Onore ai giornalisti come l’israeliano Gideon Levy! Anziché il volgare provincialismo degli scontri Santoro-Annunziata, a quando anche in Italia un dibattito in tv come quello andato in onda negli Usa e che posto oggi interamente tradotto nel blog?
Mentre da noi infuria il provincialismo dello scontro Santoro/Annunziata a causa dell’ultima puntata di Anno Zero ritenuta da molti troppo a favore dei palestinesi, come se essere contro le mattanze ” a prescindere” sia vietato, su Facebook un gruppetto di miei colleghi ha lanciato l’idea del Premio Nobel per la Pace al giornalista israeliano Gideon Levy, che ha scelto da tempo di vivere a Gaza. Proposta chiaramente impossibile, che mi è stato addirittura chiesto di patrocinare (!), ma che vale la pena rendere nota anche per tacitare i troppi imbecilli e disonesti di casa nostra. Queste le motivazioni:
“Gideon Levy è’ il giornalista israeliano di Haaretz che da anni incarna l’anima più illuminata del suo popolo. Una vera colomba della pace che con le sue lucide analisi e i suoi coraggiosi commenti ha finito per diventare una spina nel fianco dei falchi che si sono succeduti al governo. La sua voce rappresenta la vera coscienza – non solo quella critica – di una nazione che ha subito inique persecuzioni ed atroci sofferenze, ma che oggi rischia di trasformarsi nel carnefice di un popolo con il quale è destinato invece ineluttabilmente a convivere.
Anche stavolta, in occasione della guerra ad Hamas, di fronte al terribile massacro degli inermi abitanti della Striscia di Gaza, la voce di Gideon Levy sembra essere l’ultimo baluardo della ragione contro il cieco furore dei suoi governanti. In poco più di 15 giorni sono rimasti sul campo mille palestinesi, di cui la maggior parte civili: donne, anziani e bambini (più di 300). Uno spargimento di sangue caratterizzato da veri e propri episodi criminali (come quello di Zeitun, con i 110 civili ammassati in un edificio poi bombardato; o la scuola con le insegne Onu presa a cannonate, provocando 40 morti, tutti civili) che rischia solo di alimentare vendette: altro odio, altra violenza, altri morti. Rafforzando, invece di indebolire, il terrorismo.
Gideon Levy non ha esitato a puntare il dito contro i responsabili – Ehud Olmert, Tzipi Livni ed Ehud Barak (“due di loro candidati a primo ministro; il terzo al un processo per crimini di guerra”) – con parole pesanti come pietre che nessun giornalista occidentale (e tanto meno italiano) avrebbe mai osato pronunciare: “Se continueremo così – ha scritto sulle colonne di Haaretz – prima o poi a L’Aia (sede del Tribunale internazionale per i crimini di guerra, ndr) sarà creata una nuova corte speciale”.
Tutto ciò gli sta ovviamente procurando minacce ed insulti da parte dei più fanatici. Ma lui non sembra curarsene: “Uno spirito malvagio è calato sulla nazione. Questo non è il mio patriottismo. Il mio patriottismo è criticare, fare domande le fondamentali. Questo non è solo il momento dell’uniforme e della fanfare, ma dell’umanità e della compassione”.
Mi chiedo quando in Italia, dove si annega nel bicchier d’acqua versato in modo molto prepotente da Lucia Annunziata, potremo vedere un dibattito televisivo come quello andato in onda negli Usa, che con buona pace delle Lucie Annunziate spazza via una serie di luoghi comuni e di consolidate bugie e che è stato tradotto per noi dal lettore che si firma Vox e che ringrazio per la disponibilità:
“Ex-ambasciatore Martin Indyk contro Norman Finkelstein.
Un dibattito sull’assalto a Gaza da parte di Israele e sul ruolo degli USA nel conflitto. L’attacco di Israele contro Gaza e’ al tredicesimo giorno [ormai 23-mo – N.d.T.]. Circa 700 palestinesi sono stati uccisi [oggi oltre 1200 – N.d.T.], alcune migliaia sono rimaste ferite e la crisi umanitaria si ingigantisce. Intanto, sono morti 10 israeliani, di cui 4 colpiti da fuoco amico. Un cessate il fuoco non e’ ancora stato raggiunto e l’offensiva continua.
Oggi ospitiamo un dibattito tra Martin Indyk, ex ambasciatore degli USA in Israele e Assistente del Segretario di Stato per gli Affari del Medioriente durante la presidenza Clinton, direttore del Centro Saban per le Politiche del Medioriente presso l’Istituto Brookings e autore di Gli Innocenti all’Estero: Un rapporto approfondito sulla diplomazia americana della pace nel Medioriente, e Norman Finkelstein autore di numerosi libri, incluso L’Industria dell’Olocausto, Immagine e realta’ del conflitto israeliano-palestinese, e Al di la’ di Chutzpah.
JUAN GONZALEZ: Decine di migliaia di palestinesi hanno dovuto fuggire dalle loro case nella citta’ di Rafah, mentre Israele intensifica l’assalto alla Striscia di Gaza. I palestinesi hanno raccontato degli attacchi aerei israeliani che hanno colpito abitazioni, moschee e tunnel della zona. L’Agenzia France-Presse ha citato le parole dei testimoni, secondo i quali dozzine di carri armati israeliani sono entrate nel sud di Gaza, dirigendosi verso Rafah. Sono stati anche confermati i violenti scontri tra i combattenti palestinesi e i soldati israeliani attorno Khan Yunis. L’ONU ha riferito che le forze israeliane hanno sparato contro uno dei suoi convogli umanitari. Al Jazeera riporta che almeno un palestinese e’ stato ucciso e altri due feriti durante questo attacco. Intanto, Israele ha continuato a bombardare Gaza, compiendo 60 attacchi aerei in una notte. Gli abitanti l’hanno descritto come uno dei bombardamenti piu’ pesanti da quando e’ cominciata l’offensiva.
Al Jazeera comunica che almeno 700 [oggi oltre 1200] palestinesi, di cui 219 bambini [oggi oltre 450] sono morti a Gaza dall’ inizio dell’aggressione, ovvero dal 27 dicembre 2008. Oltre 3000 persone [attualmente oltre 4000] sono rimaste ferite. Intanto, 10 israeliani sono morti nello stesso lasso di tempo, di cui 7 militari. Quattro di loro uccisi dal cosi’ detto fuoco amico.
Sul fronte diplomatico, continuano gli sforzi per assicurare un armistizio a Gaza, con rappresentanti ufficiali di Israele che andranno al Cairo per ascoltare i dettagli di un piano di tregua messo a punto da Egitto e Francia. Mercoledi’, Israele ha detto che accetta in linea di principio la proposta, ma vuole studiare il piano. Una delegazione di Hamas e’ attesa al Cairo per colloqui paralleli.
Il leader palestinese Mahmoud Abbas e’ atteso per venerdi’. Nel frattempo, il consiglio di sicurezza dell’ONU sembra in un vicolo cieco sulla crisi. I paesi arabi vogliono un Concilio che voti una risoluzione per mettere fine all’attacco, mentre la Gran Bretagna, la Francia e gli USA spingono per una dichiarazione piu’ blanda, approvando la proposta franco-egiziana.
AMY GOODMAN: Ora passiamo al ruolo degli Usa nel conflitto e alle prospettive della nuova amministrazione di Obama. Martin Indyk e’ un consigliere di Hillary Clinton, la quale e’ stata invitata a diventare Segretario di Stato di Obama ed e’ un potenziale inviato speciale nel Medioriente. Martin Indyk e’ in collegamento con noi da Washington, D.C. Siamo anche in collegamento con Norman Finkelstein qui a New York, uno dei leader fra i critici della politica estera israeliana e autore di molti libri. Ci rivolgeremo per primo all’ambasciatore Indyk.
Potrebbe spiegarci la sua opinione sul perche’ Israele abbia iniziato questo attacco?
MARTIN INDYK: Buon giorno, Amy. Mille grazie per avermi invitato a partecipare a questo show. Mi sento un po’ in trincea, qui, perche’ non mi era stato detto che ci sarebbe stato un dibattito con Norman Finkelstein. Non sono interessato a farlo. Inoltre, non sono un portavoce di Israele. Tuttavia, cerchero’ di rispondere alle domande come meglio posso.
Penso che quel che e’ avvenuto sia questo: c’era una tregua informale tra Hamas e Israele che e’ stata mantenuta per circa 5 mesi. Poi Hamas ha deciso di rompere la tregua sparando una lunga serie di razzi su civili israeliani nel sud di Israele. E il governo israeliano ha risposto con una forza intesa, come hanno detto, a ristabilire la deterrenza e a prevenire Hamas dal farlo ancora, e anche per far smettere Hamas di contrabbandare armi a Gaza.
AMY GOODMAN: Norman Finkelstein, qual e’ la sua opinione sull’attacco di Israele?
NORMAN FINKELSTEIN: Be’, la situazione mi sembra molto chiara. La risposta si puo’ trovare sul sito israeliano, il website del Ministero degli Esteri. Mr. Indyk e’ stato corretto circa il fatto che Hamas abbia aderito alla tregua dal 17 giugno al 4 novembre 2008. Ma e’ dal 4 novembre in poi che il signor Indyk, secondo me, se ne va per la tangente. Il rapporto e’ chiaro: Israele ha rotto la tregua entrando a Gaza e uccidendo 6 o 7 combattenti palestinesi. A questo punto – e sto citando il website ufficiale di Israele – Hamas ha reagito all’attacco israeliano, lanciando dei missili.
Ora, per quanto riguarda il motivo, anche questo e’ chiaramente espresso dal rapporto. Secondo Haaretz, il ministro della Difesa Ehud Barak ha incominciato i suoi piani di invasione ben prima che sia addirittura cominciata la tregua.
