Onore ai giornalisti come l’israeliano Gideon Levy! Anziché il volgare provincialismo degli scontri Santoro-Annunziata, a quando anche in Italia un dibattito in tv come quello andato in onda negli Usa e che posto oggi interamente tradotto nel blog?
Mentre da noi infuria il provincialismo dello scontro Santoro/Annunziata a causa dell’ultima puntata di Anno Zero ritenuta da molti troppo a favore dei palestinesi, come se essere contro le mattanze ” a prescindere” sia vietato, su Facebook un gruppetto di miei colleghi ha lanciato l’idea del Premio Nobel per la Pace al giornalista israeliano Gideon Levy, che ha scelto da tempo di vivere a Gaza. Proposta chiaramente impossibile, che mi è stato addirittura chiesto di patrocinare (!), ma che vale la pena rendere nota anche per tacitare i troppi imbecilli e disonesti di casa nostra. Queste le motivazioni:
“Gideon Levy è’ il giornalista israeliano di Haaretz che da anni incarna l’anima più illuminata del suo popolo. Una vera colomba della pace che con le sue lucide analisi e i suoi coraggiosi commenti ha finito per diventare una spina nel fianco dei falchi che si sono succeduti al governo. La sua voce rappresenta la vera coscienza – non solo quella critica – di una nazione che ha subito inique persecuzioni ed atroci sofferenze, ma che oggi rischia di trasformarsi nel carnefice di un popolo con il quale è destinato invece ineluttabilmente a convivere.
Anche stavolta, in occasione della guerra ad Hamas, di fronte al terribile massacro degli inermi abitanti della Striscia di Gaza, la voce di Gideon Levy sembra essere l’ultimo baluardo della ragione contro il cieco furore dei suoi governanti. In poco più di 15 giorni sono rimasti sul campo mille palestinesi, di cui la maggior parte civili: donne, anziani e bambini (più di 300). Uno spargimento di sangue caratterizzato da veri e propri episodi criminali (come quello di Zeitun, con i 110 civili ammassati in un edificio poi bombardato; o la scuola con le insegne Onu presa a cannonate, provocando 40 morti, tutti civili) che rischia solo di alimentare vendette: altro odio, altra violenza, altri morti. Rafforzando, invece di indebolire, il terrorismo.
Gideon Levy non ha esitato a puntare il dito contro i responsabili – Ehud Olmert, Tzipi Livni ed Ehud Barak (“due di loro candidati a primo ministro; il terzo al un processo per crimini di guerra”) – con parole pesanti come pietre che nessun giornalista occidentale (e tanto meno italiano) avrebbe mai osato pronunciare: “Se continueremo così – ha scritto sulle colonne di Haaretz – prima o poi a L’Aia (sede del Tribunale internazionale per i crimini di guerra, ndr) sarà creata una nuova corte speciale”.
Tutto ciò gli sta ovviamente procurando minacce ed insulti da parte dei più fanatici. Ma lui non sembra curarsene: “Uno spirito malvagio è calato sulla nazione. Questo non è il mio patriottismo. Il mio patriottismo è criticare, fare domande le fondamentali. Questo non è solo il momento dell’uniforme e della fanfare, ma dell’umanità e della compassione”.
Mi chiedo quando in Italia, dove si annega nel bicchier d’acqua versato in modo molto prepotente da Lucia Annunziata, potremo vedere un dibattito televisivo come quello andato in onda negli Usa, che con buona pace delle Lucie Annunziate spazza via una serie di luoghi comuni e di consolidate bugie e che è stato tradotto per noi dal lettore che si firma Vox e che ringrazio per la disponibilità:
“Ex-ambasciatore Martin Indyk contro Norman Finkelstein.
Un dibattito sull’assalto a Gaza da parte di Israele e sul ruolo degli USA nel conflitto. L’attacco di Israele contro Gaza e’ al tredicesimo giorno [ormai 23-mo – N.d.T.]. Circa 700 palestinesi sono stati uccisi [oggi oltre 1200 – N.d.T.], alcune migliaia sono rimaste ferite e la crisi umanitaria si ingigantisce. Intanto, sono morti 10 israeliani, di cui 4 colpiti da fuoco amico. Un cessate il fuoco non e’ ancora stato raggiunto e l’offensiva continua.
Oggi ospitiamo un dibattito tra Martin Indyk, ex ambasciatore degli USA in Israele e Assistente del Segretario di Stato per gli Affari del Medioriente durante la presidenza Clinton, direttore del Centro Saban per le Politiche del Medioriente presso l’Istituto Brookings e autore di Gli Innocenti all’Estero: Un rapporto approfondito sulla diplomazia americana della pace nel Medioriente, e Norman Finkelstein autore di numerosi libri, incluso L’Industria dell’Olocausto, Immagine e realta’ del conflitto israeliano-palestinese, e Al di la’ di Chutzpah.
JUAN GONZALEZ: Decine di migliaia di palestinesi hanno dovuto fuggire dalle loro case nella citta’ di Rafah, mentre Israele intensifica l’assalto alla Striscia di Gaza. I palestinesi hanno raccontato degli attacchi aerei israeliani che hanno colpito abitazioni, moschee e tunnel della zona. L’Agenzia France-Presse ha citato le parole dei testimoni, secondo i quali dozzine di carri armati israeliani sono entrate nel sud di Gaza, dirigendosi verso Rafah. Sono stati anche confermati i violenti scontri tra i combattenti palestinesi e i soldati israeliani attorno Khan Yunis. L’ONU ha riferito che le forze israeliane hanno sparato contro uno dei suoi convogli umanitari. Al Jazeera riporta che almeno un palestinese e’ stato ucciso e altri due feriti durante questo attacco. Intanto, Israele ha continuato a bombardare Gaza, compiendo 60 attacchi aerei in una notte. Gli abitanti l’hanno descritto come uno dei bombardamenti piu’ pesanti da quando e’ cominciata l’offensiva.
Al Jazeera comunica che almeno 700 [oggi oltre 1200] palestinesi, di cui 219 bambini [oggi oltre 450] sono morti a Gaza dall’ inizio dell’aggressione, ovvero dal 27 dicembre 2008. Oltre 3000 persone [attualmente oltre 4000] sono rimaste ferite. Intanto, 10 israeliani sono morti nello stesso lasso di tempo, di cui 7 militari. Quattro di loro uccisi dal cosi’ detto fuoco amico.
Sul fronte diplomatico, continuano gli sforzi per assicurare un armistizio a Gaza, con rappresentanti ufficiali di Israele che andranno al Cairo per ascoltare i dettagli di un piano di tregua messo a punto da Egitto e Francia. Mercoledi’, Israele ha detto che accetta in linea di principio la proposta, ma vuole studiare il piano. Una delegazione di Hamas e’ attesa al Cairo per colloqui paralleli.
Il leader palestinese Mahmoud Abbas e’ atteso per venerdi’. Nel frattempo, il consiglio di sicurezza dell’ONU sembra in un vicolo cieco sulla crisi. I paesi arabi vogliono un Concilio che voti una risoluzione per mettere fine all’attacco, mentre la Gran Bretagna, la Francia e gli USA spingono per una dichiarazione piu’ blanda, approvando la proposta franco-egiziana.
AMY GOODMAN: Ora passiamo al ruolo degli Usa nel conflitto e alle prospettive della nuova amministrazione di Obama. Martin Indyk e’ un consigliere di Hillary Clinton, la quale e’ stata invitata a diventare Segretario di Stato di Obama ed e’ un potenziale inviato speciale nel Medioriente. Martin Indyk e’ in collegamento con noi da Washington, D.C. Siamo anche in collegamento con Norman Finkelstein qui a New York, uno dei leader fra i critici della politica estera israeliana e autore di molti libri. Ci rivolgeremo per primo all’ambasciatore Indyk.
Potrebbe spiegarci la sua opinione sul perche’ Israele abbia iniziato questo attacco?
MARTIN INDYK: Buon giorno, Amy. Mille grazie per avermi invitato a partecipare a questo show. Mi sento un po’ in trincea, qui, perche’ non mi era stato detto che ci sarebbe stato un dibattito con Norman Finkelstein. Non sono interessato a farlo. Inoltre, non sono un portavoce di Israele. Tuttavia, cerchero’ di rispondere alle domande come meglio posso.
Penso che quel che e’ avvenuto sia questo: c’era una tregua informale tra Hamas e Israele che e’ stata mantenuta per circa 5 mesi. Poi Hamas ha deciso di rompere la tregua sparando una lunga serie di razzi su civili israeliani nel sud di Israele. E il governo israeliano ha risposto con una forza intesa, come hanno detto, a ristabilire la deterrenza e a prevenire Hamas dal farlo ancora, e anche per far smettere Hamas di contrabbandare armi a Gaza.
AMY GOODMAN: Norman Finkelstein, qual e’ la sua opinione sull’attacco di Israele?
NORMAN FINKELSTEIN: Be’, la situazione mi sembra molto chiara. La risposta si puo’ trovare sul sito israeliano, il website del Ministero degli Esteri. Mr. Indyk e’ stato corretto circa il fatto che Hamas abbia aderito alla tregua dal 17 giugno al 4 novembre 2008. Ma e’ dal 4 novembre in poi che il signor Indyk, secondo me, se ne va per la tangente. Il rapporto e’ chiaro: Israele ha rotto la tregua entrando a Gaza e uccidendo 6 o 7 combattenti palestinesi. A questo punto – e sto citando il website ufficiale di Israele – Hamas ha reagito all’attacco israeliano, lanciando dei missili.
Ora, per quanto riguarda il motivo, anche questo e’ chiaramente espresso dal rapporto. Secondo Haaretz, il ministro della Difesa Ehud Barak ha incominciato i suoi piani di invasione ben prima che sia addirittura cominciata la tregua.
Infatti, secondo l’Haaretz di ieri, questi progetti di invasione sono nati a Marzo [2008]. E la motivazione principale dell’invasione penso sia duplice. Primo: come anche il signor Indyk osserva correttamente, per sottolineare quel che Israele chiama “capacita’ di deterrenza”, che in parole povere rappresenta la capacita’ di Israele di terrorizzare la regione e costringerla alla sottomissione. In seguito alla sconfitta nel luglio 2006 in Libano, [Israele] ha sentito la necessita’ di passare il messaggio che Israele e’ ancora una potenza combattente, ancora in grado di terrorizzare coloro che osano sfidarne la parola.
