, figlio di uno storico esponente della banda.

Date contrastanti. La testimone sostiene di essere stata la compagna del boss della Magliana tra la primavera dell’82 e il novembre dell’84. Emanuela Orlandi scomparve il 22 giugno dell’83, ma Domenico Nicitra, il bambino ucciso, morì dieci anni dopo, il 21 giugno 1993, quando De Pedis era già morto (fu ucciso all’inizio del 1990). Forse la confusione sulle date è colpa degli psicofarmaci e della droga di cui la testimone ammette di aver fatto uso per anni. Ma le dichiarazioni rese ai magistrati restano sufficientemente circostanziate e tali da giustificare un supplemento di indagini.

«Consegnai Emanuela a un sacerdote». La donna racconta di aver accompagnato con la sua macchina Emanuela Orlandi [forse durante il rapimento, ndr] e di averla consegnata a un sacerdote. Accadde sei, sette mesi prima – dice – della tragica esecuzione della figlia del commesso della Casa Pontificia. «Arrivai al bar del Gianicolo in macchina (…) Renatino mi aveva detto che avrei incontrato una ragazza che dovevo accompagnare al benzinaio del Vaticano. Arriva ‘sta ragazzina: era confusa, non stava bene, piangeva e rideva. All’appuntamento c’era uno che sembrava un sacerdote: scese da una Mercedes targata Città del Vaticano e prese la ragazza. A casa domandai: A Renà, ma quella non era… Se l’hai conosciuta, mi rispose, è meglio che te la scordi. Fatti gli affari tuoi».
La testimone specifica, inoltre, che lei e De Pedis arrivarono al bar Gianicolo a bordo di una A112 bianca, di proprietà della donna. «Renato e Sergio me la misero [la ragazza, ndr] in macchina, più che Renato, Sergio prese la ragazza dalle mani di questa signora e la accompagnò nella mia macchina. Poi, io salii in macchina e andai. Mi dissero che alla fine di quella via c’era questo signore che l’aspettava».

La prigione. Emanuela Orlandi sarebbe stata tenuta [durante il rapimento, ndr] in un’abitazione, vicino a piazza San Giovanni di Dio, che aveva «un sotterraneo immenso che arrivava quasi fino all’ospedale San Camillo», ha aggiunto la Minardi. Di lei si sarebbe occupata la governante della signora, Daniela Mobili. Secondo la testimone, la Mobili, sposata con Vittorio Sciattella, era vicina a Danilo Abbruciati, il killer della Banda della Magliana freddato nell’82 durante il fallito agguato a Roberto Rosone, vicepresidente del Banco ambrosiano. Monsignor Marcinkus. Emanuela Orlandi sarebbe stata prelevata da Renatino De Pedis su ordine di monsignor Marcinkus, che fu presidente dello IOR, la banca del Vaticano, dal 1971 al 1989. Marcinkus è morto il 20 febbraio 2006 a Sun City, in Arizona. Alla specifica domanda dei magistrati, tramite chi Renato fosse stato delegato a prendere Emanuela, la donna risponde: «Tramite lo IOR… Quel monsignor Marcinkus… Renato ogni tanto si confidava». Sulle motivazioni del sequestro: «Stavano arrivando secondo me sulle tracce di chi… perché secondo me non è stato un sequestro a scopo di soldi, è stato fatto un sequestro indicato. Io ti dico monsignor Marcinkus perché io non so chi c’è dietro… ma io l’ho conosciuto a cena con Renato… hanno rapito Emanuela per dare un messaggio a qualcuno».
La testimone sottolinea di non sapere chi materialmente prese Emanuela: «Quello che so è che [la decisione, ndr] era partita da alte vette… tipo monsignor Marcinkus… È come se avessero voluto dare un messaggio a qualcuno sopra di loro. Era lo sconvolgimento che avrebbe creato la notizia». La donna fa un paragone con la morte di Roberto Calvi: «Gli hanno trovato le mani legate dietro, perché tu mi vuoi dare un messaggio». In un colloquio successivo, il 19 marzo, la donna aggiunge: «Renato, da quello che mi diceva, aveva interesse a cosare con Marcinkus perché questi gli metteva sul mercato estero i soldi provenienti dai sequestri».

Le ragioni del rapimento. La teste, sentita successivamente dal procuratore aggiunto Italo Ormanni e dai pm Andrea De Gasperis e Simona Maisto, ipotizza come ragione della scomparsa della giovane una «guerra di potere»: «Io la motivazione esatta non la so – dice ai magistrati – però posso dire che con De Pedis conobbi monsignor Marcinkus. Lui era molto ammanicato con il Vaticano, però i motivi posso immaginare che fossero quelli di riciclare il denaro. Mi sembra che Marcinkus allora era il presidente dello IOR… però sono ricordi così. Gli rimetteva questi soldi… Io a monsignor Marcinkus a volte portavo anche le ragazze lì, in un appartamento di fronte, a via Porta Angelica… Sarà successo in totale quattro o cinque volte, tre-quattro volte… Lui era vestito come una persona normale».