Infatti, secondo l’Haaretz di ieri, questi progetti di invasione sono nati a Marzo [2008]. E la motivazione principale dell’invasione penso sia duplice. Primo: come anche il signor Indyk osserva correttamente, per sottolineare quel che Israele chiama “capacita’ di deterrenza”, che in parole povere rappresenta la capacita’ di Israele di terrorizzare la regione e costringerla alla sottomissione. In seguito alla sconfitta nel luglio 2006 in Libano, [Israele] ha sentito la necessita’ di passare il messaggio che Israele e’ ancora una potenza combattente, ancora in grado di terrorizzare coloro che osano sfidarne la parola.
La seconda ragione principale dell’attacco e’ che Hamas stava dando segnali di volere una risoluzione diplomatica del conflitto in base ai confini del giugno 1967. Cioe’ Hamas si era unita al consensus internazionale, alla maggioranza della comunita’ internazionale, cercando una risoluzione diplomatica. A questo punto, Israele e’ stata messa di fronte a quel che gli israeliani chiamano “un’offensiva plestinese pacifica”. Per sconfiggere questa offensiva pacifica, hanno deciso di smantellare Hamas.
JUAN GONZALEZ: Vorrei rivolgermi all’ambasciatore Indyk. Questo ritornello che i sostenitori di Israele ripetono, che Hamas voglia la distruzione di Israele. Secondo lei, nell’ultimo anno c’e’ stato un cambiamento nella posizione dei leader di Hamas?
MARTIN INDYK: No, non credo che ci siano prove di questo. Hamas e’ molto chiara sul fatto che non vuole la pace con Israele e non riconoscera’ Israele. La sua intenzione e’ di distruggere lo stato ebraico, e che e’ un abominio nel cuore della terra araba, del mondo islamico e cosi’ via. Insomma, non vedo alcun cambiamento. Penso che il solo cambiamento sia sul territorio. Hamas, avendo vinto le elezioni (e non abbiamo bisogno di addentrarci nei dettagli) come risultato di una gara tra Hamas e Fatah su chi sia il leader, Hamas ha preso il controllo di Gaza con la forza, in effetti con un colpo di stato contro l’Autorita’ Palestinese. Cosi’, e’ passata da organizzazione terroristica a governo terrorista, responsabile del controllo del territorio di Gaza e responsabile delle necessita’ di un milione e mezzo di palestinesi. Tra l’altro questo e’ stato un cambiamento contestato all’interno di Hamas. La leadership esterna di Hamas, che ha sede a Damasco ed ha a capo Khaled Meshal, era contraria all’idea di prendere il controllo di Gaza, proprio perche’ non voleva la responsabilita’ dei bisogni degli abitanti di Gaza. Ma i militanti di Hamas hanno deciso di prendere Fatah e sbatterla fuori.
Di conseguenza, Hamas si e’ ritrovata ad affrontare un dilemma. Dovendo governare Gaza, col tempo avrebbe dovuto moderare le proprie posizioni. Nel contesto degli sforzi diplomatici per una tregua, ora devono o continuare ad attaccare Israele da Gaza e quindi non accetteranno alcuna condizione proposta da Israele per fermare il contrabbando di armi, oppure devono concentrarsi sui bisogni della loro gente.
A tale scopo, vorranno l’apertura dei passaggi, affinche’ la gente possa entrare e uscire da Gaza. In altre parole, dovranno fare una scelta: se vogliono usare questa tregua e continuare quel che loro chiamano resistenza, ma che noi recepiamo come violenza e terrorismo contro i nostri civili, oppure se concentrarsi sulle responsabilita’ per Gaza. E questo dilemma, come ho detto, potrebbe portarli a moderarsi, ma per adesso non ne vedo ancora traccia.
AMY GOODMAN: Norman Finkelstein?
NORMAN FINKELSTEIN: Io credo che il problema della presentazione del signor Indyk sia il costante rivoltare cause ed effetti. Poco fa ha detto che e’ stata Hamas a rompere la tregua, sebbene sappia benissimo che e’ stata invece Israele a romperla il 4 novembre. Ora rivolta causa ed effetto su come si sia creato l’impasse. Nel gennaio del 2006, come egli stesso scrive nel suo libro, Hamas e’ arrivata al potere durante libere elezioni. Ora, pero’, sostiene di aver scritto che Hamas sia arrivata al potere grazie a un colpo di stato per eliminare l’Autorita’ Palestinese. Io sono certo che il signor Indyk sappia bene, come e’ stato documentato nel numero di aprile 2008 di Vanity Fair dallo scrittore David Rose in base a documenti interni USA, che erano proprio gli Usa, assieme all’ Autorita’ Palestinese, a voler fare un putsch contro Hamas, la quale e’ riuscita ad evitarlo. Questo non e’ un punto controverso, e’ un fatto.
Ora il signor Indyk ci dice che Hamas e’ riluttante o poco chiara sul fatto di voler o meno governare Gaza. Ma la questione non e’ se voglia o non governare. La questione e’: potra’ governare a Gaza se Israele continua a mantenere l’embargo e rende impossibile ogni attivita’ economica tra i palestinesi? Tra l’altro, l’embargo era stato messo in atto ben prima che Hamas andasse al potere. L’embargo non ha niente a che fare con Hamas. L’embargo e’ arrivato quando degli americani, in particolare James Wolfensohn, erano stati mandati la’ per cercare di romperlo, dopo che che Israele aveva rimesso le proprie truppe a Gaza. [un passaggio poco chiaro nell’originale – N.d.t.]
AMY GOODMAN: L’ex presidente della Banca Mondiale [James Wolfensohn]?
NORMAN FINKELSTEIN: Esatto. Tutto il problema sta nel fatto che Israele non vuole che Gaza si sviluppi e non vuole risolvere il conflitto diplomaticamente. Il signor Indyk sa benissimo che entrambe le leadership di Damasco e di Gaza hanno ripetutamente annunciato di desiderare la risoluzione del conflitto in base ai confini del giugno 1967. La cosa e’ ben documentata. E’chiara senza alcuna ambiguita’. Ogni anno, l’Assemblea Generale dell’ONU vota una risoluzione per una soluzione pacifica della questione palestinese. E ogni anno il voto e’ lo stesso: tutto il mondo da una parte, e Israele/Usa/Australia e qualche atollo dei Mari del Sud dall’altra. Il voto nel 2008 e’ stato 164 a 7. Nel 1989, il voto era 151 a 3. Ogni anno abbiamo tutto il mondo da una parte e Usa/Israele/Rep. Dominicana dall’altra. Abbiamo la Lega Araba, 22 membri, a favore della soluzione dei due stati in base ai confini del giugno 1967. Abbiamo l’Autorita’ Palestinese a favore della soluzione dei due stati in base ai confini del giugno 1967. Adesso abbiamo anche Hamas a favore della soluzione dei due stati in base ai confini del giugno 1967.
Ma l’unico e solo ostacolo e’ Israele, sostenuta dagli Usa. Questo e’ il problema.
AMY GOODMAN: Dunque, ambasciatore Indyk, perche’ Israele non accetta questa tregua?
MARTIN INDYK: Guardi, Amy, io ero stato invitato qui per parlare del mio libro e della situazione a Gaza. Non a un dibattito con Norman Finkelstein, e non sono preparato a questo. Percio’ se lei vuole parlare della situazione, sono lieto di farlo, ma non sono qui come rappresentante del governo israeliano. Puo’ facilmente invitare qualcun altro a…
AMY GOODMAN: No, certo che no. Ma noi le chiediamo la sua opinione. Io non gliela chiedo come a un rappresentante di Israele. Chiedo solo la sua personale opinione.
MARTIN INDYK: Be’, perche’ non ci concentriamo su qualche altro aspetto, come il ruolo dell’America, o qualcosa del genere?
AMY GOODMAN: Molto bene.
MARTIN INDYK: Usciamo da questo ridicolo dibattito, in cui lui fa solo propaganda per Hamas.
AMY GOODMAN: Mi permetta di farle ascoltare l’attuale Segretario di Stato Condoleezza Rice, quel che ha detto l’altro giorno all’ONU a proprosito del raggiungimento di un accordo sulla tregua. Mi permetta di mostrarle questo video:
CONDOLEEZZA RICE: Centinaia di migliaia di israeliani sono vissuti ogni giorno sotto il tiro dei missili e francamente nessun paese, nessuno dei nostri paesi, sarebbe disposto a tollerare circostanze del genere. Inoltre, la popolazione di Gaza ha dovuto assistere alla diminuzione della sicurezza e all’aumento di mancanza di legge, al peggiorare delle loro confizioni di vita a causa di Hamas, che ha iniziato con un colpo di stato illegale contro l’Autorita’ Palestinese. Una tregua che ritorni a quelle circostanze e’ inaccettabile e non durerebbe. Dobbiamo urgentemente convenire su una tregua che possa durare e possa portare reale sicurezza.
AMY GOODMAN: Ambasciatore Indyk, quale sarebbe la sua risposta al segretario di Stato? Lei sara’ consigliere del nuovo Segretario, Hillary Clinton. Pensa che l’amministrazione Obama debba spingere per una tregua subito?
MARTIN INDYK: Mi permetta di fare un’altra precisazione prima di rispondere. Io ero consigliere di Hillary Clinton durante la sua campagna per la presidenza, ma al momento non sono ancora suo consulente e nulla di quel che posso dire qui dev’essere preso come il suo punto di vista.
Io credo che sia essenziale ottenere un cessate il fuoco al piu’ presto possibile. Penso che si stiano facendo molti sforzi, come si e’ gia’ descritto. Spero che questo possa avvenire prima che il neo-eletto presidente Obama occupi lo Studio Ovale tra [pochi giorni] e che il nuovo Segretario di Stato Hillary Clinton prenda il suo incarico.
Se cosi’ non dovesse avvenire, essi dovranno lavorare in modo molto efficiente per raggiungere l’obiettivo al piu’ presto, non solo per cercare di spingere verso una soluzione al conflitto israeliano-palestinese, ma secondo me anche per creare un nuovo contesto per una nuova iniziativa Obama-Clinton in vista di una poce onnicomprensiva che coinvolga anche negoziati tra Israele, Siria e Libano.