La seconda ragione principale dell’attacco e’ che Hamas stava dando segnali di volere una risoluzione diplomatica del conflitto in base ai confini del giugno 1967. Cioe’ Hamas si era unita al consensus internazionale, alla maggioranza della comunita’ internazionale, cercando una risoluzione diplomatica. A questo punto, Israele e’ stata messa di fronte a quel che gli israeliani chiamano “un’offensiva plestinese pacifica”. Per sconfiggere questa offensiva pacifica, hanno deciso di smantellare Hamas.
JUAN GONZALEZ: Vorrei rivolgermi all’ambasciatore Indyk. Questo ritornello che i sostenitori di Israele ripetono, che Hamas voglia la distruzione di Israele. Secondo lei, nell’ultimo anno c’e’ stato un cambiamento nella posizione dei leader di Hamas?
MARTIN INDYK: No, non credo che ci siano prove di questo. Hamas e’ molto chiara sul fatto che non vuole la pace con Israele e non riconoscera’ Israele. La sua intenzione e’ di distruggere lo stato ebraico, e che e’ un abominio nel cuore della terra araba, del mondo islamico e cosi’ via. Insomma, non vedo alcun cambiamento. Penso che il solo cambiamento sia sul territorio. Hamas, avendo vinto le elezioni (e non abbiamo bisogno di addentrarci nei dettagli) come risultato di una gara tra Hamas e Fatah su chi sia il leader, Hamas ha preso il controllo di Gaza con la forza, in effetti con un colpo di stato contro l’Autorita’ Palestinese. Cosi’, e’ passata da organizzazione terroristica a governo terrorista, responsabile del controllo del territorio di Gaza e responsabile delle necessita’ di un milione e mezzo di palestinesi. Tra l’altro questo e’ stato un cambiamento contestato all’interno di Hamas. La leadership esterna di Hamas, che ha sede a Damasco ed ha a capo Khaled Meshal, era contraria all’idea di prendere il controllo di Gaza, proprio perche’ non voleva la responsabilita’ dei bisogni degli abitanti di Gaza. Ma i militanti di Hamas hanno deciso di prendere Fatah e sbatterla fuori.
Di conseguenza, Hamas si e’ ritrovata ad affrontare un dilemma. Dovendo governare Gaza, col tempo avrebbe dovuto moderare le proprie posizioni. Nel contesto degli sforzi diplomatici per una tregua, ora devono o continuare ad attaccare Israele da Gaza e quindi non accetteranno alcuna condizione proposta da Israele per fermare il contrabbando di armi, oppure devono concentrarsi sui bisogni della loro gente.
A tale scopo, vorranno l’apertura dei passaggi, affinche’ la gente possa entrare e uscire da Gaza. In altre parole, dovranno fare una scelta: se vogliono usare questa tregua e continuare quel che loro chiamano resistenza, ma che noi recepiamo come violenza e terrorismo contro i nostri civili, oppure se concentrarsi sulle responsabilita’ per Gaza. E questo dilemma, come ho detto, potrebbe portarli a moderarsi, ma per adesso non ne vedo ancora traccia.
AMY GOODMAN: Norman Finkelstein?
NORMAN FINKELSTEIN: Io credo che il problema della presentazione del signor Indyk sia il costante rivoltare cause ed effetti. Poco fa ha detto che e’ stata Hamas a rompere la tregua, sebbene sappia benissimo che e’ stata invece Israele a romperla il 4 novembre. Ora rivolta causa ed effetto su come si sia creato l’impasse. Nel gennaio del 2006, come egli stesso scrive nel suo libro, Hamas e’ arrivata al potere durante libere elezioni. Ora, pero’, sostiene di aver scritto che Hamas sia arrivata al potere grazie a un colpo di stato per eliminare l’Autorita’ Palestinese. Io sono certo che il signor Indyk sappia bene, come e’ stato documentato nel numero di aprile 2008 di Vanity Fair dallo scrittore David Rose in base a documenti interni USA, che erano proprio gli Usa, assieme all’ Autorita’ Palestinese, a voler fare un putsch contro Hamas, la quale e’ riuscita ad evitarlo. Questo non e’ un punto controverso, e’ un fatto.
Ora il signor Indyk ci dice che Hamas e’ riluttante o poco chiara sul fatto di voler o meno governare Gaza. Ma la questione non e’ se voglia o non governare. La questione e’: potra’ governare a Gaza se Israele continua a mantenere l’embargo e rende impossibile ogni attivita’ economica tra i palestinesi? Tra l’altro, l’embargo era stato messo in atto ben prima che Hamas andasse al potere. L’embargo non ha niente a che fare con Hamas. L’embargo e’ arrivato quando degli americani, in particolare James Wolfensohn, erano stati mandati la’ per cercare di romperlo, dopo che che Israele aveva rimesso le proprie truppe a Gaza. [un passaggio poco chiaro nell’originale – N.d.t.]
AMY GOODMAN: L’ex presidente della Banca Mondiale [James Wolfensohn]?
NORMAN FINKELSTEIN: Esatto. Tutto il problema sta nel fatto che Israele non vuole che Gaza si sviluppi e non vuole risolvere il conflitto diplomaticamente. Il signor Indyk sa benissimo che entrambe le leadership di Damasco e di Gaza hanno ripetutamente annunciato di desiderare la risoluzione del conflitto in base ai confini del giugno 1967. La cosa e’ ben documentata. E’chiara senza alcuna ambiguita’. Ogni anno, l’Assemblea Generale dell’ONU vota una risoluzione per una soluzione pacifica della questione palestinese. E ogni anno il voto e’ lo stesso: tutto il mondo da una parte, e Israele/Usa/Australia e qualche atollo dei Mari del Sud dall’altra. Il voto nel 2008 e’ stato 164 a 7. Nel 1989, il voto era 151 a 3. Ogni anno abbiamo tutto il mondo da una parte e Usa/Israele/Rep. Dominicana dall’altra. Abbiamo la Lega Araba, 22 membri, a favore della soluzione dei due stati in base ai confini del giugno 1967. Abbiamo l’Autorita’ Palestinese a favore della soluzione dei due stati in base ai confini del giugno 1967. Adesso abbiamo anche Hamas a favore della soluzione dei due stati in base ai confini del giugno 1967.
Ma l’unico e solo ostacolo e’ Israele, sostenuta dagli Usa. Questo e’ il problema.
AMY GOODMAN: Dunque, ambasciatore Indyk, perche’ Israele non accetta questa tregua?
MARTIN INDYK: Guardi, Amy, io ero stato invitato qui per parlare del mio libro e della situazione a Gaza. Non a un dibattito con Norman Finkelstein, e non sono preparato a questo. Percio’ se lei vuole parlare della situazione, sono lieto di farlo, ma non sono qui come rappresentante del governo israeliano. Puo’ facilmente invitare qualcun altro a…
AMY GOODMAN: No, certo che no. Ma noi le chiediamo la sua opinione. Io non gliela chiedo come a un rappresentante di Israele. Chiedo solo la sua personale opinione.
MARTIN INDYK: Be’, perche’ non ci concentriamo su qualche altro aspetto, come il ruolo dell’America, o qualcosa del genere?
AMY GOODMAN: Molto bene.
MARTIN INDYK: Usciamo da questo ridicolo dibattito, in cui lui fa solo propaganda per Hamas.
AMY GOODMAN: Mi permetta di farle ascoltare l’attuale Segretario di Stato Condoleezza Rice, quel che ha detto l’altro giorno all’ONU a proprosito del raggiungimento di un accordo sulla tregua. Mi permetta di mostrarle questo video:
CONDOLEEZZA RICE: Centinaia di migliaia di israeliani sono vissuti ogni giorno sotto il tiro dei missili e francamente nessun paese, nessuno dei nostri paesi, sarebbe disposto a tollerare circostanze del genere. Inoltre, la popolazione di Gaza ha dovuto assistere alla diminuzione della sicurezza e all’aumento di mancanza di legge, al peggiorare delle loro confizioni di vita a causa di Hamas, che ha iniziato con un colpo di stato illegale contro l’Autorita’ Palestinese. Una tregua che ritorni a quelle circostanze e’ inaccettabile e non durerebbe. Dobbiamo urgentemente convenire su una tregua che possa durare e possa portare reale sicurezza.
AMY GOODMAN: Ambasciatore Indyk, quale sarebbe la sua risposta al segretario di Stato? Lei sara’ consigliere del nuovo Segretario, Hillary Clinton. Pensa che l’amministrazione Obama debba spingere per una tregua subito?
MARTIN INDYK: Mi permetta di fare un’altra precisazione prima di rispondere. Io ero consigliere di Hillary Clinton durante la sua campagna per la presidenza, ma al momento non sono ancora suo consulente e nulla di quel che posso dire qui dev’essere preso come il suo punto di vista.
Io credo che sia essenziale ottenere un cessate il fuoco al piu’ presto possibile. Penso che si stiano facendo molti sforzi, come si e’ gia’ descritto. Spero che questo possa avvenire prima che il neo-eletto presidente Obama occupi lo Studio Ovale tra [pochi giorni] e che il nuovo Segretario di Stato Hillary Clinton prenda il suo incarico.
Se cosi’ non dovesse avvenire, essi dovranno lavorare in modo molto efficiente per raggiungere l’obiettivo al piu’ presto, non solo per cercare di spingere verso una soluzione al conflitto israeliano-palestinese, ma secondo me anche per creare un nuovo contesto per una nuova iniziativa Obama-Clinton in vista di una poce onnicomprensiva che coinvolga anche negoziati tra Israele, Siria e Libano.
Il neo-presidente Obama ha detto durante la campagna elettorale che sara’ la sua priorita’ fin dal primo giorno e penso che questo sia molto importante. Ma il suo desiderio di occuparsi di questo problema e’ diventato ora una necessita’ per via della crisi di Gaza, una necessita’ per due, anzi, per tre motivi.