Sabrina Minardi, rispondendo ai magistrati, precisa che le modalità con cui avvenivano questi incontri erano diverse da quelle riferite sull’episodio del Gianicolo. «Mi ricordo che una volta Renato portava sempre delle grosse borse di soldi a casa. Sa, le borse di Vuitton, quelle con la cerniera sopra. Mi dava tanta di quella cocaina, per contare i soldi dovevo fare tutti i mazzetti e mi ricordo che contò un miliardo e il giorno dopo lo portammo su a Marcinkus».

A cena da Andreotti. Sabrina Minardi ha riferito di essere andata anche a casa di Giulio Andreotti. «Io andai anche a cena a casa di Andreotti, con Renato [De Pedis, ndr] – racconta – ovviamente davanti a me non parlavano… due volte ci sono andata… Renato ricercato… La macchina della scorta sotto casa di Andreotti della polizia… Renato ricercato, siamo andati su… eh… accoglienza al massimo… c’era pure la signora… la moglie… una donnetta caruccia … ovviamente davanti non parlavano di niente». La teste precisa che Andreotti «non c’entra direttamente con Emanuela Orlandi, ma con monsignor Marcinkus sì».

La sorella: «Chi sa, si liberi la coscienza». Domani, riunione degli investigatori negli uffici giudiziari per fare il punto dell’indagine. La sorella di Emanuela vuole le prove: «Senza quelle, non credo alla presunta testimone. Emanuela non è andata via spontaneamente, siamo sicuri di questo e quindi qualcuno è davvero a conoscenza di ciò che è accaduto. Mi chiedo se non sia arrivato, e già da tempo, il momento che questo qualcuno venga fuori e si liberi la coscienza». Inquirenti in cerca di riscontri. Gli inquirenti, prima di pronunciarsi sulla fondatezza o meno delle dichiarazioni, vogliono riscontrare ogni più piccolo particolare.

«Nel verbale della testimone ci sono indubbie incongruenze temporali che ci lasciano un po’ perplessi – ammettono a piazzale Clodio – ma alcuni dettagli sono così precisi e circostanziati che meritano di essere approfonditi con attenzione»”.

Sono stati fatti nel frattempo gli approfondimenti? E’ quello che vedremo. Anche se questo strano modo di procedere, che dura ormai da 26 anni, e questo ancor più strano modo di voler comunque accreditare il racconto della Minardi, sia pure opportunamente ripensato e ripulito con ben 18 mesi a disposizione per ripresentarsi all’esame e sperare di superarlo, induce a pensare che in realtà ciò che si vuole è solo chiudere alla bell’e meglio il caso. Perché? Perché c’è fretta di dichiarare santo papa Wojtyla – e già la fretta è cosa sempre sospetta – e NON lo si può fare finché è in giro la mina vagante del “mistero Orlandi”, uno degli scandali del suo pontificato (gli altri sono l’uccisione del banchiere Calvi, la strage delle guardie svizzere, il crack dell’Ambrosiano, la finanza troppo allegra, e riciclatoria, della banca vaticana IOR. Mina vagante che non si sa mai dove può andare a scoppiare e chi può far saltare per aria. Quale epoca migliore, per chiudere più o meno decentemente questa storiaccia vaticana, dell’attuale epoca della Perdonanza/Mignottanza? Vale a dire, con un governo che per i vizi e stravizi e processi del suo capo ha pubblicamente mostrato lo scandaloso bisogno di perdono, assoluzione, benevolenza e benedizione da parte del Vaticano. Io do un  pubblico perdono a te e tu mi dai una bella chiusura del caso Orlandi a me. Giochino al quale difficile si prestino dei magistrati. Più facile ci si presti un qualche “ufficio” come quello che imbeccava la Gerunda sulla (inesistente) connessione Orlandi/Agca e convocava d’urgenza i giornalisti per scodellare loro “per caso” il turco che usciva dall’interrogatorio in modo da lanciare a livello planetario la bufala del secolo. Allora la scusa era la “guerra fredda” contro l’Unione Sovietica. Ma oggi l’Unione Sovietica non esiste più da un bel pezzo.
Amen.