Il neo-presidente Obama ha detto durante la campagna elettorale che sara’ la sua priorita’ fin dal primo giorno e penso che questo sia molto importante. Ma il suo desiderio di occuparsi di questo problema e’ diventato ora una necessita’ per via della crisi di Gaza, una necessita’ per due, anzi, per tre motivi.
Il primo e’ di porre fine a questo conflitto dopo tutti questi anni e tanti morti da entrambe le parti. Il secondo e’ che quelli del mondo arabo che vogliono trovare una soluzione al conflitto con Israele sono oggi seriamente indeboliti a causa di questa crisi a Gaza. C’e’ molta rabbia nel mondo arabo e islamico. Coloro che si oppongono a una soluzione pacifica del conflitto, a cominciare da Hamas, Hezbollah e leadership iraniana, questo blocco che rigetta la soluzione, ora ha il vento in poppa. Ed e’ molto importante morstrare che moderazione, compromesso, riconciliazione e pace possono prevalere e ottenere un buon risultato per i palestinesi e gli arabi, piuttosto che il punto di vista che [loro] propagandano, e che consiste in violenza, terrorismo e sfida.
JUAN GONZALEZ: Ambasciatore Indyk, vorrei farle una domanda sui tempi dell’offensiva israeliana. E’ chiaro che siamo agli sgoccioli dell’amministrazione Bush, prima che il neo-eletto Obama inauguri la presidenza.
Le ha la sensazione che i tempi [di questa offensiva] abbiano qualcosa a che vedere col fatto che la risposta degli Usa potrebbe mutare, o almeno transitare come transitano le amministrazioni?
MARTIN INDYK: E’ importante comprendere che la tregua e’ finita, una tregua di 6 mesi, e non credo che gli israeliani abbiano deciso di proposito che era il momento di colpire. Se Hamas non avesse lanciato razzi, penso che sarebbero stati perfettamente felici di continuare la tregua. Ehud Barak, il ministro della Difesa israeliano, e’ il vero stratega di tutta questa operazione ed e’ l’uomo con cui io ho lavorato molto da vicino quando ero ambasciatore in Israele (E.B. era il primo ministro all’epoca). Si cercava di ottenere una completa e onnicomprensiva pace nell’ultimo anno dell’amministrazione Clinton e nel primo anno di Ehud Barack come Primo Ministro. Ma quel che ho appreso nei giorni in cui ho lavorato con lui e’ che e’ un uomo che considera le operazioni secondo un calendario molto ristretto. Coltiva perfino l’ hobby di smontare orologi. Insomma, e’ ossessionato dai tempi e questo e’ qualcosa che io sottolineo nel mio libro, quando descrivo il modo in cui tento’ di portare avanti le operazioni di pace nel 2000. A quell’ epoca calcolo’ male i tempi.
Ora, ha davanti due date. La prima e’ quella alla quale ha fatto riferimento lei, 20 gennaio [2009], quando il nuovo presidente si insedia nel suo ufficio qui a Washington. George W. Bush ha sostenuto molto Israele e, per la maggior parte del suo governo, ha lasciato carta bianca a Israele nei confronti di Hamas (che egli considera un’organizzazione terroristica) perche’ cio’ fa parte della guerra al terrore. Percio’, si, credo che Ehud Barak abbia probabilmente calcolato che deve finire questa operazione sotto l’egida di Bush, prima che arrivi Obama.
Ma c’e’ una seconda data che credo sia ancora piu’ importante dal suo punto di vista: il 10 febbraio [2009]. In quella data egli dovra’ fronteggiare l’elettorato assieme gli altri politici di Israele, a meno che le elzioni non vengano spostate, cosa che potrebbe difficilmente accadere. Per tutte queste ragioni, ha bisogno che l’operazione abbia fine. Ma se l’esercito israeliano prendesse il controllo di Gaza City, del campo rifugiati a Jabalya e di Rafah City nel sud di Gaza, e poi improvvisamente l’elettorato israeliano il 10 febbraio vede che Israele ha di nuovo occupato Gaza (che aveva lasciato unilateralmente alcuni anni fa), che i soldati israeliani muoiono, che tutto il mondo condanna Israele e c’e’ una crisi nelle relazioni Usa-Israele col nuovo presidente, Ehud Barak non verra’ di certo ringraziato. Ed e’ per tutto questo che gia’ oggi potete vedere da parte sua molto interesse alla tregua e il governo israeliano ci sta lavorando sopra. Credo che cercheranno di arrivare a un accordo prima che Obama occupi la presidenza…
AMY GOODMAN: Norman Finkelstein, mi permetta di…
MARTIN INDYK: … in modo da mostrare al suo elettorato che e’ stata un’operazione di successo, dal punto di vista di Israele.
AMY GOODMAN: Norman Finkelstein, lei condivide il punto di vista dell’ambasciatore Indyk che Israele avrebbe continuato la tregua se Hamas non avesse cominciato a lanciare razzi?
NORMAN FINKELSTEIN: I documenti mostrano che Hamas voleva continuare la tregua, ma a condizione che Israele allentasse l’assedio. Come molti spettatori sapranno, molto prima che Hamas riprendesse i lanci di razzi verso Israele, i palestinesi soffrivano per una crisi umanitaria a Gaza, a causa del blocco. L’ex Alto Commissario per i Diritti Umani [ed ex-presidente dell’Irlanda] Mary Robinson ha descritto quel che avveniva a Gaza come “distruzione di una civilta’”. E questo durante il periodo della tregua. Ora teniamo a mente che il signor Indyk vuole parlare del suo libro. Ebbene, parliamo del libro. Sono rimasto alzato fino all’1:30 di notte per finire di leggerlo, per arrivare a pagina 415, e assicurarmi di aver letto ogni singola parola.
Il problema, con questo libro, come anche con la presentazione qui, e’ la sistematica distorsione dei dati del processo di pace. Egli mente non solo ai suoi lettori, ma a tutto il popolo americano. Continua a mettere il peso della responsabilita’ per l’impasse nel processo di pace solo sui palestinesi. Poco fa ha fatto riferimento a “coloro che rigettano” [la pace]e che stanno tentando di bloccare la soluzione del conflitto. Ma cosa mostrano i fatti? I fatti mostrano che negli ultimi 20 e passa anni, l’intera comunita’ internazionale ha cercato di sistemare il conflitto in base ai confini del giugno 1967, un’equa risoluzione per la questione dei rifugiati.
Allora, anche le 164 le nazioni dell’ONU sarebbero tra “coloro che rigettano” [la pace]? E i soli a favore della pace sarebbero gli USA, Israele, Nauru, Palau, la Micronesia, le Marshall Islands e l’ Australia? Chi sono veramente quelli che rigettano [la pace]? Che si oppongono ad essa? Secondo il racconto del signor Indyk sui negoziati che culminarono negli accordi di Camp David e Taba, egli ci dice che erano i palestinesi a bloccare la risoluzione. Ma cosa ci mostrano i fatti? I fatti mostrano che nell’istanza cruciale sollevata a Camp David (a quell’ epoca secondo i parametri di Clinton), e poi a Taba, su ogni singolo punto tutte le concessioni arrivavano da parte dei palestinesi. Israele non fece nessuna concessione. Tutti i compromessi venivano dai palestinesi. I palestinesi hanno ripetutamente espresso di essere disposti a sanare il conflitto secondo le leggi internazionali.
La legge e’ molto chiara. Luglio 2004: l’organo giudiziario internazionale piu’ alto, la Corte Internazionale di Giustizia, ha disposto che Israele non ha alcun diritto ne’ sulla West Bank, ne’ su Gaza. Non ha diritti su Gerusalemme. L’Est arabo di Gerusalemme, secondo l’alta corte giudiziaria, e’ un territorio occupato. La Corte Internazionale di Giustizia ha disposto che tutti i villaggi colonici del West Bank sono illegali secondo la legge internazionale. E’ importante notare che, malgrado cio’, su tutte queste questioni, i palestinesi erano disposti a fare concessioni. Erano disposti a permettere a Israele di tenersi il 60% dei territori colonizzati e l’ 80% dei coloni. Erano disposti a fare compromessi su Gerusalemme. Erano perfino disposti a rinunciare, in pratica, al loro diritto al ritorno. Hanno fatto tutte le concessioni possibili. Israele non ne ha fatta alcuna. Ora, come viene mostrato questo fatto nel libro di Martin Indyk?
Cito: “[Da una parte] la coraggiosa e audace iniziativa di Ehud Barak per la pace, e [dall’altra] Arafat e l’OLP che respingono queste inziative audaci e coraggiose”. Capovolge completamente la realta’.
AMY GOODMAN: Ambasciatore Indyk, cosa risponde?
MARTIN INDYK: Gliel’ ho detto, Amy, non sono qui per dibattere con Norman Finkelstein. Queste sono regole cha ha creato lei…
NORMAN FINKELSTEIN: Io sto parlando del suo libro.
MARTIN INDYK: …per invitarmi a questo programma. E non intendo rispondere a questi attacchi ad hominem.
AMY GOODMAN: Ma egli sta parlando del suo…
MARTIN INDYK: No. Mi lasci dire…
AMY GOODMAN: Ma noi desideriamo darle l’occasione di presentare il suo libro.
MARTIN INDYK: Si, gia’, questo e’quel che credevo voleste fare. Sul serio, spero che gli spettatori leggano il libro e si facciano la propria idea. Io ho cercato di fare un resoconto onesto. E’ un libro autocritico. Ed e’ un libro in cui ogni mia descrizione dell’accaduto e’ piena di profonde critiche agli errori che noi del gruppo americano per la pace abbiamo commesso. C’e’abbstanza critica da condividere. Il libro e’ critico anche dello stesso Ehud Barak ed e’ la voce piu’ onesta possible di qualcuno che e’ stato coinvolto in tutti questi negoziati, profondamente coinvolto.
AMY GOODMAN: Quali erano questi errori, ambasciatore Indyk?
MARTIN INDYK: Ho cercato di raccontarlo onestamente. E quel che Norman Finkelstein ha fatto e’ semplicemente distorcere le mie argomentazioni e caricarle con la sua solita batteria di risoluzioni legali, eccetera. Ma se la gente vuole capire quanto sia difficile costruire la pace, allora spero che legga, piuttosto che accettare la sua propaganda.