Il primo e’ di porre fine a questo conflitto dopo tutti questi anni e tanti morti da entrambe le parti. Il secondo e’ che quelli del mondo arabo che vogliono trovare una soluzione al conflitto con Israele sono oggi seriamente indeboliti a causa di questa crisi a Gaza. C’e’ molta rabbia nel mondo arabo e islamico. Coloro che si oppongono a una soluzione pacifica del conflitto, a cominciare da Hamas, Hezbollah e leadership iraniana, questo blocco che rigetta la soluzione, ora ha il vento in poppa. Ed e’ molto importante morstrare che moderazione, compromesso, riconciliazione e pace possono prevalere e ottenere un buon risultato per i palestinesi e gli arabi, piuttosto che il punto di vista che [loro] propagandano, e che consiste in violenza, terrorismo e sfida.
JUAN GONZALEZ: Ambasciatore Indyk, vorrei farle una domanda sui tempi dell’offensiva israeliana. E’ chiaro che siamo agli sgoccioli dell’amministrazione Bush, prima che il neo-eletto Obama inauguri la presidenza.
Le ha la sensazione che i tempi [di questa offensiva] abbiano qualcosa a che vedere col fatto che la risposta degli Usa potrebbe mutare, o almeno transitare come transitano le amministrazioni?
MARTIN INDYK: E’ importante comprendere che la tregua e’ finita, una tregua di 6 mesi, e non credo che gli israeliani abbiano deciso di proposito che era il momento di colpire. Se Hamas non avesse lanciato razzi, penso che sarebbero stati perfettamente felici di continuare la tregua. Ehud Barak, il ministro della Difesa israeliano, e’ il vero stratega di tutta questa operazione ed e’ l’uomo con cui io ho lavorato molto da vicino quando ero ambasciatore in Israele (E.B. era il primo ministro all’epoca). Si cercava di ottenere una completa e onnicomprensiva pace nell’ultimo anno dell’amministrazione Clinton e nel primo anno di Ehud Barack come Primo Ministro. Ma quel che ho appreso nei giorni in cui ho lavorato con lui e’ che e’ un uomo che considera le operazioni secondo un calendario molto ristretto. Coltiva perfino l’ hobby di smontare orologi. Insomma, e’ ossessionato dai tempi e questo e’ qualcosa che io sottolineo nel mio libro, quando descrivo il modo in cui tento’ di portare avanti le operazioni di pace nel 2000. A quell’ epoca calcolo’ male i tempi.
Ora, ha davanti due date. La prima e’ quella alla quale ha fatto riferimento lei, 20 gennaio [2009], quando il nuovo presidente si insedia nel suo ufficio qui a Washington. George W. Bush ha sostenuto molto Israele e, per la maggior parte del suo governo, ha lasciato carta bianca a Israele nei confronti di Hamas (che egli considera un’organizzazione terroristica) perche’ cio’ fa parte della guerra al terrore. Percio’, si, credo che Ehud Barak abbia probabilmente calcolato che deve finire questa operazione sotto l’egida di Bush, prima che arrivi Obama.
Ma c’e’ una seconda data che credo sia ancora piu’ importante dal suo punto di vista: il 10 febbraio [2009]. In quella data egli dovra’ fronteggiare l’elettorato assieme gli altri politici di Israele, a meno che le elzioni non vengano spostate, cosa che potrebbe difficilmente accadere. Per tutte queste ragioni, ha bisogno che l’operazione abbia fine. Ma se l’esercito israeliano prendesse il controllo di Gaza City, del campo rifugiati a Jabalya e di Rafah City nel sud di Gaza, e poi improvvisamente l’elettorato israeliano il 10 febbraio vede che Israele ha di nuovo occupato Gaza (che aveva lasciato unilateralmente alcuni anni fa), che i soldati israeliani muoiono, che tutto il mondo condanna Israele e c’e’ una crisi nelle relazioni Usa-Israele col nuovo presidente, Ehud Barak non verra’ di certo ringraziato. Ed e’ per tutto questo che gia’ oggi potete vedere da parte sua molto interesse alla tregua e il governo israeliano ci sta lavorando sopra. Credo che cercheranno di arrivare a un accordo prima che Obama occupi la presidenza…
AMY GOODMAN: Norman Finkelstein, mi permetta di…
MARTIN INDYK: … in modo da mostrare al suo elettorato che e’ stata un’operazione di successo, dal punto di vista di Israele.
AMY GOODMAN: Norman Finkelstein, lei condivide il punto di vista dell’ambasciatore Indyk che Israele avrebbe continuato la tregua se Hamas non avesse cominciato a lanciare razzi?
NORMAN FINKELSTEIN: I documenti mostrano che Hamas voleva continuare la tregua, ma a condizione che Israele allentasse l’assedio. Come molti spettatori sapranno, molto prima che Hamas riprendesse i lanci di razzi verso Israele, i palestinesi soffrivano per una crisi umanitaria a Gaza, a causa del blocco. L’ex Alto Commissario per i Diritti Umani [ed ex-presidente dell’Irlanda] Mary Robinson ha descritto quel che avveniva a Gaza come “distruzione di una civilta’”. E questo durante il periodo della tregua. Ora teniamo a mente che il signor Indyk vuole parlare del suo libro. Ebbene, parliamo del libro. Sono rimasto alzato fino all’1:30 di notte per finire di leggerlo, per arrivare a pagina 415, e assicurarmi di aver letto ogni singola parola.
Il problema, con questo libro, come anche con la presentazione qui, e’ la sistematica distorsione dei dati del processo di pace. Egli mente non solo ai suoi lettori, ma a tutto il popolo americano. Continua a mettere il peso della responsabilita’ per l’impasse nel processo di pace solo sui palestinesi. Poco fa ha fatto riferimento a “coloro che rigettano” [la pace]e che stanno tentando di bloccare la soluzione del conflitto. Ma cosa mostrano i fatti? I fatti mostrano che negli ultimi 20 e passa anni, l’intera comunita’ internazionale ha cercato di sistemare il conflitto in base ai confini del giugno 1967, un’equa risoluzione per la questione dei rifugiati.
Allora, anche le 164 le nazioni dell’ONU sarebbero tra “coloro che rigettano” [la pace]? E i soli a favore della pace sarebbero gli USA, Israele, Nauru, Palau, la Micronesia, le Marshall Islands e l’ Australia? Chi sono veramente quelli che rigettano [la pace]? Che si oppongono ad essa? Secondo il racconto del signor Indyk sui negoziati che culminarono negli accordi di Camp David e Taba, egli ci dice che erano i palestinesi a bloccare la risoluzione. Ma cosa ci mostrano i fatti? I fatti mostrano che nell’istanza cruciale sollevata a Camp David (a quell’ epoca secondo i parametri di Clinton), e poi a Taba, su ogni singolo punto tutte le concessioni arrivavano da parte dei palestinesi. Israele non fece nessuna concessione. Tutti i compromessi venivano dai palestinesi. I palestinesi hanno ripetutamente espresso di essere disposti a sanare il conflitto secondo le leggi internazionali.
La legge e’ molto chiara. Luglio 2004: l’organo giudiziario internazionale piu’ alto, la Corte Internazionale di Giustizia, ha disposto che Israele non ha alcun diritto ne’ sulla West Bank, ne’ su Gaza. Non ha diritti su Gerusalemme. L’Est arabo di Gerusalemme, secondo l’alta corte giudiziaria, e’ un territorio occupato. La Corte Internazionale di Giustizia ha disposto che tutti i villaggi colonici del West Bank sono illegali secondo la legge internazionale. E’ importante notare che, malgrado cio’, su tutte queste questioni, i palestinesi erano disposti a fare concessioni. Erano disposti a permettere a Israele di tenersi il 60% dei territori colonizzati e l’ 80% dei coloni. Erano disposti a fare compromessi su Gerusalemme. Erano perfino disposti a rinunciare, in pratica, al loro diritto al ritorno. Hanno fatto tutte le concessioni possibili. Israele non ne ha fatta alcuna. Ora, come viene mostrato questo fatto nel libro di Martin Indyk?
Cito: “[Da una parte] la coraggiosa e audace iniziativa di Ehud Barak per la pace, e [dall’altra] Arafat e l’OLP che respingono queste inziative audaci e coraggiose”. Capovolge completamente la realta’.
AMY GOODMAN: Ambasciatore Indyk, cosa risponde?
MARTIN INDYK: Gliel’ ho detto, Amy, non sono qui per dibattere con Norman Finkelstein. Queste sono regole cha ha creato lei…
NORMAN FINKELSTEIN: Io sto parlando del suo libro.
MARTIN INDYK: …per invitarmi a questo programma. E non intendo rispondere a questi attacchi ad hominem.
AMY GOODMAN: Ma egli sta parlando del suo…
MARTIN INDYK: No. Mi lasci dire…
AMY GOODMAN: Ma noi desideriamo darle l’occasione di presentare il suo libro.
MARTIN INDYK: Si, gia’, questo e’quel che credevo voleste fare. Sul serio, spero che gli spettatori leggano il libro e si facciano la propria idea. Io ho cercato di fare un resoconto onesto. E’ un libro autocritico. Ed e’ un libro in cui ogni mia descrizione dell’accaduto e’ piena di profonde critiche agli errori che noi del gruppo americano per la pace abbiamo commesso. C’e’abbstanza critica da condividere. Il libro e’ critico anche dello stesso Ehud Barak ed e’ la voce piu’ onesta possible di qualcuno che e’ stato coinvolto in tutti questi negoziati, profondamente coinvolto.
AMY GOODMAN: Quali erano questi errori, ambasciatore Indyk?
MARTIN INDYK: Ho cercato di raccontarlo onestamente. E quel che Norman Finkelstein ha fatto e’ semplicemente distorcere le mie argomentazioni e caricarle con la sua solita batteria di risoluzioni legali, eccetera. Ma se la gente vuole capire quanto sia difficile costruire la pace, allora spero che legga, piuttosto che accettare la sua propaganda.
AMY GOODMAN: Come fara’ Obama a non ripetere gli errori del passato, come lei li delinea nel suo libro?
