Cosa unisce l’Italia e il Quirinale dei Napolitano a quella dei Berlusconi? Nulla. Ed è il nulla sul quale siamo pericolosamente sospesi
Cosa hanno in comune Giorgio Napolitano e Berlusconi? O meglio: cosa hanno in comune l’Italia rappresentata dall’attuale presidente della Repubblica e quello che aspira a diventare il prossimo? Assolutamente nulla, a quanto pare. La transizione appare quindi un azzardo, un doppio o triplo salto mortale sul vuoto, sull’abisso, sul vasto nulla che hanno in comune queste due Italie. La prima in consunzione, la seconda in ascensione. La prima Italia sintomaticamente rappresentata da un uomo più che anziano, anagraficamente vecchio, il cui mondo è franato col franare delle illusioni legate all’Urss e dintorni, comunismo molto mal realizzato compreso. Un mondo che però prima di crollare ha contribuito a formare la democrazia e il benessere di cui godiamo ancora oggi. Di cui ha goduto e gode anche Berlusconi. La seconda Italia altrettanto significativamente rappresentata da un finto giovane come Berlusconi, 70 anni alle spalle, la prostata asportata e il medico sempre appresso. Berlusconi, avvero un furbo di tre cotte che ha fatto fortuna comprando e usando maniglie e protezioni nel mondo e nel sottobosco dei partiti oltre che nel mondo molto poco trasparente degli amici della peggiore massoneria, tipo P2, e degli amici degli amici.
Poiché tra queste due Italie in mezzo non c’è nulla, assolutamente nulla, i casi sono solo due: o l’Italia sta correndo verso il baratro o ci sta correndo Berlusconi. Temo più la prima ipotesi che la seconda, il Cavaliere infatti pare cavalchi verso il Quirinale. Dal vecchio e consunto Napolitano al vecchio giovanilista al Viagra Berlusconi. Dal vecchio educato e sempre compunto con alle spalle un abbastanza fallimentare “bel tempo che fu” al vecchio liftato e riciclato, barzellettiere greve e di lungo corso, con alle spalle un sacco di quattrini e il pugno di mosche della realtà illusoria a base di lustrini televisivi e annesse corruttele e puttanumi di vario calibro.
Il 70enne giovanilista di Arcore, sempre celebrato come giovane e sempre “maschione” dai troppi lecchini (a pagamento) di cui si contorna, sta intanto non solo demolendo le conquiste e i diritti pubblici a favore dell’iniziativa privata – dalla scuola all’assistenza sanitaria, così che la mentalità di destra sarà un dato di fatto senza neppure il bisogno di predicarla con partiti politici – ma sta anche demolendo e privatizzando le istituzioni dello Stato. In attesa di privatizzare magari anche la Costituzione, che peraltro non è mai entrata pienamente in vigore, sua Emittenza il primo ministro ha privatizzato i partiti e il parlamento, eliminando le preferenze alle votazioni, cerca di sbarazzarsi del ruolo di garanzia del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e ora anche del ruolo dei gruppi parlamentari, puntando a far votare solo i capigruppo. Qualunque cosa si frapponga tra lui e “il popolo”, o meglio con il suo elettorato, viene trattata con fastidio e messa in riga. Se Berlusconi rischia di essere sanzionato in tribunale per dei reati, ecco che lui si fa fare leggi su misura, non prima di avere delegittimato la magistratura calunniando per anni e anni ora questo ora quello e sempre aizzandole contro l’opinione pubblica. Per giunta portando in parlamento i propri avvocati personali, magari per farli ministri come Cesare Previti, innocente per definizione anche se condannato in via definitiva , e nominando ministro della Giustizia un fedelissimo zelante come il servizievole Alfano, uomo che in fatto di berlusconismo merita trenta e lodo. Adesso arriva anche la doppia privatizzazione dell’ambiente: una a base di probabile nuova colata cementizia generale, l’altra a base di licenza di uccidere ciò che resta del mondo animale per leccare i voti della lobby dei cacciatori, dei fabbricanti di doppiette e annesso e indotto.