AMY GOODMAN: Come fara’ Obama a non ripetere gli errori del passato, come lei li delinea nel suo libro?
MARTIN INDYK: Grazie. Io credo che una lezione fondamentale, sia dal lato dell’approccio di Clinton, che voleva trasformare il Medioriente attraverso la pace, sia dell’approccio di Bush che voleva trasformarlo con la guerra, i cambi di regime e la promozione della democrazia, consista nel fatto che Obama, nel disegnare una visione di pace, sicurezza e normalita’ nella regione, debba anche essere molto realistico su quel che si puo’ raggiungere. Sia Clinton che Bush, cosi’ diversi sotto molti aspetti, hanno cercato di trasformare la regione a somiglianza dell’America. Io penso che Obama debba avere un approccio piu’ umile, meno arrogante e lavorare insieme ai leader e ai popoli della regione per aiutarli a muoversi verso un mondo di pace. Il ruolo americano e’ indispensabile. Ma dobbiamo essere piu’ saggi. Piu’ flessibili. Dobbiamo capire che esistono enormi differenze tra noi e loro, che dobbiamo avere piu’ attenzione per la loro cultura, i loro valori e la loro politica, piuttosto che presumere che siano i nostri stessi. Questo e’ un proposito molto generale, ma da esso puo’ scaturire piu’ saggezza nell’ affrontare i dettagli del costruire la pace. Non possono raggiungere la pace senza di noi, ma il nostro ruolo dev’essere piu’ saggio.
AMY GOODMAN: Norman Finkelstein, lei cosa pensa debba avvenire?
NORMAN FINKELSTEIN: A me sembra piuttosto chiaro. In primo luogo, gli USA e Israele si devono unire al resto della comunita’ internazionale e devono rispettare la legge internazionale. Martin Indyk dismette quelle che chiama risoluzioni legali. Ma io non credo che si possa volgarizzare la legge internazionale. E’ una cosa seria. Se Israele sfida la legge internazionale, dev’essere chiamato a risponderne, come ogni altro paese del mondo. Su un punto sono d’accordo con Martin Indyk. Il signor Obama deve mettersi allo stesso livello del popolo americano. Dev’essere onesto su quale sia il vero ostacolo alla soluzione del conflitto. Non sono le obiezioni palestinesi. E’ il rifiuto di Israele – sostenuta dal governo USA – di osservare le leggi internazionali e l’opinione della comunita’ internazionale. La sfida maggiore per tutti noi americani e’ quella di riuscire a vedere oltre le menzogne. E purtroppo, vedere oltre quelle menzogne propagandate da Martin Indyk nel suo libro con la pretesa che siano i palestinesi – e non Israele e gli Usa – il maggior ostacolo alla pace”.
x ANITA
Lasci stare i sospetti, non se la prenda. Qui tutti siamo sospettati da qualcuno, io per esempio sono accusato di antisemitismo e scemenze simili. Resti e dica la sua.
Un caro saluto.
pino
… cara la mia ciquelita linda, cosa succede ti fa arrabbiare Uroburo?¿ dai non prendertela proprio adesso che viene il bello.
Raccontaci di Obama e Michelle… o il tuo impegno finisce con la cacciata del criminale buuuuusc, dopo 8anni di crimini di guerra?¿? L Oscar glielhanno consegnato direttamente, due scarpe 44, scarpe terroriste…
Mi dispiace in ogni caso, se tu ci lasciassi soli a festeggiare Obama!!
Faust
“…I soldati israeliani non distinguono più tra civili e combattenti …non solo colpiscono indiscriminatamente, ma stanno usando nuove e insidiose armi…in ospedale [arrivano] corpi con strane ferite mai viste prima qui a Gaza. Non so cosa stiano usando, nuove diavolerie di guerra e di morte…sono stati gli israeliani a violare la tregua ripetutamente, non Hamas. Moltiplicare i motivi di risentimento dei palestinesi, come sta facendo Israele uccidendo donne, uomini e bambini, non farà altro che allontanare ancora di più la pace” (Manawel Musallam, unico sacerdote cattolico a Gaza, parrocchia Sacra Famiglia, intervistato al telefono da Umberto De Giovannangeli, giornalista de L’unità).
X Anita
Eeehh .. no non puoi abbandonare il ruolo di sentinella a difesa degli USA e del suo presidente che fino ad ora hai così validamente interpretato.
Se questa volta dalle urne ne è uscito uno un po’ più scuro ed un po’ più democratico, è comunque dovere di una brava patriota difendere il paese ed il presidente che la nazione ha scelto.
Se abbandoni la “postazione” sei passibile di deferimento alla corte marziale blogghista con l’accusa per diserzione e connivenza con il nemico.
Antonio - – – antonio.zaimbri@tiscali.i
x Peter:
non mi sembra di aver parlato bene degli israeliani.
Se lei non legge i miei post fino in fondo o non li legge tutti, chiaro che se ne fa un’idea assolutamente distorta.
Io dico che si sono sempre comportati da cretini gli uni e da cretini gli altri.
Da cretini gli israeliani, che non hanno capito di dover investire sulla pace fin da subito, e da cretini i palestinesi per lo stesso identico motivo.
Si è creata una situazione raffigurabile come un gigante che prende per la collottola il mingherlino: il mingherlino tira un calcio e il gigante stringe la presa, il mingherlino tira un altro calcio e il gigante continua a stringere la presa. A questo punto il mingherlino capisce che se va avanti così si ritroverà strozzato e buonsenso vuole che faccia in modo di convincere il gigante a lasciarlo.
Invece è successo che il mingherlino ha continuato a tirare calci e il gigante a strangolare, fino a ritrovarsi nelle condizioni odierne, dove ancora il mingherlino tira calci e ancora il gigante insiste a strangolare. Un comportamento fuori da ogni convenienza per il mingherlino che si ritroverà strangolato e per il gigante che si ritroverà in galera o al camposanto, ammazzato dagli amici del mingherlino.
Ho detto più volte che, in condizioni di inferiorità è inutile combattere: bisogna trattare e poi recuperare il terreno perso in seguito, magari sfruttando la contiguità col ‘vicino’ più potente, seguendo il consiglio cinese: ” se non puoi vincere il tuo nemico, alleati ad esso”.
A quest’ora avremmo sull’altra sponda del Mediterraneo due popoli ricchi e felici, invece che così miserabilmente ridotti.
Se la sono cercata entrambi, anche se questo esula dall’idea dell’eroe romantico che lotta fino alla morte per un suo diritto calpestato. Un certo genere di romanticismo è fin troppo vicino al SONNO DELLA RAGIONE.
SANGUE FREDDO E FURTI DI DENARO
[…]nel pieno della battaglia di Gaza, ad Hai el-Zaitun trentacinque palestinesi sono stati uccisi dagli israeliani.
E le testimonianze dei sopravvissuti concordano: alcuni sono stati ammazzati A SANGUE FREDDO, QUANDO SI ERANO GIA’ ARRESI.
Atia Samuni, 47 anni, e suo figlio Ahmed, 4 anni, morirono in questa palazzina a tre piani, un edificio rudimentale di cemento nudo, con un tetto di lamiera, stanze senza porta e al piano terra, sabbia per pavimento. La moglie di Atia, Zeinat, non ricorda esattamente quale giorno fosse, probabilmente il 3 gennaio. Gli israeliani spararono una granata contro la casa, distruggendone una parte. Poi entrarono all’interno. Quasi tutti gli abitanti, venti in tutto, si era radunati in una stanza di tre metri per tre, con stuoie sulla sabbia. “Chi è il proprietario?, gridarono i soldati. Allora mio marito avanzò con le mani alzate”, mi racconta Zeinat Samuni. “Era sulla porta quando gli israeliani lo ammazzarono con una pallottola tra gli occhi. Cadde all’indietro, in questa stanza. Poi gli israeliani ci mitragliarono”.
Le pallottole ferirono cinque palestinesi, tra i quali i due figli di Zeinat Samuni: un neonato e Ahmed, il bambino di quattro anni. “Li sentivamo ridere, mentre rovistavano nella stanza accanto, per rubare quel che avevamo. Quando diedero fuoco ai materassi, il fumo invase questa stanza e non riuscivamo a respirare. In nome di tutti i libri sacri, li invocammo, lasciateci vivere, per pietà. Infine ci puntarono le loro luci laser e ci ordinarono di spostarci nella cucina. Fatemi prendere mio marito, dissi. Ma non vollero. Più tardi accadde qualcosa che non so, perché uscirono dalla casa. Provai a uscire anch’io, Ahmed perdeva molto sangue, ma i soldati presero a sparare fin quando non rientrai. Allora chiamai la Croce Rossa, gli ospedali. Mi dissero che non potevano mandare un’ambulanza, gli israeliani avevano già ammazzato due autisti. Mio figlio morì di emorragia. Vede quella striscia rossa sulla parete? Quello è il sangue del mio povero bambino”.
A Hai el-Zaitun vivevano i membri di un grande clan palestinese, i Samuni. Abitavano15 edifici di due o tre piani sparsi per un’area di circa tre ettari. Avevano olivi, orti, anatre, un allevamento di galline e una piccola moschea. I tank israeliani e la fanteria arrivarono lassù nei primi giorni di gennaio e si attestarono tra le case. E’ probabile che uno o più Samuni abbiano sparato sui soldati. Ma neppure questo giustificherebbe quel che accadde in seguito.
La collina adesso è immersa in un fetore di galline morte. Sulla sabbia pressata dai cingoli dei carri armati si svolge da due giorni un andirivieni di sopravvissuti, impegnati a tentare di recuperare qualcosa dalle case, tutte colpite da pallottole e da granate, le più totalmente distrutte.
[…]Si erano rifugiati in 80 in una palazzina prossima alle casa di Ahmed Samuni, quando gli israeliani ordinarono di uscire, prima con un razzo di avvertimento, poi con un altoparlante. “Strappammo strisce di lenzuola bianche, e agitando quelle sulla testa uscimmo. Gridavamo “Katàn, katàn”, bambini, e mostravamo i nostri figli. Eppure ci spararono. Da quella casa, la vede? Ammazzarono un uomo e ne ferirono altri due”.