MARTIN INDYK: Grazie. Io credo che una lezione fondamentale, sia dal lato dell’approccio di Clinton, che voleva trasformare il Medioriente attraverso la pace, sia dell’approccio di Bush che voleva trasformarlo con la guerra, i cambi di regime e la promozione della democrazia, consista nel fatto che Obama, nel disegnare una visione di pace, sicurezza e normalita’ nella regione, debba anche essere molto realistico su quel che si puo’ raggiungere. Sia Clinton che Bush, cosi’ diversi sotto molti aspetti, hanno cercato di trasformare la regione a somiglianza dell’America. Io penso che Obama debba avere un approccio piu’ umile, meno arrogante e lavorare insieme ai leader e ai popoli della regione per aiutarli a muoversi verso un mondo di pace. Il ruolo americano e’ indispensabile. Ma dobbiamo essere piu’ saggi. Piu’ flessibili. Dobbiamo capire che esistono enormi differenze tra noi e loro, che dobbiamo avere piu’ attenzione per la loro cultura, i loro valori e la loro politica, piuttosto che presumere che siano i nostri stessi. Questo e’ un proposito molto generale, ma da esso puo’ scaturire piu’ saggezza nell’ affrontare i dettagli del costruire la pace. Non possono raggiungere la pace senza di noi, ma il nostro ruolo dev’essere piu’ saggio.
AMY GOODMAN: Norman Finkelstein, lei cosa pensa debba avvenire?
NORMAN FINKELSTEIN: A me sembra piuttosto chiaro. In primo luogo, gli USA e Israele si devono unire al resto della comunita’ internazionale e devono rispettare la legge internazionale. Martin Indyk dismette quelle che chiama risoluzioni legali. Ma io non credo che si possa volgarizzare la legge internazionale. E’ una cosa seria. Se Israele sfida la legge internazionale, dev’essere chiamato a risponderne, come ogni altro paese del mondo. Su un punto sono d’accordo con Martin Indyk. Il signor Obama deve mettersi allo stesso livello del popolo americano. Dev’essere onesto su quale sia il vero ostacolo alla soluzione del conflitto. Non sono le obiezioni palestinesi. E’ il rifiuto di Israele – sostenuta dal governo USA – di osservare le leggi internazionali e l’opinione della comunita’ internazionale. La sfida maggiore per tutti noi americani e’ quella di riuscire a vedere oltre le menzogne. E purtroppo, vedere oltre quelle menzogne propagandate da Martin Indyk nel suo libro con la pretesa che siano i palestinesi – e non Israele e gli Usa – il maggior ostacolo alla pace”.
x Faust
una volta all’anno è lecito impazzire
x FAUST
Divertiti ancora!
pino
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I panni sporchi sono ormai lenzuolate che sventolano in Tribunale – La memoria di Luisa: ”Mio marito colpito da vera e propria impotenza sessuale” – E Il marito darà la paternità ai due figli illegittimi per buona quiete familiare.
Federico Giglio per “Novella 2000″, in edicola domani
Carlo Ravelli
«Io non so se Carlo e Margherita sono figli di mio padre. Non lo so perché neanche papà lo sapeva. Non ha mai voluto fare il test del Dna per motivi che aveva in testa solo lui. Io so solo che ha avuto tutto il tempo sia per il Dna sia per cambiare il testamento, ma non l’ha fatto».
Questo racconterebbe agli amici e ai parenti più cari Jacaranda Caracciolo Falk, perché questo spezzone di dialogo non appartiene a una telenovela ma a una dynasty vera, che tocca punti nevralgici dell’editoria e della finanza non solo italiana. E di cui Novella è in grado di ricostruire retroscena a tratti sconcertanti e finanche boccacceschi.
Principe anche con Ségolene
Il padre in questione è Carlo Caracciolo, principe di Castagneto, duca di Melito, Cavaliere del Lavoro e cognato di Gianni Agnelli che aveva sposato sua sorella Marella. Ex partigiano, bello, alto, gaudente, aveva fondato il Gruppo l’Espresso e ne era stato presidente. È morto a Roma il 15 dicembre scorso, a 83 anni, lasciando un patrimonio stimato per difetto in 100 milioni di euro, con due gioielli come l’11,7 del gruppo editoriale Espresso-Repubblica e il 33% del quotidiano francese Libération.
Eredità Caracciolo
Il principe amava le donne, riamato. Per dirla col commosso ricordo affidato al Sole 24 ore dall’amico magnate delle cliniche Giuseppe Ciarrapico, «ha esercitato fino all’ultimo non esitando a servirsi dei moderni ritrovati della farmacologia. L’ultima volta che lo hanno ricoverato da me, al Quisisana, i medici mi dissero: “Questo ha un infarto da Viagra. Cerchi di farsi dire quanto ne ha preso”. Mi chinai su di lui che era intubato e gli dissi: “Carlo, fammi segno con la mano, quante pastiglie hai preso?”. Le sue dita si sollevarono lentamente. “Tu sei pazzo”, gli sussurrai».
Ma anche: «Ultimamente aveva preso una paurosa sbandata per Ségolène Royal. Sono certo che abbia comprato Libération solo per fare colpo su di lei». E meno male che si trattava della leader socialista e non della ministra Rachida Dati, quella dalla «vita sentimentale complicata» che ha appena dato alla luce un figlio di padre ignoto.
Figli e figliastri
Insomma, il principe amava le donne e tuttavia l’unica figlia, Jacaranda, l’aveva adottata nel 1996. La ragazza aveva allora 24 anni e andava in sposa al principe Fabio Borghese. Schiva e bellissima, portava in dote un cognome già impegnativo: quello di Giorgio Falck, il re dell’acciaio, ed era la secondogenita sua e della prima moglie Anna Cataldi.
Oggi Jacaranda ha 36 anni, fa la giornalista e la mamma, ed è l’erede universale di quel patrimonio Caracciolo da cento milioni o giù di lì insidiato da due figli presunti assurti alle cronache neanche un mese dopo la morte del principe.
Trattasi di due Revelli: Carlo, nato nel 1969, e Margherita, nel 1971. Neanche loro sono poveri. Lei ha sposato un Fabiano della dinastia di costruttori romani Rebecchini. Lui ha fondato in Francia Agoravox, un sito di informazione. I due affermano di essere nati dall’adulterio della madre Maria Luisa Bernardini con Caracciolo e aspirano al riconoscimento della paternità e quindi alla loro fetta di eredità.
Legal thriller
A creare suspense, c’è la caccia al Dna del principe, che è stato cremato. E in questo romanzo ci sono altri principi, questa volta del foro e ci sono i giudici, quelli del tribunale di Roma, che dovranno decidere prima sulla richiesta di disconoscimento di papà Carlo Revelli senior e poi sull’eventuale paternità di Carlo Caracciolo. Poi ci sono i giornali che ci sguazzano, come Milano Finanza, che per primo ha pubblicato il testamento. E ci sono i testimoni dai cognomi importanti: Agnelli, Rattazzi, De Benedetti, Scalfari, ma anche uno stuolo di servitori e maggiordomi.
Il Corriere della Sera ha tracciato una prima geografia all’interno della famiglia. Susanna Agnelli è realista: «Se loro lo sono, i figli, gli auguro grande fortuna». Mentre si dice che alcuni figli di Suni si sarebbero dissociati esprimendo solidarietà a Jacaranda. Il fratello del principe, Nicola Caracciolo, è possibilista: «Carlo era malato da anni, aveva avuto due infarti, due tumori e una serie di interventi chirurgici, ma ne era sempre venuto fuori e forse anche stavolta non si aspettava di finire così bruscamente, pensava che avrebbe trovato lui la soluzione che metteva tutti d’accordo».
Ma soprattutto è pesante per Jacaranda la testimonianza della figlia di Nicola, Marella, che al Corriere ha raccontato: «A una riunione di famiglia, a Roma nel giugno 2008, lo zio ci ha presentato Carlo e Margherita dicendo che erano suoi figli». Ma Jaracanda è ferma nello smentire l’episodio: «È l’unica che lo dice, mi dispiace che dei parenti che erano stati esclusi in vita da Carlo prendano queste posizioni». “Esclusi” da cosa, è facile a dirsi: esclusi dal testamento, dove Marella non è citata, lei che per anni si era ritenuta la nipote prediletta.
La versione dei Revelli
Le due liste di testimoni sono state uno dei piatti forti dell’udienza del 15 gennaio al tribunale di Roma. Le prove sarebbero, a detta dei Revelli, inoppugnabili: c’è la testimonianza della madre, ci sarebbe il loro Dna, differente da quello degli altri tre fratelli Revelli, ci sarebbe il medico che garantisce l’impotenza del padre, per quanto un’operazione di cistectomia radicale risalga solo al 1978, quando Carlo e Margherita erano belli che nati.
E ci sarebbe una lettera in cui il principe li riconoscerebbe. Lettera, pare, scritta a macchina, con firma e data (sembra del 14 ottobre 2008) che i legali di Jacaranda hanno contestato. Ma è sul disconoscimento della paternità che la battaglia legale è più aspra. Per legge può avvenire entro dodici mesi da quando il figlio scopre che il padre non è il padre. Ma quando e come Carlo e Margherita avrebbero saputo? Si gioca tutta qui la contesa.
I due sostengono di averlo appreso dalla madre il 14 ottobre 2007. Particolare importantissimo, visto che la causa per il disconoscimento è stata avviata nell’ottobre 2008, dunque entro i termini. La rivelazione sarebbe avvenuta sul letto di dolore dove Margherita lottava per difendere la quarta gravidanza, e la madre, ormai vedova dal 2002, balbettante e seria avrebbe confessato affinché il bebè sapesse chi era il vero nonno.
E quando Carlo jr scrive al Corriere per raccontare la sua verità accende il dibattito. Renato Farina su Libero si domanda: «I soldi valgono così tanto da sputtanare un padre, anzi due?».