Post Scriptum

A proposito di Marcinkus: NON può essere vero che la Minardi gli portava “le ragazze”, tanto meno in “un appartamento” vicino porta S. Anna. Marcinkus abitava di fronte all’hotel Thea, nella palazzina annessa alla chiesa, mi pare in via Boncompagni, comunque a ridosso di via Veneto, e io dall’87 a tutto l’89 ho abitato in via Marche, a due passi da quella chiesa. Ho conosciuto molto bene chi gli portava le professioniste di via Veneto. E so bene che “Marcinkus andava solo con professioniste anziane e molto esperte”, come mi è stato spiegato anche da più di una che aveva fatto sesso con lui quando nello scrivere il libro su questo orripilante “mistero” vaticano – con il cadavere di Emanuela sballottolato con cinismo infame dai Lupi Grigi alla Banda della Magliana – ho chiesto se Marcinkus poteva essere uno che con Emanuela Orlandi ci scopava. Nel qual caso sarebbe stato sospettabile come responsabile della sua fine.

76 commenti
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  1. sylvi
    sylvi says:

    caro CC,

    io sarei d’accordo di mandare una bella Ronda all’Anita, purchè sappia suonare la fisarmonica e cantare la Montanara, o anche “quel mazzolin di fiori”.
    Credo che dalle sue parti farebbero un figurone e chi li lascerebbe tornare???……
    Anita sarebbe in prima fila ad impedirne la partenza!!!

    Certo che il figlio di Kennedy è un tontolone!!!
    Io ho sempre affermato, a destra e a manca, testuale:
    l’aborto è sempre una tremenda sconfitta della donna, innanzitutto, perchè l’uomo qualche volta c’è spesso no.
    Ma chi sono io per ergermi a giudice divino , o a Quagliariello terreno , delle traversie terrene di una donna???
    Ancora non sono scomunicata!

    O il Kennedy non la racconta giusta o il vescovo americano ha passato troppo tempo a Roma, dove si fa ma non si dice!!! Nehhhh?

    Io, quando mi sento, faccio la Comunione, con la benedizione del prete e di mia zia suora che fa il sacrestano!!!

    Poi…siii onesto, prete non è sinonimo di pedofilo!!!
    Ho passato la mia vita a difendere i più piccoli, non ho mai avuto le fette di prosciutto sugli occhi, nè l’ingenuità sui fatti della vita che ti piace attribuirmi!!!

    Vado a controllare il DNA, va bene!

    Sylvi

  2. Anita
    Anita says:

    x Controcorrente

    Caro CC,
    conosciamo benissimo Parick Kennedy.

    Ci domandiamo chi diavolo lo vota…e’ un imbecille di prima categoria, ma e’ un Kennedy.

    La storia con Bishop Tobin l’ha creata lui stesso.

    E’ vero che Bishop Tobin ha avvisato Patrick che e’ contro la chiesa cattolica ricevere la Comunione ed appoggiare l’aborto.
    Questo nel 2007.

    Per motivi tutti suoi, Kennedy e’ andato pubblico di recente con questa storia.
    Prima chiedendo privatezza e mandato la sua lettera a Bishop Tobin ai Media.
    Poi ha pubblicamente richiesto un meeting segreto in un ristorante ben conosciuto nella zona dei ristoranti Italiani piu’ di lusso e piu’ frequentati.

    Bishop Tobin ha rifiutato, ci sarebbe stata una baraonda di reporters da fermare tutto il traffico, gia’ ingolfato specialmente a mezzogiorno, ora di picca.

    Le stazioni radio hanno chiesto diverse volte uno scontro con Patrick Kennedy, ma il suo ufficio non risponde.

    Forse e’ di nuovo in riabilitazione per abuso di droghe.
    Ogni volta che commette magagne, la famiglia lo fa’ sparire in qualche clinica…fuori Stato naturalmente.

    Il nostro Stato e’ piccolo e conosciamo tutti i politici, passati e presenti.

    Ciao, Anita

  3. Anita
    Anita says:

    x Controcorrente

    Ai Kennedy e’ permesso tutto, guarda quante ne ha fatte il paparino di Patrick, Ted Kennedy, incluso omicidio colposo.

    Abbandono’ la giovane Mary Jo Kopechne nella sua auto affondata a Chappaquiddick, in pochi metri d’acqua, l’auto era capovolta e lui e’ uscito, Mary Jo rimase intrappolata e si stima che ci sono voluti almeno 20 minuti per annegare.
    Il soffitto interno dell’auto era tutto sgraffiato.
    Ted Kennedy nuoto’ a casa di un amico ed al mattino, dopo 11 ore, avviso’ la polizia.

    Sempre sbronzo, ne ha fatto passare di tutte alla povera moglie Joan, divorziato, ha sempre coperto tutti i crimini di famiglia, e viene venerato come il grande Patriarca di questa famiglia che ha fatto fortuna col bootlegging=contrabbando ai tempi della proibizione.

