A quali condizioni è possibile un ritorno al comunismo primitivo? (X)
Chiusa la parentesi sul cristianesimo in epoca romana, qui si può concludere il discorso sullo schiavismo dicendo che le popolazioni cosiddette “barbariche”, quando entrarono nell’impero, non fecero altro che mettere in pratica un disegno di umanizzazione risalente alle loro origini clanico-tribali. Un disegno che per realizzarsi, senza l’apporto del cristianesimo, avrebbe sicuramente richiesto tempi molto più lunghi.
“In nome di Cristo morto e risorto – diceva Paolo – non c’è più né schiavo né libero”. Tutti i cristiani sono moralmente liberi di fronte a dio, anche se nella vita reale permangono le differenze di classe. Un discorso del genere, una volta che il cristianesimo avesse dimostrato socialmente la propria superiorità sulle religioni pagane, non avrebbe potuto non influenzare i rapporti produttivi.
L’incontro coi barbari fu, da questo punto di vista, una vera fortuna per il cristianesimo, poiché gli avrebbe permesso di trovare più facilmente un appoggio non solo di tipo politico-istituzionale (che già aveva ottenuto con Teodosio), ma anche sociale, in quanto i barbari non avevano mai usato lo schiavismo come organizzazione produttiva dell’intera società. Il cristianesimo poteva continuare a esistere ancora per molti secoli, pur avendo ingannato gli schiavi con la dottrina della liberazione ultraterrena.
Dal canto loro i barbari, pur essendo di religione pagana, non ebbero alcuna difficoltà ad accettare una religione che assicurava loro la pace sociale. All’inizio fecero solo differenza tra arianesimo (in cui lo Stato sottomette a sé la chiesa) e ortodossia (in cui vige la diarchia dei poteri); successivamente, nella parte occidentale dell’impero, si trovarono costretti a scegliere tra Stato confessionale e teocrazia pontificia.
Insomma, una cosa è sfruttare qualcuno in nome della forza militare (schiavismo); un’altra è sfruttarlo col placet della fede religiosa (servaggio); un’altra ancora è farlo sotto il pretesto del diritto borghese (lavoro salariato); l’ultima che conosciamo, infine, è quella di chi usa un ideale socialista gestito in maniera esclusiva dallo Stato (cosa che trasforma la sudditanza in una questione anche di coscienza).
Quale marxista arriverebbe mai ad ammettere che in Russia il socialismo statale è crollato proprio a motivo delle tradizioni cristiane, le quali hanno potuto dimostrare che il loro ideale religioso era superiore a quello laico dello stalinismo? E chi arriverebbe ad ammettere che la stessa cosa non è potuta accadere in Cina proprio perché qui le suddette tradizioni non hanno mai messo solide radici? Quando tradizioni più che millenarie considerano l’essere umano un mero prodotto di natura, per quale motivo dovrebbero perorare con forza la causa della democrazia per rimediare ai guasti del socialismo di stato? Non è forse sufficiente che la dittatura politica aumenti gli spazi di manovra della libertà meramente economica?