La versione di Jacaranda
Diversa la versione dell’unica figlia fin qui certa. Che nell’esposto al pubblico ministero di Roma Francesca Loi sostiene che i due sapessero almeno dal 2006. E su questo punto produce 15 testimoni blasonati e no. A Jacaranda suo padre avrebbe parlato del giovane Revelli già all’inizio del 2006, quando il ragazzo, dopo avergli chiesto un paio di incontri per motivi di lavoro, gli aveva anche chiesto se fosse suo figlio.
x Faust
“una sola volta all’anno è lecito impazzire”
ps
mi chiedo perché essere a favore del rispetto delle leggi, e quindi sostanzialmente dello Stato di diritto, debba comportare oggi l’essere tacciati di giustizialismo; ed invece, chi calpesta le leggi, se ne fa fare dal parlamento a proprio uso e consumo (manco fosse un laboratorio artigianale di pasta fresca a cui si ordina un chilo di ravioli e due di tortellini, ndr), fa la guerra ai magistrati che vorrebbero legittimamente giudicarlo (e questo accade sia a destra che a sinistra) è garantista… boooooohhhh
Maroni: “Stop a manifestazioni davanti ai luoghi di culto”
Direttiva del ministro ai prefetti dopo la preghiera pro-Gaza di fronte al Duomo di Milano. “I cittadini devono fruire pacificamente degli spazi delle loro città”
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Come aveva capito chiunque, ecco arrivato il vero obiettivo: abolire il diritto di manifestazione. L’avrebbe capito anche un bambino ….. U.
Suggerisco la lettura di questo buon articolo di GIULIETTO CHIESA sull’operazione di marketing “il sogno Obama”:
OBAMA E LE VERITA’ INDICIBILI
http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&sid=5501
x252
maledette telenovelas. O soap operas….
ISRAELE RECLUTA UN “ESERCITO DI BLOGGER”
PER COMBATTERE I SITI ANTI-SIONISTI
di CNAAN LIPHSHIZ
Ha’aretz
Il Ministero per l’Assorbimento dell’Immigrazione [ebraica ovviamente n.d.t.] ha annunciato domenica che sta preparando un “esercito di blogger” composto da israeliani che parlano una seconda lingua per rappresentare Israele nei blog anti sionisti in inglese, francese, spagnolo e tedesco.
“Durante la guerra abbiamo cercato un modo di contribuire allo sforzo”, ha detto ad Haaretz il direttore generale del ministero Erez Halfon. “Ci siamo rivolti a questo enorme bacino di più di un milione di persone con una seconda madrelingua”. Altri linguaggi in cui si cercano blogger includono il russo e il portoghese.
http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&sid=5499
Insomma, occhio ai troll!
Obama non sara’ il demiurgo, ma e’ un uomo carismatico, e dovrebbe essere giudicato con meno cinismo. Anzi, si dovrebbe sospendere il giudizio per un po’.
Una mia conoscente di 73 anni, per niente ricca, e’ andata fino a Washington per vedere la cerimonia. La gente ha molta fiducia in lui
Peter
CHE DIRO’ AI MIEI STUDENTI IL GIORNO DELLA MEMORIA ?
di FRANCO BERARDI
[…] Si avvicina il 27 gennaio, che sarà anche quest’anno il giorno della memoria. Come potrò parlarne nella classe in cui insegno quest’anno? Non c’è più Claude, ma ci sono altri ragazzi africani e arabi e slavi ai quali non potrò parlare dell’immane violenza che colpì il popolo ebraico negli anni Quaranta senza riferirmi all’immane violenza che colpisce oggi il popolo palestinese. Se tacessi questo riferimento apparirei loro un ipocrita, perché essi sanno quel che sta accadendo. E come potrò tacere le analogie tra l’assedio di Gaza e l’assedio del Ghetto di Varsavia del quale abbiamo parlato recentemente? E’ vero che gli ebrei uccisi nel ghetto di Varsavia nel 1943 furono 58.000 mentre i morti palestinesi sono per il momento solo mille. Ma come dice Woody Allen i record sono fatti per essere battuti. La logica che ha preparato la ghettizzazione di Gaza [che un cardinale cattolico ha definito «campo di concentramento»] non è forse simile a quella che guidò la ghettizzazione degli ebrei di Varsavia? Non vennero forse gli ebrei di Varsavia costretti ad ammassarsi in uno spazio ristretto che divenne in poco tempo un formicaio? Non venne forse costruito intorno a loro un muro di cinta della lunghezza di 17 chilometri di tre metri di altezza esattamente come quello che Israele ha costruito per rinchiudere i palestinesi? Non venne agli ebrei polacchi impedito di uscire dai valichi che erano controllati da posti di blocco militari? Per motivare la loro aggressione che uccide quotidianamente centinaia di bambini e di donne, i dirigenti politici israeliani denunciano i missili Qassam che in otto anni hanno causato dieci morti [tanti quanti l’aviazione israeliana uccide in mezz’ora]. E’ vero: è terribile, è inaccettabile che il terrorismo di Hamas colpisca la popolazione civile di Israele. Ma questo giustifica forse lo sterminio di un popolo? Giustifica il terrore indiscriminato, la distruzione di una città? Anche gli ebrei di Varsavia usarono pistole, bombe a mano, bottiglie molotov e perfino un mitra per opporsi agli invasori. Armi del tutto inadeguate, come lo sono i razzi Qassam. Eppure nessuno può condannare la difesa disperata degli ebrei di Varsavia…
Insegno in una scuola serale per lavoratori, in gran parte stranieri. E’ un ottimo osservatorio per capire quel che accade nel mondo… Claude D, un ragazzo senegalese di circa venti anni… concluse il suo lavoro con queste parole: «Ogni anno si fanno delle cerimonie per ricordare lo sterminio degli ebrei, ma gli ebrei non sono i soli che hanno subito violenza. Perché ogni anno dobbiamo stare lì a sentire i loro pianti quando altri popoli sono stati ammazzati ugualmente e nessuno se ne preoccupa?»
Questa frase mi colpì, e decisi di proporla alla discussione della classe, in cui oltre Claude c’erano cinque italiani due marocchini un peruviano una brasiliana, un somalo, due ragazze romene una ucraina e due russi.
L’opinione di Claude era quella di tutti…
Pur avendo un interesse intenso per l’intreccio di questioni che la storia ebraica passata e recente pone al pensiero, non ho mai scritto su questo argomento neppure quando l’assedio di Betlemme o il massacro di Jenin o l’orribile violenza simbolica compiuta da Sharon nel settembre del 2000 o i bombardamenti criminali dell’estate 2006…
Non ho mai scritto nulla, mi dispiace doverlo dire, perché avevo paura. Come ho paura adesso, non lo nascondo. Paura di essere accusato di una colpa che considero ripugnante – l’antisemitismo…
A causa della violenza sistematica che il sionismo ha scatenato negli ultimi sessant’anni, la bestia antisemita sta riemergendo, e sta diventando maggioritaria se non nel discorso pubblico nel subconscio collettivo.
Dato che non è possibile affermare a viso aperto che il sionismo è una politica sbagliata che produce effetti criminali, molti non lo dicono, ma non possono impedirsi di pensarlo…
Se qualcuno vuole accusarmi a questo punto non mi fa più paura. Sono stanco di impedirmi di parlare e quasi perfino di pensare ciò che appare ogni giorno più evidente: che il sionismo aggressivo, oltre ad aver portato la guerra e la morte e la devastazione al popolo palestinese, ha stravolto la stessa memoria ebraica fino al punto che nelle caserme israeliane sono state trovate delle svastiche, e fino al punto che cittadini israeliani bellicisti hanno recentemente insultato cittadini israeliani pacifisti con le parole «con voi Hitler avrebbe dovuto finire il suo lavoro»[…]
Link: http://www.carta.org/campagne/pace+e+guerra/medioriente/16230
La gente ha molta fiducia in lui
@ Peter
Proprio questo mi spaventa.
Piu’ grande e’ la speranza riposta in lui,
piu’ grande potrebbe essere la delusione.
Vorrei riportare anche un commento sentito
proprio oggi e che mi ha colpito:
“…E un altro fra i motivi per cui è stato scelto un nero è che quando inizieranno le sommosse a causa di questa crisi, le prime a farsi sentire saranno le comunità dei neri notoriamente emerginati: si spera cosi’ che almeno un presidente del loro stesso colore li possa tenere un pò più tranquilli.
Anche se condivido il punto di vista di Chiesa che Obama sia stata una geniale idea di marketing per costruire una nuova immagine dell’America, per la quale l’immagine e’ tutto.
Vorrei poter credere che un’immagine migliore possa dar luogo a una realta’ migliore, ma mi sembra una speranza ben poco razionale. Non e’ questione di cinismo, ma di realismo.
Tra l’altro, se anche Obama stesso fosse davvero intenzionato a operare grandi cambiamenti, mi chiedo come potra’ mai farlo con la gente di cui (e’ stato?) circondato per formare il nuovo governo. La maggior parte sono della vecchia guardia, qualcuno e’ rimasto addirittura dall’amministrazione Bush jr. E quelli dietro di loro, poi, sono sempre esattamente gli stessi (Rockfeller, Rotschild, Morgan, ecc. ecc. ecc.). per cambiare veramente, dovrebbero metterli fuori dell’equazione e questo non e’, almeno per il momento, realistico.
Notizie dal Medio Oriente: va in scena “l’olocausto palestinese”
Comunicato HonestReportingItalia
Vorrei ricordarvi che l’efficacia della nostra iniziativa è strettamente legata al numero delle lettere inviate ai media. Vi invito pertanto personalmente ad un’attiva partecipazione, tramite le vostre lettere, ogni qualvolta riceverete il comunicato.
Comunicato Honest Reporting Italia 21 gennaio 2009
Notizie dal Medio Oriente: va in scena “l’olocausto palestinese”
…. riteniamo che con questa operazione di paragonare quanto sta avvenendo a Gaza e Cisgiordania con la Shoah, si sia veramente superato ogni limite di decenza, di civiltà, di umanità, di rispetto. Riteniamo che un’operazione del genere, spacciata come la solita “legittima critica”, sia la più lampante manifestazione di odio antiebraico che si possa concepire. Vi invitiamo pertanto a farvi sentire massicciamente scrivendo a info@notiziedalmediooriente.it.