    Anita

  4. Controcorrente
    Controcorrente says:

    Bah, cara Anita,
    nulla di nuovo, in perfetta linea con gran parte della Storia Americana , Padri Pellegrini compresi!

    cc

  5. Controcorrente
    Controcorrente says:

    Cara Sylvi,

    mai pensato che tutti i preti siano ….!
    E’ la “dura” legge delle generalizzazioni forzate….mi sembra che anche tu abbondi, quando ti ci metti….

    Mettiamola così, mai capito perchè quando c’è di mezzo il Sacro, molti saltano sulla sedia come se un’ape li avesse punti sul pisello..!!

    Li antichi che aveveno pure Loro una precisa idea del sacro, avevano inventato le sacre puttane , insieme alle sacre vergini..e nessuno si incazzava più di tanto..

    cc

  6. Niente comunione per Kennedy jr "E' a favore dell'aborto"
    Niente comunione per Kennedy jr "E' a favore dell'aborto" says:

    Giusto! La comunione si può dare invece a Bush padre e a Bush figlio. Il primo ha autorizzato Saddam ad invadere il Kuwait per poi fotterlo, massacrandogli vilmente tra l’altro 40 mila uomini della Guardia Nazionale ormai in fuga verso Bagdad. Il secondo ha ingannato il popolo americano e il mondo intero inventandosi le atomiche irachene per poter invadere di nuovo quel disgraziato Paese troppo ricco di petrolio e massacrare non si sa quante centinaia di migliaia di iracheni.
    C’è anche un cattolicesimo che fa più schifo del previsto, sempre sporco di sangue.
    Shalom

  7. Uroburo
    Uroburo says:

    Caro Gino,
    ho visitato la cattedrale di Saint Jean che però non mi ha entusiasmato; ho trovato molto piacevole l’abside ma la facciata mi è sembrata un misto poco pulito di romanico e di gotico. In generale a me piacciono le chiesa romaniche oppure gotiche. Le forme miste devono avere una loro particolare coerenza.
    Mi è invece piaciuta molto la città vecchia intorno alla cattedrale.
    Ho trovato invece assai particolare la chiesa di St. Martin d’Aulnay, nella penisola. E’ un grosso complesso romanico assai articolato, intonacato di bianco avorio variamente ornato di scacchiere rosse, soprattutto, ma non solo, sotto ai cornicioni del tetto ed intorno alle finestre. La facciata consiste in una torre campanaria e la cupola in un massiccio torrione quadrato.
    Non ho mai visto opere di quel genere.
    Tra le chiese francesi amo molto le cattedrale di Notre Dame e di St. Denis a Parigi, e le cattedrali di Laon, Reims, Bourges, Chartres ed Amiens, che è forse quella che preferisco per il suo grande equilibrio.
    Invece nell’Ovest, a Poitiers, ci sono delle chiese romaniche del tutto particolari. Ed anche St. Sernin di Tolosa è un capolavoro. Poi ho trovato fantastica la cattedrale gotica di Albi.
    In Italia mi piace molto il romanico, grandioso dal nord al sud, mentre il gotico da noi ha semplicemente applicato alcuni aspetti estetici gotici (ad esempio gli archi a sesto acuto) su strutture rimaste sempre romaniche.
    In Italia si passa dal romanico allo stile rinascimentale senza fasi intermedie. Poi c’è la meravigliosa fioritura del barocco romano, un miracolo di equilibrio e di bello stile.
    Facendo un conto globale ho scoperto che l’unica città francese che non ho ancor visitato è Lille. Con calma e pazienza ….
    Un saluto U.

  8. Anita
    Anita says:

    x Shalom

    Bush padre e figlio non sono cattolici e nemmeno Clinton il quale ha iniziato i bombardamenti in Iraq secondo intelligence soprattutto Europea e russa.

  9. x Anita
    x Anita says:

    Sì, ma Santa Romana Chiesa può fare questi ed altri miracoli…. Tanto non è certo la coerenza, l’onestà e la decenza il suo forte. E neppure i Vangeli, tanto meno il povero Cristo.
    Shalom

  10. Anita
    Anita says:

    x Shalom

    Se lei si riferisce al caso di Patrick Kennedy, veramente la richiesta di scomunica venne dal suo Parroco ed il Bishop dovette proseguire.

    Kennedy puo’ ricevere tutti i sacramenti che vuole, se e’ religioso ed osserva le leggi della Chiesa commette un sacrilegio.
    Sta a lui a decidere che tipo di Cattolico Romano e’.
    Nessuno puo’ dettare la sua coscienza.