Ricorre in questi racconti il SACCHEGGIO delle case. I soldati trasformarono in “centro di interrogatorio” la casa di Assad al Samuni, 50 anni, poliziotto, e per primo interrogarono lui, disteso su assi poggiate su una branda, bendato e legato con manette di plastica. Volevano sapere chi apparteneva ad Hamas, in quella zona.
Nel frattempo perquisirono la casa e trovarono il bottino – qualche oggetto d’oro e circa 4000 euro in dinari giordani – in un cassetto segreto dell’armadio. Rubarono anche gli 800 shekel che Mahmud al Samuni, 11 anni, aveva nascosto tra i vestiti.
[…] Israele sostiene che nell’offensiva mai il comportamento dei suoi soldati è stato disonorevole. Però rifiuta per principio un’inchiesta internazionale (nel caso affidata alla Corte penale internazionale) e ignora i dettagliati rapporti dell’americana Human Rights Watch, la più attendibile organizzazione per i diritti umani.
Val la pena di rileggere un’indagine condotta da Hrw sulla penultima offensiva israeliana a Gaza, l’operazione Inverno Caldo, condotta a cavallo tra il febbraio e il marzo 2008, e conclusa con l’uccisione di 102 palestinesi, per la metà civili.
Secondo Human Rights Watch i soldati israeliani si macchiarono di “gravi violazioni, inclusa l’uccisione di un ferito trasportato in ambulanza, l’uccisione di due conducenti di carretti trainati da asini, il ferimento con armi da fuoco di due prigionieri. Tutti questi incidenti sono avvenuti in aree saldamente in controllo delle Forze armate israeliane”.
Che tra i soldati israeliani ve ne sia qualcuno dal grilletto facile, è da mettere nel conto, considerando l’asprezza dello scontro e la sua durata. Ma secondo Hrw la questione è un’altra. “Un problema centrale è stato l’impunità” (rispetto alle leggi internazionali) che Israele accorda ai suoi militari. Hrw cita questo esempio: dopo “Inverno Caldo” Israele ha aperto indagini su tre furti che chiamavano in causa suoi soldati, ma non su presunti assassinii. Va da se che l’impunità distrugge i codici di un esercito.
[Da Repubblica]
@Anita
Ma come, signora, ha resistito stoicamente per anni alle cosidette “accuse” di essere sul blog per conto del suo governo, negando e sostenendo che era per comunicare, ecc., e proprio oggi che si insedia il nuovo presidente ci annuncia di “essere stanca” e di lasciarci?
Non crede anche lei che sia una decisione alquanto repentina, proprio oggi, 20 gennaio 2009, una “coincidenza” quanto meno curiosa? Vuole lasciarci con questi pensieri?
Suvvia, resti. Se non potra’ piu’ prendere le parti di Bush, almeno potra’ raccontarci le malefatte di Obama.
Quando si è in condizioni di guerra, non si ragiona come esseri umani, si ragiona da bestie. Viene fuori la parte peggiore di noi, il pitecantropo con la clava che capisce solo che deve colpire e rapinare. E’ una costante di tutte le guerre e non deve meravigliarci. Ciò non toglie che esistano comportamenti che oggi possono essere contestati in sede di corte internazionale e ci si auspica che ciò venga fatto. Staremo a vedere come si comporterà Obama. Sto ascoltando la radio ‘bbc news’ mentre scrivo e proprio in questo momento un tizio con fortissimo accento arabo ha detto “Obama will help us”. Potrebbe essere possibile.
Su Radio Baltimora una diretta per i festeggiamenti, per chi fosse interessato.
Mi associo a chè Anita, il mio mito d’oltreoceano non ci abbandoni. sarebbe una grave perdita. Idem per gli altri. Ci si scanna, ma in fondo ci si vuol bene. E’ ciò che conta.
Per rimettere in piedi la verità
le scarpe riprendono il cammino
Appuntamento martedì 20 gennaio alle ore 18
davanti alla sede del Corriere della Sera
via Solferino 28, Milano
Una montagna di scarpe contro le omissioni, la faziosità, la mala informazione dei media sui fatti di Gaza/Palestina e sulle manifestazioni contro la guerra in Italia
Action for Peace – Libera Università delle Donne, Milano –
Per adesione, inviare una mail a:
shoes4news@gmail.com
EDILIZIA
Punta Perotti, Italia condannata
“Violata la proprietà privata”
La Corte europea ha accolto la richiesta di indennizzo presentata dai costruttori dopo l’esproprio dell’Ecomostro abbattuto nel 2006
STRASBURGO – La confisca dei terreni di Punta Perotti, secondo la Corte europea dei diritti dell’uomo, è avvenuta in violazione del diritto della protezione della proprietà privata e della Convenzione dei diritti dell’uomo.
@ Alex
Non ho postato nulla che non fosse stato tradotto in italiano.
A meno che lei si riferisca al video con l’intervento di George Galloway. Me ne scuso, ma richiederebbe tempo per fare la trascrizione e tempo per la traduzione: tempo che in questi giorni, purtroppo, non ho.
Comunque, in due parole: ha detto che e’ stata la GB, con Balfour, a creare il problema in Medioriente (creando uno stato artificialmente e imponendolo a coloro che gia’ abitavano nel territorio) e che quindi toccherebbe alla GB avere un approccio piu’ sensibile verso quel che sta avvenendo a Gaza. Ha anche condannato con toni molto forti il governo israeliano (nessuno ha osato parlare cosi’, in nessun paese europeo).
x Vox
vero, ma la svolta è avvenuta solo con Gordon Brown (il tanto osannato – in Italia – Blair era prono a Bush e ad Israele)
di Michelle Goldberg
THE GUARDIAN
[…]Mentre Israele polverizza Gaza, domande e dubbi sulla politica israeliana stanno diventando più evidenti nei media americani.
Il fallimento della guerra in Iraq e il concomitante discredito dei neoconservatori ha aperto un nuovo spazio nella conversazione americana. Mentre la destra americana è indebolita e demoralizzata, vi è meno pressione sulla stampa perché mostri quel genere di rozze posizioni a senso unico che i conservatori compiaciuti di se stessi amano definire “chiarezza morale”. La sproporzionata rappresaglia israeliana contro Gaza viene sempre più riconosciuta come tanto brutale quanto, con tutta probabilità, estremamente futile. Nel distruggere Gaza, Israele sta anche distruggendo il tabù americano che ha assicurato al paese una copertura mediatica favorevole a tempo pieno.
Il 31 dicembre la CNN ha affrontato la controversa domanda se sia stato Israele o Hamas a rompere il cessate il fuoco facendo precipitare la situazione verso gli attuali combattimenti. In primo luogo la rete televisiva ha trasmesso un filmato del parlamentare liberale palestinese Mustafa Barghouti che affermava:
” la comunità della stampa mondiale o dei media è soverchiata dalla narrazione israeliana che è sbagliata. I portavoce israeliani hanno diffuso bugie ovunque…Due mesi prima che la tregua finisse Israele iniziò ad attaccare Rafah, iniziò ad attaccare Hamas e non ha mai tolto l’embargo su Gaza”.
Ordinariamente i giornalisti televisivi farebbero seguire a tale filmato, se proprio lo avessero mandato come primo, un filmato in cui Israele porta le sue ragioni, e si sarebbero fermati su di esso lasciando un pubblico già predisposto contro i palestinesi a decidere la verità.
Invece il conduttore Rick Sanchez ha fatto qualcosa che dovrebbe essere pratica comune ma tristemente non lo è: si è sforzato di scoprire chi avesse ragione…E ha riferito che le sue fonti confermavano che Barghouti aveva ragione.
Da allora il mettere in discussione e il condannare apertamente le azioni di Israele è diventato sempre più comune nella stampa dell’establishment.
L’otto gennaio la pagina degli editoriali ‘op-ed’ del New York Times riportava tre pezzi di opinione critici di Israele.
“Quando viene bombardato dai suoi vicini Israele deve fare qualcosa”, ha scritto l’editorialista Nick Kristof. “Ma il diritto di Israele di fare qualcosa non significa che abbia il diritto di fare qualunque cosa”…
La scorsa settimana è uscita una nuova edizione della rivista Time, la sua copertina mostrava una stella di Davide dietro a del filo spinato e il titolo “Perchè Israele non può vincere”. La pagina degli editoriali del fortemente conservatore Wall Street Journal riportava un articolo di George Bisharat dal titolo ” Israele sta commettendo crimini di guerra”
Vedi copertina TIME e video su:
http://www.comedonchisciotte.org
/site/modules.php?name=News&file=article&sid=5493
Non c’è alcun dubbio che alcuni dei più aggressivi sostenitori di Israele saranno allarmati da questo improvviso cambiamento nei discorsi americani. Essi sono soliti accantonare le critiche del mondo a Israele come borbottii di antisemiti e terzomondisti benpensanti. Gli USA sono stati un bozzolo che ha protetto Israele e i suoi sostenitori dal fronteggiare duri giudizi. Ma Israele ha ricevuto un cattivo servizio dall’indulgenza senza fine dell’America…
Titolo originale: “Israel’s free ride ends”
fonte: guardian.co.uk
@ Pietro Falco
Benvenuto su questo blog e grazie per il suo contributo.
A quale svolta (di Gordon Brown) si riferisce esattamente?
Israele parli anche con Hamas
di DAVID GROSSMAN
Come le volpi del racconto biblico di Sansone, legate per la coda a un’unica torcia in fiamme, così noi e i palestinesi ci trasciniamo l’un l’altro, malgrado la disparità delle nostre forze. E anche quando tentiamo di staccarci non facciamo che attizzare il fuoco di chi è legato a noi – il nostro doppio, la nostra tragedia – e il fuoco che brucia noi stessi. Per questo, in mezzo all’esaltazione nazionalista che travolge oggi Israele, non guasterebbe ricordare che anche quest’ultima operazione a Gaza, in fin dei conti, non è che una tappa lungo un cammino di violenza e di odio in cui talvolta si vince e talaltra si perde ma che, in ultimo, ci condurrà alla rovina.