Invitiamo i nostri lettori a scrivere ai mass media per protestare contro servizi scorretti e faziosi, e a inviarci copia dei loro messaggi e delle eventuali risposte ricevute, presso HR-Italia@honestreporting.com
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* Vi consigliamo di scrivere sempre con le proprie parole; inoltre potete finire la vostra lettera con: “Gradirei una risposta che mi aiuti a capire come un giornale notoriamente equilibrato e pertinente come il Vostro possa cadere in questi grossolani errori”.
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x Antonio
Credo che il post #228 si riferiva al post # 7.
Non importa.
Non sono la sola a prendere una sabbatica lunga o corta che sia.
Il forum e’ diventato troppo pesante….
Buona notte,
Anita
@ VOX
Se qualcuno mi dicesse che lei scrive solo sciocchezze e stupidaggini non saprei come difenderla. dimmi, chi ha scelto Obama? santa claus?
Caro Vox,
il popolo palestinese ha altri mezzi per chiedere a gran voce i propri diritti. Qui a Bisceglie ne abbiamo ospitati per anni, quando era in vita Arafat e so che esistono collaborazioni con altre città d’Italia. Se vogliono conquistare l’interesse della gente e non soltanto la pietà e compassione, devono smetterla con la violenza. Mi meraviglio che questo sia un concetto così difficile da capire. Con la violenza non si fa altro che fornire all’avversario la scusa per essere ancor più violento, col risultato di continuare a perdere sia gente che terreno. Tutte le volte che i palestinesi hanno fatto ricorso alla violenza, hanno ricevuto batoste. Qual è la prospettiva? Che se continueranno con la violenza continueranno ad avere batoste e il mondo dirà: sono loro che provocano. Bel risultato! Si deve invece nella maniera più assoluta smetterla con le violenze per non dare alcuna scusa in mano all’avversario e combattere a livello diplomatico e mediatico. Il paragone col ghetto di Varsavia è fuorviante, perchè i palestinesi possono uscire dalla Palestina (partecipano alla Fiera del Levante a Bari, ad esempio, con lo stando ANP) e quindi possono anche muoversi su altre vie.
La violenza continua, oltre a non aver mai pagato in termini di vantaggi, al contrario, è l’unico modo per permettere agli israeliani di stringere ancora di più l’assedio, ma è possibile che sia un concetto così ostico?
Intervista a Poletto: “Questa è eutanasia, chi crede in Dio rispetti le sue leggi. Ci si può opporre quando l’applicazione della legge contrasta con i propri convincimenti”
Il cardinale di Torino ai medici
“Fate obiezione su Eluana”
di PAOLO GRISERI
Il cardinale di Torino ai medici “Fate obiezione su Eluana”
TORINO – C’è la legge dell’uomo e c’è la legge di Dio. Se entrano in contrasto è perché la legge dell’uomo è una cattiva legge per l’uomo. Dunque, è diritto dei cittadini obiettare. Così il cardinale di Torino, Severino Poletto, spiega la sua posizione sul caso Eluana. E aggiunge: “Per queste ragioni i medici cattolici che si trovassero a lavorare nell’ospedale dove si intende interrompere l’alimentazione di una persona, dovrebbero obiettare e rifiutarsi di farlo”.
Cardinale Poletto, per quale motivo un medico cattolico non dovrebbe rispettare la scelta di una persona, in questo caso di Eluana Englaro?
“Perché quella scelta va contro i principi morali della chiesa”.
La chiesa è favorevole all’accanimento terapeutico?
“La chiesa è contraria all’accanimento terapeutico. Ma qui non siamo in un caso di accanimento. Qui dobbiamo decidere se continuare ad alimentare una persona o lasciarla morire di fame. Lasciare morire di fame qualcuno che è ridotto a uno stato vegetativo è eutanasia e la chiesa è contraria all’eutanasia come a ogni forma di negazione della vita”.
La chiesa è contraria ma lo Stato italiano dice che bisogna rispettare la volontà del padre di Eluana. Quale legge deve prevalere? Quella dello Stato o quella della religione?
“La legge di Dio non può mai essere contro l’uomo. La legge di Dio è sempre per l’uomo. Andare contro la legge di Dio significa andare contro l’uomo. Dunque, se le due leggi entrano in contrasto è perché la legge dell’uomo non è una buona legge e si rivelerà tale dai suoi frutti”.
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Questa è sovversione bella e buona. Niente galera? Solo se islamico.
Ratzy a Maryssymy
“La colonizzazione sionista nella terra di Israele può solo arrestarsi o procedere a dispetto della popolazione nativa palestinese. Questo
significa che può procedere e svilupparsi solo con la protezione di una potenza indipendente – dietro un muro di ferro, che i nativi non potranno penetrare.” con queste parole, nel 1923, Vladmir Jabotinsky indicava la strada per la colonizzazione della Palestina.
Caro marco tempesta,
la sua crassa ignoranza dei fatti storici più elementari le impedisce di vedere che i palestinesi rispondono, assai debolmente, a dosi massicce di terrore che da quasi un secolo viene scaricata sulle loro teste per scopi di puro e semplice genocidio.
Colgo l’occasione per chiarire che costringere un popolo ad abbandonare la sua terra è di per sè un genocidio anche senza volerlo distruggere fisicamente. In questo senso la deportazione dei pellirosse è stata una pratica genocida indipendentemente dalle stragi mese in atto dagli Usaegetta e dalla radicale diminuzione numerica di quei popoli.
Tra l’altro lei ignora non solo i fatti storici ma addirittura i fatti di cronaca: i palestinesi che possono abbandonare le zone in cui sono stati concentrati sono pochissimi perchè nessuna autorità rilascia loro i documenti. Un altro piccolo particolare che dimostra come lei parli abitualmente a vanvera.
Mai che la gente come lei si sprechi a chiedere la cessazione della violenza omicida degli israeliani, che rispondono a 1500 contro 10, come hanno sempre fatto, con quella logica da cani arrabbiati che lei prende come un dato di fatto.
Cosa per cui, sia detto en passant, la trovo alquanto repellente e sostanzialmente complice con questi assassini.
Tuttavia, indipendentemente dal parere di gente come lei, regolarmente schierata dall’altra parte, e nonostante il fatto che i sionisti, il MEMRI, l’Occidente e lei facciate di tutto per far tacere i fatti, nonostante tutto questo, dicevo, c’è sempre più gente che sta cambiando parere e la politica israeliana perde sempre più consenso. Dieci anni fa ero l’unico a dire che gli israeliani si comportano come i nazisti (sulla base di inoppugnabii fatti storici, oggi lo diciamo in tanti. Lei però stia pure con il Ferara ….. Un saluto U.
Gli israeliani pongono la questione della loro violenza come una ‘risposta’ alla violenza altrui. Non importa che sia una posizione di comodo: importa che tutte le volte che gli israeliani hanno aggredito. l’hanno posta come la risposta ad un’aggressione esterna, ad un attentato, a un qualsiasi atto di violenza.
La posizione di chi, come lei, crede che basti indignarsi per far cessare la violenza israeliana, è la posizione che chi guarda la realtà dalla propria poltrona e non si immedesima nelle parti combattenti. Se per davvero (cosa che però io escludo per varie questioni) Israele vuole cacciar via tutti i palestinesi, non c’è miglior scusante che il doverlo fare per proteggersi dalla violenza. Ne deriva che la maniera più controproducente di far valere la propria causa, sia per i palestinesi proprio l’insistere con l’aggressività armata.
Proprio i numeri 1500 a 10 dimostrano l’inutilità di un tale modo di combattere.
Quei pochi palestinesi che possono uscire, più i palestinesi che già vivono da tempo all’estero, possono benissimo piantare un grande casino a livello mediatico per far conoscere, in altra maniera che non sia quella aggressiva, la loro condizione di perseguitati e cercare di ottenere maggior udienza negli ambiti che contano oltre che nell’opinione pubblica che ora se ne frega o è per Israele.
E’ l’unica, ripeto l’unica, possibilità che hanno, per far valere le proprie ragioni.
Se continueranno coi missili, specie se saranno missili più micidiali dei precedenti, i morti da 1500 diventeranno 15.000 e gli israeliani potranno sempre dire che hanno agito per difesa. Se insisteranno ancora con l’aggressività, i morti saliranno sempre di più e finalmente gli israeliani potranno quantomeno riappropriarsi di Gaza e del suo gas.
E’ questo che vogliono i palestinesi di Gaza?
Sembra di si, visto che il loro pensiero è sempre quello della lotta armata.
Tuttavia, indipendentemente dal parere di gente come lei, regolarmente schierata dall’altra parte… U.
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Quando mai sono stato schierato dall’altra parte?
Dico semplicemente che continuare con la lotta armata equivale per i palestinesi a una sempre maggiore perdita di libertà, fino a giungere ad un suicidio di massa.
Finora, le cose stanno andando esattamente in questo verso.
Se non si esce dalla logica della violenza, i palestinesi avranno sempre la peggio, essendo i più deboli tra le parti in causa. Nè c’è speranza che l’opinione pubblica si muova in maniera sostanziale, fino a chè Israele potrà avanzare la scusante della difesa dall’aggressività esterna.
Il guaio è che lei e chi la pensa in maniera monocromatica, pensano che basti far sventolare la bandiera palestinese dalla finestra di casa propria, per indurre Israele a cambiare condotta.