Il refrain di Berlusconi ormai è preoccupante: “Io ho tante belle idee, ma i partiti, l’opposizione, il capo dello Stato, le leggi e la Costituzione mi impediscono di realizzarle. Mi intralciano, sono solo pesi morti”. Questi discorsi li fanno i qualunquisti e li hanno già fatti i fascisti. I risultati sono noti a tutti. Come le grandi famiglie industriali italiane sono andate tutte in malore alla terza o al massimo alla quarta generazione, dagli Agnelli ai Falk, dai Mondadori agli Zanussi, così stanno andando in malora dopo tre generazioni le lezioni della guerra e le conquiste del dopoguerra. I fondatori degli imperi industriali, come Arnoldo Mondadori o il nonno dello scomparso Gianni Agnelli, iniziano con idee coraggiose e innovative, proseguono con sacrifici e senso del dovere, formano severamente gli eredi per prepararli nel modo migliore a prendere in mano le redini dell’azienda. Ma quando arrivano al timone, gli eredi di solito si prendono troppo sul serio e comunque i loro figli li fanno già crescere un po’ troppo nel privilegio, sicché quando arriva il turno degli eredi di terza generazione questi sono piuttosto impreparati, desiderosi più di godersi le fortune di famiglia, cioè di fare la bella vita scialando, che di sacrificarsi per spingere ancora avanti l’azienda e il bene collettivo. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: l’Italia non ha più un sistema industriale decente. Per non parlare del sistema finanziario…. Tutti a spendere e spandere, todos Berlsucones o almeno todos Lapo-Lapo, tutti splendidi, però sempre più in senso parassita, mungendo tutti, come sempre, le casse dello Stato per ripianare i buchi di bilancio della propria ingordigia e inettitudine. Ma tutti ben decisi a tenere le fette di prosciutto (pagato da noi) per non fare i conti con la realtà.
Lo stesso è avvenuto con le conquiste sociali e politiche. I padri fondatori della Repubblica hanno combattuto, sudato, spesso sofferto in carcere e anche versato il proprio sangue. I padri della Costituzione e della vita parlamentare repubblicana hanno avuto idee coraggiose e innovative, hanno tirato la cinghia e hanno lavorato per il bene comune, per il bene degli italiani che avevano conosciuto gli orrori della guerra e conoscevano la durezza della fatica in fabbrica e nei campi. La generazione successiva era già diversa, aveva meno memoria storica e anelava anche ad altro. Ora siamo alla generazione che alla fatica della memoria preferisce la retorica trombona e a senso unico della Memoria. Siamo alla generazione che non ha memoria storica e ha invece la strana idea che il benessere e la democrazia, cioè la libertà, siano beni di consumo dovuto, presenti per sempre – e “a gratis” – sugli scaffali del supermarket Italia, anziché conquiste da accudire vigilando perché si possono anche perdere. E perdere magari malamente, come è già successo in passato in varie parti del mondo. Le nuove generazioni di cittadini e di politici non sanno che la fortuna dell’Italia, e dell’Europa, è stata di avere perso la seconda guerra mondiale e di essere stati quindi tirati su col cucchiaino dagli Stati Uniti. Che ci hanno imbottito di quattrini non perché lo meritassimo e fossimo bravi e capaci, ma solo per evitare finissimo nell’orbita sovietica.