    Io sono Cattolica non osservante, non credo nelle confessioni e non ricevo l’Eucaristia.
    Anche quando vado a Battesimi, Cresime e Matrimoni, molti si alzano per ricevere l’Ostia, io rimango inginocchiata anche se sono la sola.

    Lei sta creando un romanzo che non esiste, non capisce che Patrick Kennedy e’ in acque calde per la sua inefficienza, problemi mentali e di abuso di droghe, cosi’ per pubblicita’ mette in ballo il Bishop, dopo due anni.

    La religione o va osservata o NO.
    Non si usa per scopi politici e per voti, Patrick sta cercando di ottenere i voti dei gays, delle minoranze immigranti, legali o meno, e dei Cattolici non osservanti.

    Principalmente e’ per l’aborto sovvenzionato dal governo.

    Anita

    PS:
    Conosco il dogma dell Cattolicesimo benissimo, sono stata educata da Suore e Madri, in collegio come interna.

  11. Lettera aperta di Franco Fortini agli ebrei italiani
    Lettera aperta di Franco Fortini agli ebrei italiani says:

    http://baruda.net/2009/02/05/franco-fortini-1989-lettera-agli-ebrei-italiani/

    Ogni giorno siamo informati della repressione israeliana contro la popolazione palestinese. E ogni giorno più distratti dal suo significato, come vuole chi la guida. Cresce ogni giorno un assedio che insieme alle vite, alla cultura, le abitazioni, le piantagioni e la memoria di quel popolo – nel medesimo tempo – distrugge o deforma l’onore di Israele. In uno spazio che è quello di una nostra regione, alla centinaia di uccisi, migliaia di feriti, decine di migliaia di imprigionati – e al quotidiano sfruttamento della forza-lavoro palestinese, settanta o centomila uomini – corrispondono decine di migliaia di giovani militari e coloni israeliani che per tutta la loro vita, notte dopo giorno, con mogli, i figli e amici, dovranno rimuovere quanto hanno fatto o lasciato fare. Anzi saranno indotti a giustificarlo. E potranno farlo solo in nome di qualche cinismo real-politico e di qualche delirio nazionale o mistico, diverso da quelli che hanno coperto di ossari e monumenti l’Europa solo perché è dispiegato nei luoghi della vita d’ogni giorno e con la manifesta complicità dei più. Per ogni donna palestinese arrestata, ragazzo ucciso o padre percosso e umiliato, ci sono una donna, un ragazzo, un padre israeliano che dovranno dire di non aver saputo oppure, come già fanno, chiedere con abominevole augurio che quel sangue ricada sui propri discendenti. Mangiano e bevono fin d’ora un cibo contaminato e fingono di non saperlo. Su questo, nei libri dei loro e nostri profeti stanno scritte parole che non sta a me ricordare.
    Quell’assedio può vincere. Anche le legioni di Tito vinsero. Quando dalle mani dei palestinesi le pietre cadessero e – come auspicano i ‘falchi’ di Israele – fra provocazione e disperazione, i palestinesi avversari della politica di distensione dell’Olp, prendessero le armi, allora la strapotenza militare israeliana si dispiegherebbe fra gli applausi di una parte della opinione internazionale e il silenzio impotente di odio di un’altra parte, tanto più grande. Il popolo della memoria non dovrebbe disprezzare gli altri popoli fino a crederli incapaci di ricordare per sempre.
    Gli ebrei della Diaspora sanno e sentono che un nuovo e bestiale antisemitismo è cresciuto e va rafforzandosi di giorno in giorno fra coloro che dalla violenza della politica israeliana (unita alla potente macchina ideologica della sua propaganda, che la Diaspora amplifica) si sentono stoltamente autorizzati a deridere i sentimenti di eguaglianza e le persuasioni di fraternità. Per i nuovi antisemiti gli ebrei della Diaspora non sono che agenti dello Stato di Israele. E questo è anche l’esito di un ventennio di politica israeliana.
    L’uso che questa ha fatto della Diaspora ha rovesciato, almeno in Italia, il rapporto fra sostenitori e avversari di tale politica, in confronto al 1967. Credevano di essere più protetti e sono più esposti alla diffidenza e alla ostilità.
    Onoriamo dunque chi resiste nella ragione e continua a distinguere fra politica israeliana ed ebraismo. Va detto anzi che proprio la tradizione della sinistra italiana (da alcuni filoisraeliani sconsideratamente accusata di fomentare sentimenti razzisti) è quella che nei nostri anni ha più aiutato, quella distinzione, a mantenerla. Sono molti a saper distinguere e anch’io ero di quelli. Ma ogni giorno di più mi chiedo: come sono possibili tanto silenzio o non poche parole equivoche fra gli ebrei italiani e fra gli amici degli ebrei italiani? Coloro che, ebrei o amici degli ebrei – pochi o molti, noti o oscuri, non importa – credono che la coscienza e la verità siano più importanti della fedeltà e della tradizione, anzi che queste senza di quelle imputridiscano, ebbene parlino finché sono in tempo, parlino con chiarezza, scelgano una parte, portino un segno. Abbiano il coraggio di bagnare lo stipite delle loro porte col sangue dei palestinesi, sperando che nella notte l’Angelo non lo riconosca; o invece trovino la forza di rifiutare complicità a chi quotidianamente ne bagna la terra, che contro di lui grida. Né smentiscano a se stessi, come fanno, parificando le stragi del terrorismo a quelle di un esercito inquadrato e disciplinato. I loro figli sapranno e giudicheranno.