Purtroppo il mondo non gira in quella direzione.
x Anita e chiunque altro pensi di allontanarsi dal blog “perché l’aria si è fatta troppo pesante”, un po’ di “leggerezza” (ogni riferimento calviniano alle “Lezioni americane” è assolutamente voluto)
Berlusconi il “buon pastore”: colpo basso a Soru
In piena campagna elettorale per le regionali, sospesi per un anni i pignoramenti delle banche agli allevatori sardi
da Italia Oggi
A meno di un mese dalle elezioni per il rinnovo del consiglio regionale sardo e la scelta del nuovo presidente, Silvio Berlusconi si è inventato un nuovo aiutino per la popolazione locale. Dopo avere intimato all’Eni di richiamare al lavoro dal primo febbraio i dipendenti del polo chimico di Porto Torres e dintorni, ieri sera in Senato è approdato a firma del governo un emendamento al decreto milleproroghe destinato a fare tirare un sospiro di sollievo ad allevatori e agricoltori dell’isola. Saranno sospesi infatti anche con effetto retroattivo fino al 31 luglio prossimo i pignoramenti e le riscossioni nei loro confronti promossi dalle banche creditrici che avevano fornito credito agevolato. Certo la pausa per i pignoramenti non è una gran novità. Da anni leggi finanziarie e decreti milleproroghe hanno graziato pastori e contadini sardi per un problema che è nato più di venti anni fa. Nel 1988 si concesse (chissà se a qualche vigilia elettorale) con legge regionale del credito agevolato per le loro attività. Solo che con l’andare degli anni l’agevolazione non è stata più tale, grazie alle oscillazioni dei tassi di interesse. Le rate si sono fatte più pesanti, fino a rendere impossibile il pagamento per molti di loro. I governi di volta in volta si sono fatti carico delle difficoltà di chi pagava mutui, ma non di quelli come allevatori e agricoltori sardi che dovevano restituire il cosiddetto credito agevolato alle banche. Nell’attesa di sciogliere la questione con un intervento normativo che mai si è fatto, nessuno ha trovato qualcosa di meglio del rinvio per legge del loro pagamento, impedendo riscossione forzata e pignoramenti. Rinvia oggi, rinvia domani, si è arrivati alla legge finanziaria 2008, firmata da Romano Prodi. Lì’ si è concesso l’ultimo rinvio, al 31 luglio 2008. Poi fine del periodo di grazia. Qualcuno avrà pure bussato alla porta del governo Berlusconi per ricordare il problemino. D’altra parte ci sono parlamentari sardi nell’uno e nell’altro schieramento. Ma nessuno ha sentito. Sulle prime le banche, che avevano altri guai, ed erano convinte dell’imminente varo della consueta proroga, non se ne sono curate. Poi a qualcuna sono venuti in mente quei crediti tornati esigibili. E sono scattati i primi pignoramenti. Così, in piena campagna elettorale e con il premier che fa della Sardegna il suo personale Ohio contro il pericolo Renato Soru, ecco spuntare la proroga attesa da 6 mila sardi. La proroga di Silvio, il buon pastore…
Franco Bechis
L’OFFENSIVA DI MARONI CONTRO L’ISLAMIZZAZIONE D’ITALIA – Manifestazioni E PREGHIERE vietate presso chiese, ma anche caserme, ambasciate, centri commerciali – “I cristiani hanno chiese, gli ebrei la sinagoga, Noi siamo come i cani”… –
Francesco Grignetti per “La Stampa”
«Ho preparato una direttiva che verrà inviata a tutti i prefetti affinché fatti come quelli avvenuti davanti al Duomo di Milano non abbiano a ripetersi», annuncia Bobo Maroni. Il ministro vuole nuove regole sulle manifestazioni. C’è l’episodio milanese degli islamici che ancora scotta. Ma non solo.
In vista di un anno caldo, prevedendo molta mobilitazione di piazza, non soltanto il ministero dell’Interno ha inaugurato una nuova scuola di polizia a Nettuno che prepara esclusivamente i reparti di «celerini», ma si prepara anche a un nuovo quadro giuridico.
Nel concedere vie e piazze, i prefetti dovranno tenere conto che alcune aree, «di particolare importanza dal punto di vista sociale, simbolico, religioso», vanno salvaguardate. E l’altra novità riguarda chi organizza: sarà tenuto a versare una fidejussione che copra eventuali danni causati dai manifestanti. Quanto e a chi, non è ancora chiaro.
«L’obiettivo – spiega Maroni in Parlamento – è di meglio regolare le manifestazioni, garantendo il diritto di manifestare e allo stesso tempo il diritto dei cittadini a fruire pacificamente degli spazi della propria città». Così saranno off-limits piazze di rispetto alle grandi chiese, ma anche ambasciate, caserme, centri commerciali.
http://www.dagospia.com/rubrica-3/politica/articolo-2905.htm
Caro Marco, sono convinto che parli del genocidio dei palestinesi e sei in buona fede, ma trascuri le informazioni (non le opinioni ) che parlano chiaro ( le mappe degli ultimi 40 anni) e che confermano la cacciata dei leggittimi abitanti, con la forza, gli arresti, linganno, la tortura ( non so quante migliaia sono detenuti senza processo e la forza animalesca-armata degli eletti daddio e maledetti dagli uomini… Le proteste del popolo palestinese, oltre ad arrivare al cielo, sono e continuano ad arrivare alle UN…. inutilmente nonostante le votazioni contro isdraele, ormai non si contano ppiu, tutte inascoltate dagli isdraelitici assassini… I palestinesi ed il mondo non contano una mazza contro linvasione genocida… ( non so quanti milioni di palestinesi sono fuggiti dalle loro case, x lasciar costruire gli insediamenti… Le due cittadine colpite di striscio dai Kazzam, erano Palestinesi e non isdraelitiche, piano piano oggi bloccando lONU, poi convincendo i marco tempesta e tutti quelli che ritengono con disprezzo che gli islamici sono dei retrogradi, dei terroristi (invece di partigiani resistenti) da trattare come degli animali o peggio.. (leggiti, è stato pubblicato su questo blog, un racconto di come sgomberavano e continuano a sgomberare da 40 anni, i villaggi palestinesi occupati dai criminali con le treccine, sui bulldozer armati usati al posto dei camion x pulire le strade e le case distrutte x cacciare i leggittimi abitanti ed insediare le treccine venute da la siberia, dalla Russia dalla Polonia etc… e da paesi che non centrano un cazzo con IL DIRITTO ALLA TERRA DEGLI AVI…) caro marcolino… Ecco cosa possono fare i palestinesi NON resistenti…. fuggire dalla propria casa e lasciar la terra libera agli Occupanti genocidi, gli Eroi della resistenza, sono Eroi xcche restano e a brigante brigante e mezzo, gli uni x difendere casa propria e i trecciolini con il copricervelletto, x occupare e fondare uno stato, che non cera prima… approfondisci il tema… ma sul serio, leggi bene le mappe, ppoi ne parliamo… ciao caro!!
Faust
x chi critica Santoro (e per quelli che si sono legati al dito la presa di posizione di Travaglio)
dal blog del Messaggero
I NUOVI ITALIANI di Corrado Giustiniani
La guerra dei bambini in tv: ha ragione Michele Santoro
pubblicato il 19-01-2009 alle 14:03
Non credo di uscire dal seminato de “I nuovi italiani” se dico la mia sulla puntata di Annozero intitolata “La Guerra dei bambini”, che tante polemiche ha suscitato nei confronti del conduttore Michele Santoro. Non esco dal seminato, perché in studio o in collegamento con Santoro c’erano diversi “nuovi italiani”, immigrati palestinesi ma anche giovani israeliani che vivono nel nostro paese. E poi perché la sfida della convivenza fra religioni diverse è una delle più complesse che si pongono in tutti i paesi di immigrazione, Italia compresa, e quella guerra è un letale controspot alla convivenza.
Intanto, sono convinto che molti giornalisti che hanno scritto di quella puntata, non l’abbiano vista attentamente. Non c’è da stupirsi che questo accada. Annozero va in onda in diretta, e alla nove di sera i giornalisti dei quotidiani sono impegnati nella chiusura della prima edizione, difficile che abbiano due ore di tempo da dedicare tutte a Santoro, a meno che non vi siano state polemiche politiche preventive, che suscitano una particolare attesa proprio per quella puntata. Così, a informarli sono per lo più le agenzie di stampa, che nei loro servizi riportano le battute più salienti dei personaggi intervenuti. Credo, soltanto per fare un esempio fra i tanti possibili, che potrebbe non aver visto Annozero Giovanni Valentini, saggista e commentatore di cose televisive, autore su Repubblica di un fondo, dal titolo “La parabola del tribuno tv”, che a me è parso squilibrato ed esageratamente livoroso nei confronti di Santoro: se l’avesse seguita con attenzione, avrebbe certamente montato il suo ragionamento in modo diverso. Visionando la cassetta della trasmissione o la registrazione su Internet della stessa, vi sarebbe la possibilità di dare il giorno successivo un giudizio più pertinente e obiettivo. Ma per pigrizia si tralascia quest’incombenza. Anche perché decidere di fare un passo indietro sarebbe comunque imbarazzante.
Giovedì 15 gennaio ero libero, e ho potuto vedere a casa mia, dall’inizio alla fine, la puntata sulla guerra di Gaza. Quasi nessuno ha colto che il vero valore aggiunto della trasmissione stava in uno straordinario reportage iniziale che mostrava i cadaveri dei bambini uccisi dalle bombe, e il trasporto in barella dei corpicini dilaniati ma rimasti ancora in vita. Filmati e interviste da lasciare senza respiro, realizzati da un giornalista arabo che, ha spiegato Santoro, collabora anche con l’agenzia Ansa. Mi è rimasto impresso il racconto di un ragazzo rimasto senza famiglia e gli occhi sbarrati di una bambina sdraiata per terra. Parlava a monosillabi, con una grande garza in testa, a coprire la ferita profonda causata da una scheggia. Sembrava il servizio di un grande network internazionale, la Bbc, o anche la Cbs, qualcosa insomma assolutamente fuori dagli schemi ai quali la Rai ci ha purtroppo abituato.
Un salutare pugno nello stomaco, perché una cosa è leggere frettolosamente un titolo di giornale che ti comunica, mentre bevi il caffé, che 450 bambini sono stati uccisi dagli attacchi in pochi giorni, un’altra è vederli, questi bambini. La spessa corteccia di indolenza e cinismo che tutto ci fa accettare, perché in fondo non succede a noi, o addirittura perché “mors tua vita mea” (pensiamo solo alla richiesta effettuata a Gheddafi di non farci arrivare più barconi di migranti: decida lui se decimarli a fucilate, torturarli, o farli morire di sete nel deserto) all’improvviso si squarcia, perché si mette in atto un processo di immedesimazione: quel bambino che vedi, e se è ancora in vita senti, potrebbe essere tuo figlio. Non è forse l’immedesimazione che crea la solidarietà, vera anima di ogni società democratica? Non è, per chi ci crede, il “non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te” uno dei principi fondanti del cristianesimo, che quando ci fa comodo siamo orgogliosi di sbandierare come nostra religione? E non è il documentare senza paura, l’essere testimoni diretti, sul campo, il vero, profondo valore del giornalismo?