Assieme al senso di soddisfazione per il riscatto dello smacco subito da Israele nella seconda guerra del Libano faremmo meglio ad ascoltare la voce che ci dice che il successo di Tsahal su Hamas non è la prova decisiva che lo Stato ebraico ha avuto ragione a scatenare una simile offensiva militare, e di certo non giustifica il modo in cui ha agito nel corso di questa offensiva. Tale successo prova unicamente che Israele è molto più forte di Hamas e che, all’occasione, può mostrarsi, a modo suo, inflessibile e brutale.
Allo stesso modo il successo dell’operazione non ha risolto le cause che l’hanno scatenata. Israele tiene ancora sotto controllo la maggior parte del territorio palestinese e non si dichiara pronto a rinunciare all’occupazione e alle colonie. Hamas continua a rifiutare di riconoscere l’esistenza dello Stato ebraico e, così facendo, ostacola una reale possibilità di dialogo. L’offensiva di Gaza non ha permesso di compiere nessun passo verso un vero superamento di questi ostacoli. Al contrario: i morti e la devastazione causati da Israele ci garantiscono che un’altra generazione di palestinesi crescerà nell’odio e nella sete di vendetta. Il fanatismo di Hamas, responsabile di aver valutato male il rapporto di forza con Tsahal, sarà esacerbato dalla sconfitta, intaserà i canali del dialogo e comprometterà la sua capacità di servire i veri interessi palestinesi.
Ma quando l’operazione sarà conclusa e le dimensioni della tragedia saranno sotto gli occhi di tutti (al punto che, forse, per un breve istante, anche i sofisticati meccanismi di autogiustificazione e di rimozione in atto oggi in Israele verranno accantonati), allora anche la coscienza israeliana apprenderà una lezione. Forse capiremo finalmente che nel nostro comportamento c’è qualcosa di profondamente sbagliato, di immorale, di poco saggio, che rinfocola la fiamma che, di volta in volta, ci consuma.
È naturale che i palestinesi non possano essere sollevati dalla responsabilità dei loro errori, dei loro crimini. Un atteggiamento simile da parte nostra sottintenderebbe un disprezzo e un senso di superiorità nei loro confronti, come se non fossero adulti coscienti delle proprie azioni e dei propri sbagli. È indubbio che la popolazione di Gaza sia stata “strozzata” da Israele ma aveva a sua disposizione molte vie per protestare e manifestare il suo disagio oltre a quella di lanciare migliaia di razzi su civili innocenti. Questo non va dimenticato. Non possiamo perdonare i palestinesi, trattarli con clemenza come se fosse logico che, nei momenti di difficoltà, il loro unico modo di reagire, quasi automatico, sia il ricorso alla violenza.
Ma anche quando i palestinesi si comportano con cieca aggressività – con attentati suicidi e lanci di Qassam – Israele rimane molto più forte di loro e ha ancora la possibilità di influenzare enormemente il livello di violenza nella regione, di minimizzarlo, di cercare di annullarlo. La recente offensiva non mostra però che qualcuno dei nostri vertici politici abbia consapevolmente, e responsabilmente, afferrato questo punto critico.
Arriverà il giorno in cui cercheremo di curare le ferite che abbiamo procurato oggi. Ma quel giorno arriverà davvero se non capiremo che la forza militare non può essere lo strumento con cui spianare la nostra strada dinanzi al popolo arabo? Arriverà se non assimileremo il significato della responsabilità che gli articolati legami e i rapporti che avevamo in passato, e che avremo in futuro, con i palestinesi della Cisgiordania, della striscia di Gaza, della Galilea, ci impongono?
Quando il variopinto fumo dei proclami di vittoria dei politici si dissolverà, quando finalmente comprenderemo il divario tra i risultati ottenuti e ciò che ci serve veramente per condurre un’esistenza normale in questa regione, quando ammetteremo che un intero Stato si è smaniosamente autoipnotizzato perché aveva un estremo bisogno di credere che Gaza avrebbe curato la ferita del Libano, forse pareggeremo i conti con chi, di volta in volta, incita l’opinione pubblica israeliana all’arroganza e al compiacimento nell’uso delle armi. Chi ci insegna, da anni, a disprezzare la fede nella pace, nella speranza di un cambiamento nei rapporti con gli arabi. Chi ci convince che gli arabi capiscono solo il linguaggio della forza ed è quindi quello che dobbiamo usare con loro. E siccome lo abbiamo fatto per così tanti anni, abbiamo dimenticato che ci sono altre lingue che si possono parlare con gli esseri umani, persino con nemici giurati come Hamas. Lingue che noi israeliani conosciamo altrettanto bene di quella parlata dagli aerei da combattimento e dai carri armati.
Parlare con i palestinesi. Questa deve essere la conclusione di quest’ultimo round di violenza. Parlare anche con chi non riconosce il nostro diritto di vivere qui. Anziché ignorare Hamas faremmo bene a sfruttare la realtà che si è creata per intavolare subito un dialogo, per raggiungere un accordo con tutto il popolo palestinese. Parlare per capire che la realtà non è soltanto quella dei racconti a tenuta stagna che noi e i palestinesi ripetiamo a noi stessi da generazioni. Racconti nei quali siamo imprigionati e di cui una parte non indifferente è costituita da fantasie, da desideri, da incubi. Parlare per creare, in questa realtà opaca e sorda, un’alternativa, che, nel turbine della guerra, non trova quasi posto né speranza, e neppure chi creda in essa: la possibilità di esprimerci.
Parlare come strategia calcolata. Intavolare un dialogo, impuntarsi per mantenerlo, anche a costo di sbattere la testa contro un muro, anche se, sulle prime, questa sembra un’opzione disperata. A lungo andare questa ostinazione potrebbe contribuire alla nostra sicurezza molto più di centinaia di aerei che sganciano bombe sulle città e sui loro abitanti. Parlare con la consapevolezza, nata dalla visione delle recenti immagini, che la distruzione che possiamo procurarci a vicenda, ogni popolo a modo suo, è talmente vasta, corrosiva, insensata, che se dovessimo arrenderci alla sua logica alla fine ne verremmo annientati.
Parlare, perché ciò che è avvenuto nelle ultime settimane nella striscia di Gaza ci pone davanti a uno specchio nel quale si riflette un volto per il quale, se lo guardassimo dall’esterno o se fosse quello di un altro popolo, proveremmo orrore. Capiremmo che la nostra vittoria non è una vera vittoria, che la guerra di Gaza non ha curato la ferita che avevamo disperatamente bisogno di medicare. Al contrario, ha rivelato ancor più i nostri errori di rotta, tragici e ripetuti, e la profondità della trappola in cui siamo imprigionati.
Quanto a Blair, era un Thatcher-iano da manuale e cosa ci facesse nel Labour non l’ho mai capito (salvo distruggere e deviare quel partito dall’interno).
È naturale che i palestinesi non possano essere sollevati dalla responsabilità dei loro errori, dei loro crimini. Un atteggiamento simile da parte nostra sottintenderebbe un disprezzo e un senso di superiorità nei loro confronti, come se non fossero adulti coscienti delle proprie azioni e dei propri sbagli. È indubbio che la popolazione di Gaza sia stata “strozzata” da Israele ma aveva a sua disposizione molte vie per protestare e manifestare il suo disagio oltre a quella di lanciare migliaia di razzi su civili innocenti. Questo non va dimenticato. Non possiamo perdonare i palestinesi, trattarli con clemenza come se fosse logico che, nei momenti di difficoltà, il loro unico modo di reagire, quasi automatico, sia il ricorso alla violenza.
@ Grossman
Quali sarebbero questi crimini, a parte i fuochi d’artificio chiamati Qassam? E quali sarebbero le “molte vie per protestare e manifestare il suo disagio” che i palestinesi hanno trascurato in questi ultimi 60 anni?
Una volta che questo signore scrive la frase: “Non possiamo perdonare i palestinesi, trattarli con clemenza”, poteva ormai risparmiarsi il resto, perche’ ne ha praticamente vanificato la ragione.
Gli israeliani dovrebbero perdonare i palestinesi?!?!
E di cosa, di grazia? Perche’ gli hanno tolto tutto e li hanno decimati e tormentati per anni, senza riuscire a metterli completamente in ginocchio?
Ma sto Grossman se ne vada a ‘ffan bene. Questi discorsi triti e ritriti del tipo: “si, vabbe’, abbiamo esagerato e dobbiamo essere critici con noi stessi, pero’ i palestinesi sono colpevoli ugualmente e noi non li perdoniamo”, onestamente, sono ormai irricevibili.
La politica del colpo al cerchio e del colpo alla botte non porta mai da nessuna parte, ti fa solo marciare stando fermo allo stesso pesto.
posto
x Vox
Grazie a lei…
Mi riferisco all’interruzione della sostanziale subalternità nei confronti degli Usa: nella vicenda di Gaza Brown ha giocato una partita assolutamente autonoma rispetto allo storico alleato…
Con Blair – come ricorderà – non era affatto così: a parte l’immagine celeberrima catturata da Striscia la notizia in cui Bush si rivolge all’inquilino del numero 10 di Downing Street come se stesse parlando al suo maggiordomo, in tutta la vicenda dell’invasione dell’Iraq, ma anche nelle fasi successive il Regno Unito ha avuto un ruolo passivo.