    E se ora mi si chiedesse con quale diritto e in nome di quale mandato mi permetto di rivolgere queste domande, non risponderò che lo faccio per rendere testimonianza della mia esistenza o del cognome di mio padre e della sua discendenza da ebrei. Perché credo che il significato e il valore degli uomini stia in quello che essi fanno di sé medesimi a partire dal proprio codice genetico e storico non in quel che con esso hanno ricevuto in destino. Mai come su questo punto – che rifiuta ogni ‘voce del sangue’ e ogni valore al passato ove non siano fatti, prima, spirito e presente; sì che a partire da questi siano giudicati – credo di sentirmi lontano da un punto capitale dell’ebraismo o da quel che pare esserne manifestazione corrente.
    In modo affatto diverso da quello di tanti recenti, e magari improvvisati, amici degli ebrei e dell’ebraismo, scrivo queste parole a una estremità di sconforto e speranza perché sono persuaso che il conflitto di Israele e di Palestina sembra solo, ma non è, identificabile a quei tanti conflitti per l’indipendenza e la libertà nazionali che il nostro secolo conosce fin troppo bene. Sembra che Israele sia e agisca oggi come una nazione o come il braccio armato di una nazione, come la Francia agì in Algeria, gli Stati Uniti in Vietnam o l’Unione Sovietica in Ungheria o in Afghanistan. Ma, come la Francia era pur stata, per il nostro teatro interiore, il popolo di Valmy e gli americani quelli del 1775 e i sovietici quelli del 1917, così gli ebrei, ben prima che soldati di Sharon, erano i latori di una parte dei nostri vasi sacri, una parte angosciosa e ardente della nostra intelligenza, delle nostre parole e volontà. Non rammento quale sionista si era augurato che quella eccezionalità scomparisse e lo Stato di Israele avesse, come ogni altro, i suoi ladri e le sue prostitute. Ora li ha e sono affari suoi. Ma il suo Libro è da sempre anche il nostro, e così gli innumerevoli vivi e morti libri che ne sono discesi. È solo paradossale retorica dire che ogni bandiera israeliana da nuovi occupanti innalzata a ingiuria e trionfo sui tetti di un edificio da cui abbiano, con moneta o minaccia, sloggiato arabi o palestinesi della città vecchia di Gerusalemme, tocca alla interpretazione e alla vita di un verso di Dante o al senso di una cadenza di Brahms?
    La distinzione fra ebraismo e stato d’Israele, che fino a ieri ci era potuta parere una preziosa acquisizione contro i fanatismi, è stata rimessa in forse proprio dall’assenso o dal silenzio della Diaspora. E ci ha permesso di vedere meglio perché non sia possibile considerare quel che avviene alle porte di Gerusalemme come qualcosa che rientra solo nella sfera dei conflitti politico-militari e dello scontro di interessi e di poteri. Per una sua parte almeno, quel conflitto mette a repentaglio qualcosa che è dentro di noi.
    Ogni casa che gli israeliani distruggono, ogni vita che quotidianamente uccidono e persino ogni giorno di scuola che fanno perdere ai ragazzi di Palestina, va perduta una parte dell’immenso deposito di verità e sapienza che, nella e per la cultura d’Occidente, è stato accumulato dalle generazioni della Diaspora, dalla sventura gloriosa o nefanda dei ghetti e attraverso la ferocia delle persecuzioni antiche e recenti. Una grande donna ebrea cristiana, Simone Weil, ha ricordato che la spada ferisce da due parti. Anche da più di due, oso aggiungere. Ogni giorno di guerra contro i palestinesi, ossia di falsa coscienza per gli israeliani, a sparire o a umiliarsi inavvertiti sono un edificio, una memoria, una pergamena, un sentimento, un verso, una modanatura della nostra vita e patria. Un poeta ha parlato del proscritto e del suo sguardo «che danna un popolo intero intorno ad un patibolo»: ecco, intorno ai ghetti di Gaza e Cisgiordania ogni giorno Israele rischia una condanna ben più grave di quelle dell’Onu, un processo che si aprirà ma al suo interno, fra sé e sé, se non vorrà ubriacarsi come già fece Babilonia.
    La nostra vita non è solo diminuita dal sangue e dalla disperazione palestinesi; lo è, ripeto, dalla dissipazione che Israele viene facendo di un tesoro comune. Non c’è laggiù università o istituto di ricerca, non biblioteca o museo, non auditorio o luogo di studio e di preghiera capaci di compensare l’accumulo di mala coscienza e di colpe rimosse che la pratica della sopraffazione induce nella vita e nella educazione degli israeliani.
    E anche in quella degli ebrei della Diaspora e dei loro amici. Uno dei quali sono io. Se ogni loro parola toglie una cartuccia dai mitra dei soldati dello Tsahal, un’altra ne toglie anche a quelli, ora celati, dei palestinesi. Parlino, dunque.