Il rimbecillimento da televisione ha ormai convinto tutti che l’Italia oltre che il Belpaese è anche Bonanza, dove il benessere abbonda perché siamo più bravi, più furbi e più intelligenti degli altri. Al posto di Milano-Italia di Gad Lerner ora c’è Italia-Bonanza di Silvio Berlusconi&C, una sorta di reality televisivo dove non manca nulla, e anzi le regole e la buona educazione sono solo pastoie, meglio ruttare e parlare come si mangia anziché evitare di ruttare almeno in pubblico e mangiare come si parla, imparando prima anche a parlare. Si tratta solo di andare a votare ogni quattro anni per scegliere tra i vipponi da rotocalco e tv quali saranno anche i protagonisti del reality Italia-Bonanza. E se ci sono gli extracomunitari e gli “altri” che minacciano di guastarci lo spettacolo, ecco che il gregge berluscone, berluschino e lapo-lapo si ristringe di nuovo attorno al Capo: ieri il Cavaliere con l’orbace, oggi il Cavaliere in doppiopetto. E ieri come oggi e come sempre il “Santo Padre”. Cioè il papa e il suo clero sempre più annaspanti e fuori dalla realtà. Ma tutti sempre con la convinzione che i problemi si risolvono eliminando i “rossi” e gli ebrei di oggi. Vale a dire, i rom e i “marocchini” al posto degli ebrei veri, ormai troppo forti e quindi meglio tenerseli buoni pur continuando a detestarli nell’intimo.
Ci deve essere qualcosa di sballato nel nostro dna, per avere questa strana tendenza a ripetere gli stessi errori. Dicono che le tragedie si ripetono, ma la seconda volta solo come farsa. Mah. Lo spero. Ho però l’impressione che – nonostante le continue benedizioni e affidi dell’Italia a Dio o alla Madonna da parte del papa di turno e nonostante le annesse scenografiche benedizioni dal balcone del Campidoglio o dal sancta sanctorum del Parlamento – stiamo correndo per andare a sbattere di nuovo, e tragicamente, contro un muro. Noi italiani se non prendiamo una tramvata in faccia che ci tiri fuori da sotto le gonne della Memoria – ieri dell’Impero Romano, oggi di altre belle fole – e ci rinfreschi invece la memoria, non siamo contenti.
Non vorrei che ai tedeschi e ai francesi più che Berlusconi al Quirinale interessi cacciarci fuori dall’euro per la nostra incapacità cronica di raddrizzare il bilancio dello Stato e i vari altri chiodi storti. Non vorrei che alle regioni del Nord Italia più che Berlusconi al Quirinale interessi smettere di continuare a pagare la “solidarietà” al Sud. Non vorrei che al Sud più che Berlusconi al Quirinale interessi farsi gli affari propri ancor più che oggi, e senza più le lezioncine di moralità impartite dal Nord, che in quanto a immoralità non scherza neppure lui.
Insomma, non vorrei che nel giro di 5-10 anni l’Italia si spaccasse in due, con almeno un pezzo se non tutti e due sbattuti fuori dall’Europa. Con uno Stato come Israele al Sud, armato di bombe atomiche e magari pronto a usarle, e quindi ben più decisivo di noi nei “nuovi” (?) equilibri mediterranei e mediorientali, il nostro ruolo sarebbe simile a quello di una comparsa. In uno spettacolo planetario e globale che però non verrà prodotto dalle reti televisive di Sua Emittenza pur se assiso al Quirinale, bensì dalla realtà e dalle maggiori potenze del mondo.
Insomma, per dirla tutta: non vorrei che nel giro di 5-10 anni le barricate parigine degli anni Duemila e quelle nostrane degli anni Settanta finissero col parerci rose e fiori. Dubito però che a salvarci sarà un Franceschini, così come non poteva essere uno Uòlter o un Baffino. Men che meno ci potranno salvare il papa e i papalini di turno, dalle Binetti ai Casini e Rutelli, tutta bella gente che nella Storia ha sempre e solo aggravato, speculandoci su, i nostri danni e le nostre tragedie.
Che pena vedere il mio Paese in queste condizioni. Che pena questo sfarinarsi di tutto, questo continuo degradarsi del pubblico e quindi troppo spesso anche del privato. E che pena ancora più forte guardare l’orizzonte dove tutti stiamo correndo come impazziti.
Voglio sperare che a tramontare sia la mia capacità di analisi e non la bella lunga stagione del mio Paese.
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