Antony: canzoni da camera da un altro pianeta
Confesso la mia malcelata diffidenza verso il mite, sgraziato e angelico Antony e il suo nuovo disco con i suoi Johnsons. So che dovrei fregarmene, ma il troppo stroppia. Troppe sperticate lodi da ogni dove, troppi articoli sui giornali, comprese le riviste femminili ultrachic, troppe comparsate nei dischi altrui, da Bjork a Battiato. Aggiungo che da sempre è ambivalente il mio sentimento verso di lui. Da una parte adoro le sue canzoni (tutto “I’m a bird now” mi ha accompagnato sognante per un’intera estate, poi ho scoperto il suo primo album), dall’altra talvolta mi infastidisce la sua voce, sì proprio il suo tratto più caratteristico e osannato dai critici. E spesso mi ritrovo a chiedermi come sarebbero la sue canzoni cantate da altri. Una curiosità che mi ha stuzzicato anche mentre ascoltavo “The crying light”. Un disco di canzoni “da camera” quanto mai poetiche, come se venissero da un altro pianeta. La cosa che mi ha colpito positivamente di più non è la voce, ma l’arrangiamento, firmato in coppia con il compositore di musica contemporanea Nico Muhly (mi sto procurando avida i suoi dischi): suoni puliti, accenni di fiati, qualche percussione, gli archi mai invadenti, il pianoforte in primo piano. In “Aeon” è sostituito dalla chitarra elettrica, poche note cadono come pioggia, niente strumenti in “Dust e water”, solo voci, par d’essere nel buoi di una chiesa. La batteria di “Epilepsy is dancing” segue un ritmo insolito e intrigante, il finale di “Everglade” ricorda la sinfonie di Grieg, in “One dove” il sax sembra suonato da un clown triste. Nei testi – “emotional, mood or dream landscapes, it’s not so much to do with everyday places”, come ha detto lo stesso Antony – la parola più usata è love, seguita a ruota da cry, child, baby, heart. Il set è tutto immerso nella natura, bucolica e crepuscolare: “Another world”, come dice il titolo di una canzone, dove è bello perdersi, la sua voce soffia come una brezza leggera. E stavolta mi lascio buona buona accarezzare.