E non credo dipendesso solo dall’atteggiamento di solidarietà per l’11 settembre (che Saddam non c’entrava nulla, e soprattutto che non aveva armi di distruzione di massa, credo lo comprendesse persino Scaramella: figuriamoci l’MI6)…
Il “grigio” Brown si sta rivelando invece un ottimo primo ministro. E non solo per la competenza in materia economica, ma anche e soprattutto per la nuova linea “autonoma” in politica estera…
Certo va detto pure che il clima generale nel Paese, di fronte all’aggressione di Gaza, non fosse esattamente favorevole ad Israele: ricorderà persino i rabbini inglesi si sono dissociati…
E la stampa, i media, hanno fatto la loro parte: sono stati loro i primi a parlare dell’utilizzo del fosforo bianco, ad esempio; o ad ospitare commenti come quello di Naomi Klein che invocava addirittura embargo comemrciale come quelloche aveva costratto il Sud Africa a fare marcia indietro rispetto all’apartheid…
Credo che questo atteggiamento gioverà moltissimo al tentativo di arrrivare finalmente ad una soluzione pacifica: la mia idea, infatti, è che Hamas e persino Al Queida siano una diretta conseguenza dell’appoggio acritico che gli Usa hanno sempre assicurato ad Israele, svilendo da 60 anni il ruolo dell’Onu…
ps
x vox
ha letto l’articolo di Haaretz on line che ho postato stanotte sulle accuse degli Stati arabi in merito all’utilizzo di munizioni (bombe e missili) contenti uranio impoverito?
Si sono già rivolti all’Iaea…
Credo che questa vicenda, insieme alle altre accuse per crimini di guerra già sul tavolo (stragi di civili; fosforo bianco in zone popolate; atti di crudeltà), possa rivelarsi un grosso boomerang per Israele… Il governo sembra già molto preoccupato…
Al tavolo di pace che verosimilmente Obama metterà in piedi, ci arriveranno assai più deboli del previsto: e forse sarà possibile far ingoiare loro il ritorno ai confini pre 1967 (compreso per Gerusalemme)…
Ogni altra soluzione, a mio avviso sarebbe una clamorosa ingiustizia, e si continuerebbe a covare odio e rancore (ricorda Versailles e le conseguenze della pace “ferrea e ingiusta”?)
x Vox
Per cortesia, può postare anche il link del Guardian con l’articolo citato? E’ sempre meglio inserire anche i link, così chi vuole può farne una biblioteca.
Un caro saluto.
pino nicotri
x FAUST
Divertiti:
IL CORRIERE DELLE CORNA (L’AMORALE CARACCIOLO) – SOLO I nobili eleganti con la erre blesa POSSONO SEMINARE FIGLI DOVUNQUE E FAR LA MORALE AGLI ALTRI? – I soldi valgono così tanto da sputtanare in pubblico un padre, anzi due padri?…
Renato Farina per “Libero”
I soldi valgono così tanto da sputtanare in pubblico un padre, anzi due padri, uno naturale e l’altro putativo (quest’ultimo ha dato affetti, denaro per studiare, il nome)? C’è un giovanotto molto in gamba che ritiene di sì. E un quotidiano d’alto lignaggio gli regge il nobile sacco. A proposito di quest’ultimo giornale mi espongo: quasi quasi meglio Santoro. Almeno Michelone ci mette una passione squinternata per una causa sbagliata.
Caracciolo
Qui cosa c’è: il gossip macabro su due morti, e per di più – viene assicurato – entrambi amatissimi. Sulla prima pagina del Corriere della Sera è apparsa una lettera di Carlo Revelli. Titolo: «Io e mio padre Caracciolo». La questione riguarda una eredità cospicua. Si dice intorno ai cento milioni di euro, ma è un calcolo probabilmente per difetto.
I personaggi sono questi: 1) il principe Carlo Caracciolo, editore, cognato di Gianni Agnelli, scomparso un mese fa, uomo elegantissimo, grande amante di giornali (Espresso, Repubblica, Libération) e di donne. 2) Jacaranda Falck Caracciolo, figlia naturale adottata e riconosciuta, giornalista all’Espresso, al momento unica erede legittima. 3) Carlo junior e Margherita Revelli, figli di Carlo Revelli senior e di sua moglie Maria Luisa. Carlo e Margherita vogliono il riconoscimento postumo del padre Caracciolo e il disconoscimento di quello anagrafico.
4) Carlo Revelli senior, il padre ufficialmente cornuto, scomparso nel 2002 dopo una vita passata a crescere i figli creduti suoi (ma suoi di sicuro per affetto ed educazione). 5) Il demi-monde romano, ben piazzato nel ramo della lira e delle corna, universalmente adorante dell’eleganza del principe.
La regola dell’anno
Succede questo: la legge prevede che deve passare un anno al massimo tra il momento in cui il figlio naturale apprenda con certezza da quali lombi discenda davvero e la denuncia con carta bollata del fatto, perché lo Stato ne prenda atto. Se passa un giorno di più: nisba, chi ha avuto ha avuto, chi ha dato ha dato. Ora i due Revelli pare fossero da tutti accettati da tempo come figli del principe Caracciolo. Ma quando l’hanno saputo? Quando si sono dati da fare per mettere i sigilli alla loro nuova identità?
Caracciolo
La sorellastra Jacaranda non dubita minimamente siano figli del medesimo padre suo. Ma dice: comodo svegliarvi adesso. Lo sapevate da un pezzo, altro che da un anno appena. Non vedrete una lira e neanche un ettaro delle varie tenute in giro per la Maremma e il Viterbese. E ha nominato due avvocatoni da famiglia appunto principesca.
A babbo morto
Ed ecco arriva la lettera al Corriere. I due Revelli-Caracciolo si sono mossi davvero a babbo morto, anzi, a babbi morti, onde avere la loro bella fetta di milioni? No, risponde Carlo Revelli. Il candidato neo-principe spiega come la madre rivelò a lui e alla sorella la fonte paterna della loro vita a metà ottobre 2007, e non prima. Era il momento in cui stava per nascere il quarto figlio di Margherita, almeno avrebbe saputo chi era il nonno vero.
Incredulità, sgomento. Carlo si mosse per avere certezza del fatto dal supposto coautore del suo Dna: il principe Carlo, il quale ovviamente sorrise, e accondiscese, gli firmò una dedica a un libro, riconobbe le foto. Indi lo presentò come suo figlio al fratello e alla sorella Marella Agnelli. Dopo di che, secondo Carlo, Carlo Caracciolo avrebbe voluto procedere all’adozione dei due, ma ne fu impedito da una sorta di congiura tesa a mangiarsi tutta la pappa principesca.
Per questo Carlo non-più-Revelli si sente costretto suo malgrado a rivelare questi affari di famiglia in pubblico. Pazienza se il genitore che lo ha custodito ed educato, amato lui e patito per ogni suo problema, adesso fa la figura postuma del fesso: ciò che conta è raggiungere lo scopo. Il padre Carlo Senior avrà la fama di cornuto e la mamma non sarà ritenuta tanto virtuosa? Pazienza, si sacrifica ogni considerazione sociale per i denari, da conseguire per via pacifica, senza liti, bonariamente: ma quel che è giusto è giusto.
Jacaranda Falk agosto
Non mi sogno neanche di giudicare i perché profondi di una mossa simile da parte di un figlio. Ci possono essere ragioni gravi e altre comprensibilissime. Me ne viene una: la volontà di assicurare alla propria discendenza un cognome nobile e una sostanziosa rendita. Nella circostanza non so come mi comporterei, ma spero diversamente: come si fa a uccidere con uno spillone l’onore di chi ti ha tirato grande e anche quello di tua madre?
Un paio di dubbi
Però non mi spiego due cose: 1) Perché un giornale viva come una leccornia da incorniciare in prima pagina una simile pratica ereditaria. Tanto più che il citato Corriere esercita ogni giorno con voluttà moralizzatrice la critica ad ogni programma tivù (vedi le scudisciate quotidiane di Aldo Grasso).
Carlo Revelli
2) Perché tutti ritengano un grand’uomo Carlo Caracciolo, e nessuno osi muovergli un piccolo rimprovero, accanto ai giusti omaggi, dinanzi all’evidenza che ha disseminato il mondo di figli suoi mantenuti da altri. Anzi c’è del compiacimento, persino un po’ di invidia, come Leporello verso Don Giovanni. Un figlio può nascere da un’avventura con un frutto diverso dal previsto. Due figli sono un disegno, un inganno vissuto giocando sulla fiducia del prossimo. E magari un figlio dovrebbe pensare che più del denaro conta la riconoscenza, o almeno la decenza.
Una morale? Forse meritano rispetto anche i cornuti. Di certo, questo famoso establishment di nobili eleganti e borghesi con la erre blesa e con tenute e quadri d’autore, è un mondo di figli di buona donna. O no? Poi fanno la morale a Kakà perché se ne va per soldi dal Milan.
Presso il Circolo della Stampa, Corso Venezia 16 Milano
II SEMINARIO sulla LIBERTA’ DI INFORMAZIONE
Introducono: Massimo Alberizzi, Vincenzo Ferrari ed Enzo Marzo
L’incontro è per inviti e ha lo scopo di presentare alcune proposte della Fondazione di Critica Liberale e di Senza Bavaglio, nonché preparare prossime iniziative.
Chi è interessato a partecipare deve prenotare, mandando una mail a MASSIMO ALBERIZZI: malberizzi@senzabavaglio.info
Gli sarà così inviato il materiale preparatorio che sarà oggetto di discussione e approfondimento
di PAOLO BARNARD
Hamas continua a sparare razzi anche e soprattutto perché Gaza è la più grande prigione a cielo aperto del mondo…Perché nell’agosto del 2006 la Banca Mondiale dichiarava che “la povertà a Gaza colpisce i due terzi della popolazione”…Perché appena dopo le regolari e democratiche elezioni del gennaio 2006 con Hamas vittoriosa, Israele inflisse 1 miliardo e 800 milioni di dollari di danni bombardando la rete elettrica di Gaza e lasciando più di un milione di civili senza acqua potabile. Perché nel 2007 l’ex ministro inglese per lo Sviluppo Internazionale, Clare Short, dichiarò alla Camera dei Comuni di Londra:
“sono scioccata dalla chiara creazione da parte di Israele di un sistema di Apartheid, per cui i palestinesi sono rinchiusi in quattro Bantustan, circondati da un muro, e posti di blocco che ne controllano i movimenti dentro e fuori dai ghetti (sic)”. Ecco perché. Perché sono 60 anni che Israele strazia i palestinesi con politiche sanguinarie, razziste e fin neonaziste.