  12. Cerutti Gino
    Cerutti Gino says:

    x U.
    Prendo atto con piacere della tua fondata cultura per quanto riguarda gli edifici di culto religioso e la loro pecuniarità architettonica. A tanto non ci sarei mai arrivato, nonostante ne abbia visitati nel mio vagabondare, a decine.
    Una che mi è rimasta impressa è anche la Gedaechniskirche di Berlino, o meglio, quella moderna, costruita accanto al rudere dall’architetto Eiermann. Vista da fuori sembra un pugno in un occhio ma dentro è indescrivibilmente bella.
    Quel crocifisso, poi…!
    Bella!
    C.G.

  13. La striscia rossa
    La striscia rossa says:

    Gli dissi: ma ti pare, Giusé, che devi andare a lavorare anche questo sabato?
    Mi rispose che erano pur sempre 16 euro in più in busta paga. Sedici euro.

    Fiorella Coletti, moglie di Giuseppe, una delle vittime della Umbria Olii

  14. l'insolente ma non troppo
    l'insolente ma non troppo says:

    In un periodo in cui i costi della politica sono messi sotto accusa, un’altra “Casta” non si può certo dire che se la passi male.

    La Chiesa cattolica costa ai contribuenti italiani almeno quanto il ceto politico.
    Oltre quattro miliardi di euro all’anno, tra finanziamenti diretti dello Stato e degli enti locali e mancato gettito fiscale.

    La prima voce comprende il miliardo di euro dell’otto per mille, i 650 milioni per gli stipendi dei 22 mila insegnanti dell’ora di religione, altri 700 milioni versati da Stato ed enti locali per le convenzioni su scuola e sanità.

    Poi c’è la voce variabile dei finanziamenti ai Grandi Eventi, dal Giubileo (3500 miliardi di lire) all’ultimo raduno (2,5 milioni di euro), per una media annua, nell’ultimo decennio, di 250 milioni.

    A questi due miliardi 600 milioni di contributi diretti alla Chiesa occorre aggiungere il cumulo di vantaggi fiscali concessi al Vaticano, oggi al centro di un’inchiesta dell’Unione Europea per “aiuti di Stato”.

    L’elenco è immenso, nazionale e locale.
    Sempre con prudenza si può valutare in una forbice fra 400 ai 700 milioni il mancato incasso per l’Ici (Nella finanziaria 2008 è prevista l’eliminazione dell’Ici per la Chiesa), in 500 milioni le esenzioni da Irap, Ires e altre imposte, in altri 600 milioni l’elusione fiscale legalizzata del mondo del turismo cattolico, che gestisce ogni anno da e per l’Italia un flusso di quaranta milioni di visitatori e pellegrini.

    Il totale supera i quattro miliardi all’anno, dunque una mezza finanziaria.

  15. l'insolente ma non troppo
    l'insolente ma non troppo says:

    Crimen Sollicitationis

    Crimen sollicitationis (in latino “crimine di adescamento“) è un documento emesso dal Santo Ufficio del Vaticano nel 1962, che fornisce istruzioni ai vescovi cattolici su come trattare i casi nei quali i preti erano accusati di usare la segretezza del confessionale per fare avances sessuali ai penitenti.

    Non solo, tramite esso si danno istruzioni su come porsi innanzi a casi di “crimini peggiori”, nei quali un prete è sessualmente coinvolto con un animale, bambino o uomo.

    Tale documento è stato redatto dal Cardinale Alfredo Ottaviani e approvato da papa Giovanni XXIII. Il documento invoca segretezza sia per i casi trattati che per il documento stesso.

    Esso impone segretezza persino sulle vittime degli abusi sessuali.
    Sono imposte misure estreme per la violazione della segretezza, comprese la scomunica, la quale può essere inflitta e tolta solo dal papa in persona.