Di quel reportage che valeva, da solo, l’intera trasmissione, si sono dette cose pazzesche. Che “strumentalizzava le emozioni” e che trasformava “il dramma in drammaturgia”. Ma andiamo avanti. Finito il filmato, si apre il dibattito. Ci sono in studio, oltre a Santoro e a Marco Travaglio, Lucia Annunziata, una scrittrice israeliana, un esperto di guerra, una giornalista palestinese che da molti anni vive in Italia, un giornalista di Al Jazira. Un parterre, come si vede, composito e sufficientemente equilibrato. Proprio all’Annunziata viene data per prima la parola. E ha il tempo di dire tutto quello che pensa: un contributo così lungo che a un certo punto sente quasi il bisogno di scusarsi (“sto per finire”). Dura per l’esattezza 5 minuti e 30 secondi, un’eternità per la televisione, e sarà il primo di ben tre interventi. Osserva tra l’altro, la giornalista ex-presidente della Rai, che «è molto difficile parlare come terzi, mi scuso se dipano l’emozione dalla razionalità, Israele dimostra di non saper far bene la guerra, non ci possiamo dividere dicendo chi ha torto e chi ha ragione…»
Il confronto si apre agli altri interlocutori, e poi si allarga a giovani palestinesi che vivono in Italia, attraverso un collegamento esterno con Corrado Formigli, ma ci sono anche giovani ebrei in studio, a cominciare da Tobia Zevi. Margherita Granbassi introduce una ragazza israeliana, che entra in vivace polemica con una palestinese. A questo punto Lucia Annunziata interviene per la seconda volta, per tre minuti: «Michele non sono d’accordo su come stai conducendo il dibattito, non si possono far parlare così due ragazze» e sostiene che dalla trasmissione dovrebbe venir fuori «un punto di vista italiano».
Un punto di vista italiano? Non hanno diritto a dire la loro dei giovani che vivono le loro reciproche cause, israeliana e palestinese, non per sentito dire, ma come stimmate su cui è impressa tutta la loro esistenza? E perché mai? E il punto di vista italiano, non viene forse arricchito da “nuovi italiani” come quei giovani? L’obiettivo di quella trasmissione non era fare la storia della questione palestinese a partire dal 1948, e la Annunziata aveva comunque avuto ampio spazio per esprimere il suo pensiero, attaccando, giustamente, i terroristi di Hamas e il loro rifiuto di riconoscere lo Stato di Israele. C’erano, è vero, più ragazzi palestinesi che ebrei. Ma a nessuno è stata tolta la parola. La proposta più bella e innovativa è venuta fra l’altro da una ragazza religiosamente meticcia, se così possiamo dire, in quanto figlia di padre palestinese e madre ebrea: ha proposto uno scambio di famiglie, per un’estate, fra ragazzi delle due diverse religioni.
Ma il bello deve ancora venire. Lucia Annunziata interviene per la terza volta: «Michele ti disturbo…Non mi piace come hai condotto finora la trasmissione al 99,9 per cento». Dunque, non salvava niente. Ma come può, ragiono io, un collega contestare professionalmente un altro, in diretta, davanti a milioni di persone? Un atteggiamento eticamente e deontologicamente sbagliato. Se voleva, glielo diceva dopo, a riflettori spenti. E se la ferita era così grave da non sanarsi, a mente fredda poteva chiedere a Giulio Anselmi, il direttore de “La Stampa” di cui Lucia è editorialista, di poter scrivere una riflessione sul tema.
Il conduttore ha fatto male a perdere le staffe. Ma attenzione, rivediamo la sua frase-chiave, quella che ha causato il plateale abbandono del posto da parte di Lucia Annunziata. «Sei venuta a fare l’ospite? E allora dì quello che pensi. Stai acquisendo dei meriti nei confronti di qualcuno? No, e allora fai il tuo lavoro e dì quello che vuoi». I giornali hanno riportato questa domanda, con successiva negazione e invito a parlare, come una gravissima offesa senza punti interrogativi, e non hanno tenuto conto di quella professionale che Santoro aveva ricevuto. Se l’avessi subita io, incassare mi sarebbe stato difficile, lo confesso. Il conduttore, in realtà, è uscito fuori dai gangheri soprattutto dopo che l’Annunziata se n’è andata, e ha commesso degli errori, mettendosi contro tutti.
E’ una cronaca diversa, cari amici, da quella che avete letto su altri media e che ha fornito assist per interventi pro-Annunziata all’universo mondo, dall’ambasciatore israeliano a Pippo Baudo. Magari anche io, per dare il succo, avrò forzato alcuni passaggi. Ma la democrazia di Internet sta nel fatto che potete rivedervi la trasmissione e giudicare con la vostra testa. Un’ultima cosa. Quello stesso giovedì 15 gennaio, all’ora di pranzo, ero in macchina e sentivo alla radio, sul secondo programma Rai, Barbara Palombelli che aveva in studio due esperti, il professor Israeli e un altro. Entrambi di parte israeliana, senza contraddittorio. Uno dei due diceva che i bambini muoiono unicamente perché Hamas li usa come scudi umani, a protezione dei terroristi. Questa trasmissione, però, non ha fatto scandalo.
129 commenti ultimo commento Scrivi un commento
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caro corrado, grazie per la tua puntuale ricostruzione di quanto è avvenuto. in questo paese di orecchianti e improvvisatori, che parlano di cose che non conoscono e giudicano tramissioni che non hanno visto, la tua è – mi pare – l’unica analisi scientifica della trasmissione: hai fatto quello che ogni critico televisivo dovrebbe fare prima di sputare sentenze. e che infatti nessuno aveva fatto prima di te. oltre ad hamas, c’è qualcun altro che usa i bambini di gaza come scudi umani: i censori, sempre in cerca di pretesti per chiudere annozero, e i loro scribacchini da riporto.
postato il 19-01-2009 alle 16:29 da marco travaglio
cari amici,
una due giorni intessissima di “riflessione” totale ,condotta in un monastero tibetano “incognito” dalle mie parti ,seguito dal grande maestro “maparpiasir”,mi permetteno di riprendere il dialogo con il Blog.
La molla scatenante è stata quando “il grandemaestro” mi ha letto il messaggio del suo “confratello”tempesta.
Dove gira il mondo?
In effeti questa grande “rivelazione”era stata l’oggetto della mia intessima riflessione:
Volevo scoprire dove gira il mondo.
Per far ciò dopo due giorni ho partorito questo esperimento :
Se lancio in alto una pietra ed io sto fermo se la pietra cade a Sx in mondo gira a sx ,se cade a destra il modo cade a Dx.
Ovviamente dal mio punto di vista (in effetti dovevo ancosa chierire a me stesso dove girare le spalle se a Nord o a Sud).
Con grande stupore la pietra mi è caduta in testa ed ho deciso di riprendere le conversazioni sul Blog,con in bernoccolo in più, ma con la convinzione più che mai radicata, che il solo essere umano che sa effettivamente dove gira il modo è il grande marco tempesta da Biseglie!
cc
@ Ciccì (275)
Uelcom bec, Gianduiott!! La Silvy ti aveva infranto il cuore, nevvéro?:o)
COLLOQUIO TRA NORDAFRICANI E PACHISTANI SULLA NECESSITÀ DI «ISOLARE» IL CAMPO
Giallo in Algeria, la peste uccide i qaedisti
Quaranta le vittime, forse stavano conducendo un test per preparare un attacco biologico all’Europa.
e questo falsissimo depistage… è solo linizio… stanno aggiustando il tiro…ma chi?¿ i palestinesi?¿ NO!! gli isdraelitici… buttando ppoi la colpa agli iraniani, siriani etc..x provocare la grande guerra x la grande isdraele….
Faust
x TUTTI
E’ IN RETE IL NUOVO ARGOMENTO
BUONA LETTURA.
pino nicotri
http://www.corriere.it/esteri/09_gennaio_22/giallo_algeria_peste_0de9fa78-e850-11dd-aae1-00144f02aabc.shtml
Alex,alex,biricchino di un ragazzotto….
Tu ci provi ,ma non ci azzecchi!
Non la Sylvi, mi ha indotto ad una seduta in monastero tibetano…ma la ricerca della verità,questa sfuggente chimera..
Il mio cuore arido temprato da mille battaglie per un momento ha ceduto ed ha ritenuto necessario avventurarsi in sedute di respirazione controolata ect,ect e levitazione..
da cui è scaturito come “suggello” di tanto lavorio l’esperimento di cui al Post precedente..
cc
Caro Marco, sono convinto che parli del genocidio dei palestinesi e sei in buona fede, ma trascuri le informazioni (non le opinioni ) che parlano chiaro ( le mappe degli ultimi 40 anni).
—————-
Caro Faust, le mappe degli ultimi 40 anni derivano dall’accanimento alla lotta armata. Come ho spiegato negli ultimi post, quando si continua a combattere in condizioni di inferiorità si perdono uomini, soldi e territorio. Se i combattimenti si fossero fermati a prima della guerra dei 6 giorni, ora i palestinesi avrebbero molto più territorio e vivrebbero decisamente meglio. Se si fossero accordati per confini certi ancora prima, avrebbero ancor più territorio e vivrebbero ancora meglio.
Se continueranno con la lotta armata, di territorio e di persone ne avranno sempre meno. Stanno facendo il gioco di certi politici israeliani, dando loro il coltello dalla parte del manico. Allah toglie il senno ai popoli che vuole distruggere, non dimenticarlo.
1 approvo, anche se utopistico temo il premio Nobel per Gideon levy: chiamato in uno dei soliti siti della destra nazionalista: nazifascista. Se vi può interessare ho raccolto i suoi scritti ( non tuti) nel mio blog
2 Considero importanti anche le testimonianze del parroco di gaza che testimonia i giorni dell’orrore a Gaza
(sempre nel mio blog)
Grazie e buon lavoro
e per curiosità quale Israele dovrebbe riconoscere Hamas? per inciso ha riconosciuto Israele entro i confini del 1967
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