    Alcuni vescovi, come conseguenza, sostengono di non averne mai conosciuto l’esistenza.

    La prima volta che Crimen sollicitationis apparve sotto i riflettori fu nel 2001 in quanto ne fu fatta menzione in una lettera scritta dall’allora Cardinale Ratzinger ai vescovi del mondo, riguardante nuove procedure atte a fronteggiare le accuse sugli abusi sessuali minorili da parte di preti cattolici.

    I legali coinvolti nei casi contro la Chiesa (numerosi negli Stati Uniti) hanno sostenuto che il documento è prova di ostruzione alla giustizia.

    Come risposta, i difensori della condotta della Chiesa hanno sostenuto che la pratica della segretezza riguardava solo le leggi canoniche (la cui conseguenza estrema alla violazione era la scomunica) e che ciò non impediva ad un vescovo di riferire alle autorità civili su casi di pedofilia interna.

    Essi hanno inoltre sostenuto che, siccome il documento imponeva segretezza, sarebbe stato improbabile poter influenzare le azioni dei funzionari della Chiesa, tranne quelle di cui si era a conoscenza.

    Merita menzione il fatto che, mentre il paragrafo 1 del documento sembra limitare la sua applicazione ai casi di “tentazione” di un penitente da parte di un prete:

    «Il crimine di sollecitazione subentra allorquando un prete tenta un penitente … nell’atto sacramentale della confessione, sia prima che immediatamente dopo … verso questioni impure o oscene»

    L’articolo 72 specifica che:

    «… queste cose che sono state stabilite riguardanti il crimine di sollecitazione … sono altrettanto valide, cambiando solo quelle cose che devono essere cambiate a causa della loro stessa natura, per i crimini peggiori».

    Il termine “crimine peggiore” fa riferimento agli abusi sessuali perpetrati da una persona di condizione clericale nei confronti di una persona dello stesso sesso, il che porta a concludere che le leggi date, incluso il giuramento alla segretezza, si applichino effettivamente alle vittime di abuso.

    Ho cercato un po’ di informazioni riguardo al Crimen Sollicitationis dopo aver visto questo documentario della BBC sugli abusi sessuali perpetrati in America da preti cattolici e sull’omertà che regola i rapporti tra i suddetti preti e le alte sfere del vaticano…

    PURTROPPO IL FILMATO IN QUESTIONE E’ STATO BLOCCATO… PECCATO, VI DOVRETE ACCONTENTARE DELLA MIA DESCRIZIONE

    Ha un che di sconvolgete… sinceramente non è una cosa nuova, perché anche in zona ho sentito di casi di “presunta pedofilia” clericale.

  16. l'insolente ma non troppo
    l'insolente ma non troppo says:

    E’ esatto! sempre però bisogna rinfrescare la labile memoria dei preganti.

  17. sylvi
    sylvi says:

    x l’insolente ma non troppo

    veloce, prima di tornare al “travaglio usato” leopardiano:
    –in questo blog, chi sarebbero” i preganti dalla labile memoria”????-

    Se qualcuno ci fosse, sarebbe come “la titina, la cerco e non la trovo…!!”
    Saluti
    Sylvi

  18. Anita
    Anita says:

    E dicono che a Cuba manca il necessario……

    Primo trapianto penile a Cuba, gratis per giunta.

    Cuba offers free penis implants
    November 21, 2009
    AFP

    Governo di Cuba ha offerto gratuitamente la sua prima protesi del pene, parte di un programma destinato ad essere esteso in tutta l’isola comunista, un quotidiano ufficiale ha riferito.

    È probabile, non quello che Karl Marx aveva in mente quando ha immaginato una società trasformata “da ciascuno secondo le sue capacità, a ciascuno secondo i suoi bisogni”, ma Juventud Rebelde riferito il Venerdì che il silicio e l’argento protesi del pene sono destinati a diventare più comune.

    Uomini in sette province cubane saranno idonei per la procedura, che urologo Juan Carlos Yip vantava era normalmente “in esclusiva ai paesi del primo mondo e ad un costo elevato.

    “Sarà effettuato in pazienti in cui la sofferenza sessuale non risponde positivamente alle terapie tradizionali”.

    Quelli oltre i 40 anni e quelli con diabete o problemi circolatori sono impostati per essere in prima fila il giornale.

    ~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~
    Anita

  19. La striscia rossa
    La striscia rossa says:

    È il vecchio motto dei fratelli Rosselli: non mollare. Loro pagarono con la vita.

    Ora in Italia non c’è in gioco la vita delle persone. Ma ci sono i valori per i quali abbiamo combattuto.

    In ballo c’è la buona democrazia: è abbastanza per non mollare

    Carlo Azeglio Ciampi

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