ARAFAT RICONOBBE ISRAELE NEL 1993, agì fermamente per reprimere Hamas (come testimoniò Ami Ayalon, ex capo dei servizi segreti Shab’ak israeliani, nel 1998) e cosa ottenne?
Barak, Clinton e poi Sharon lo distrussero.
HAMAS HA DICHIARATO UFFICIALMENTE nel luglio del 2006 con una lettera al Washington Post di RICONOSCERE IL DIRITTO DEGLI EBREI all’esistenza in Palestina fianco a fianco dei palestinesi.
Nessun media italiano o europeo ha ripreso la notizia. Nessuno.
Sono in una gabbia che li affama, che li fa morire ai posti di blocco, che gli nega l’essenziale per vivere.
John Dugard (Special Rapporteur per i Diritti Umani in Palestina dell’ONU): “A tutti gli effetti, a seguito del ritiro israeliano, Gaza è divenuta un territorio chiuso, imprigionato e ancora occupato”.
Abrham B. Yehoshua è un mostro, e lui e i suoi colleghi non hanno appreso alcunché dal nazismo, anzi, hanno solo appreso come replicarlo:
“Oggi, per la prima volta dopo secoli di dominio ottomano, britannico, egiziano, giordano e israeliano, una parte del popolo palestinese ha ottenuto una prima, e spero non ultima, occasione per esercitare un governo pieno e indipendente su una porzione del suo territorio.”
Su una porzione del suo territorio… Non c’è limite all’abominio intellettuale di questo scrittore. Gli ‘untermenschen’ arabi devono essere grati di poter fare la fame su un fazzoletto di terra privo di ogni sbocco economico/commerciale e che è una frazione di quel 22% delle loro terre che gli è rimasto dopo che Israele gli ha rubato il 78% a forza di massacri e pulizia etnica.
L’ipocrisia della tragedia israelo-palestinese è arrivata a livelli biblici di disgusto…sul sito
sinistraperisraele.it/home.asp?idtesto=185&idkunta=185, dove campeggia una commemorazione di Uri Grossman (figlio dell’altra ‘colomba’ israeliana di chiara fama, David Grossman), ucciso durante l’invasione israeliana del Libano del 2006. La morte di un figlio è sempre una tragedia immane, e quella morte lo è nel suo aspetto privato. Non oserei profferire parola su questo.
Ma vi è un aspetto pubblico di essa, che stride e che fa ribollire la coscienza: Uri Grossman era un soldato di un esercito invasore, criminale di guerra, oppressore da 60 anni di un intero popolo, e che in Libano ha massacrato oltre 1000 esseri umani innocenti, dopo averne massacrati 19.000 in identiche circostanze nel 1982 e molti altri nel 1978. Uri Grossman era una pedina di una impresa criminale, ma venne commemorato su tutti i media italiani, e ancora lo è sul sito dei nostri ‘intellettuali colombe’.
Dove sono le commemorazioni della montagna di Abdel, Baher, Fuad, Adnan, la cui vita spezzata a due anni, a tredici anni, a trent’anni, e senza aver mai indossato la divisa di un esercito criminale di guerra, ha lasciato il medesimo strazio e il medesimo buio di vivere di “papà, mamma, Yonatan e Ruti” Grossman? Dove sono? Dove?
“Far capire”… “malauguratamente è l’unico modo”. Queste parole, Abrham B. Yehoshua, questi ‘intellettuali’ traditori, la difesa del sionismo e delle condotte militari di Israele dal 1948, sono un insulto a sei milioni di martiri ebrei dell’Olocausto nazista. Lo scrivo, lo dico e mi chiamo Paolo Barnard.
http://www.paolobarnard.info/intervento_mostra_go.php?id=93
@ Pino
L’ avevo indicato alla fine del testo:
guardian.co.uk
(basta aggiungere le tre w davanti)
e il link in italiano era nel testo:
http://www.comedonchisciotte.org
/site/modules.php?name=News&file=article&sid=5493
Per qualche motivo, non mi passano i post in cui ci sia piu’ di un sito, percio’ uso qualche accorgimento.
@ Pino
Ed ecco il link per lo stesso articolo in inglese:
http://www.guardian.co.uk/commentisfree/cifamerica/2009/jan/13/us-media-israel-gaza
GIULIETTO CHIESA
Megachip
Scrive Gad Lerner su Repubblica: “ecco perchè non possiamo tollerare come un dettaglio marginale (…) il rituale della preghiera islamica posto a sigillo delle manifestazioni indette con finalità di protesta politica”.
Pregano. Cos’altro potrebbero fare? E dovrebbero anche nascondersi, per farlo? Pregano perchè l’ingiustizia e la violenza cui sono soggetti non ha redenzione in questo nostro mondo dove la giustizia e la verità sono state cancellate. Pregano e dovremmo ringraziare il nostro dio finchè si limiteranno a pregare. Pregano perchè non c’è redenzione per le loro sofferenze. Pregano perchè non c’è via d’uscita quando il più forte t’impone la sua bugia, e se ti ribelli ti uccide. E non ti lascia nemmeno la possibilità di gridare il tuo dolore perchè, se ti lamenti, sei antisemita. E dunque non ti resta che invocare il tuo dio. Appena prima di meditare la vendetta.
Non gli resta che Allah.
A questo li abbiamo ridotti, Lerner, e tu ne porti una parte di responsabilità, per le cose che scrivi.
Ieri, alla manifestazione, c’era un giovane che gridava soltanto una cosa: “Palestina, terra mia”, e piangeva. Non l’ha intervistato nessuno, ma il suo pianto mi è rimasto nelle orecchie. Non c’è tribunale, in occidente, che gliela ridarà, la sua Palestina.
Lucia Annunziata ad Anno Zero:
“ma qui siamo italiani e dobbiamo orientare il pensiero degli italiani”.
Voce dal sen fuggita. Vale di più questa ammissione che tutto il resto dello spettacolo. Questo è il giornalismo italiano e la Annunziata, che vi ha fatto abbondante carriera (ed è certo che continuerà a farcela), ne è la bandiera.
Informare? Che c’entra?, avrebbe detto Goebbels.
Bisogna orientarle le masse.
Viene in mente un aforisma di Hans Magnum Enzensberger: “Ai tempi del fascismo non sapevamo di vivere ai tempi del fascismo”.
Gaza è il nostro tempo, e noi non siamo capaci di dircelo.
Giulietto Chiesa
http://www.megachip.info/modules.php?name=Sections&op=viewarticle&artid=8561
Ricevo e volentieri posto:
http://zinternational.zcommunications.org/Italy/gordon-hamasnoneilpunto.htm
La scusa Hamas
Hamas non è il vero punto in discussione in Palestina.
Neve Gordon
L’esperienza a Gaza, in altre parole, non è una questione legata al bombardamento di cittadini israeliani o ai continui sforzi fatti da Israele per destabilizzare Hamas. E’ semplicemente una misura draconiana mirata a negare ai palestinesi i loro più fondamentali diritti all’autodeterminazione. Un tentativo di mostrare chi ha il controllo, tentando di abbattere il morale in modo da abbassare le aspettative dei palestinesi facendo accettare loro le pretese israeliane.
L’esperienza della carestia è cominciata il 18 Gennaio 2008. Israele ha chiuso ermeticamente tutti i confini di Gaza impedendo anche l’arrivo di medicine, cibo e carburante. I tagli alla corrente, frequenti negli ultimi mesi, sono stati estesi alla durata di 12 ore al giorno. A causa della carenza di elettricità almeno il 40% dei cittadini di Gaza non ha avuto accesso ad acqua corrente (che viene distribuita grazie a delle pompe elettriche) per diversi giorni ed il sistema fognario si è bloccato. Quanto non viene gestito dalle fogne finisce, al ritmo giornaliero di 30 milioni di litri, in mare. Gli ospedali sono stati costretti ad appoggiarsi ai generatori di emergenza, tagliando ulteriormente, una volta ancora, i limitati servizi offerti alla popolazione palestinese. Il World Food Programme ha riferito di una critica carenza di cibo e del fatto non è possibile recapitare ai 10000 cittadini più poveri di Gaza parte degli alimenti che normalmente ricevono.
Dopo cinque giorni di estrema sofferenza un gruppo di militanti di Hamas ha preso l’iniziativa ed ha fatto saltare alcune parti del muro d’acciaio lungo il confine egiziano. In poche ore oltre 100.000 persone si sono riversate in Egitto. Erano affamate, assetate e stanche di essere imprigionate in una sudicia gabbia. Una volta in Egitto hanno comprato qualunque cosa potessero portarsi via ed hanno atteso pazientemente l’intervento della comunità internazionale. I leader mondiali però li hanno delusi e dopo 5 giorni, il 28 Gennaio, il muro è stato ricostruito e i palestinesi sono stati nuovamente rinchiusi nella più grande prigione al mondo: la Striscia di Gaza.
Ehud Barak, il ministro della difesa israeliano, non ha tentennato quando si è dovuto giustificare per un simile atto. Non ha mostrato alcun rimorso nel mettere in atto una politica che storicamente solo i leader più brutali hanno praticato.
Le sue affermazioni appaiono razionali. Barak afferma che nessun governo al mondo tollererebbe i persistenti bombardamenti dei propri cittadini, bombardamenti provenienti da zone oltre confine. Poiché altre misure, come le dure sanzioni economiche, gli omicidi mirati, i puntuali attacchi israeliani nelle zone nord della Striscia, i bombardamenti di molte infrastrutture fondamentali come centrali elettriche ed uffici del governo palestinese, poiché tutto questo non è servito Israele non ha avuto altra scelta.
Questo argomento apparentemente razionale omette convenientemente di rammentare che dalla sua democratica vittoria elettorale nel 2006 Hamas ha proposto diversi accordi per un “cessate il fuoco”, l’ultimo dei quali solo la settimana scorsa. In queste offerte Hamas acconsentiva ad interrompere il lancio di missili contro cittadini israeliani in cambio della fine delle incursioni israeliane dentro Gaza, della rimozione del blocco economico e della cessazione di omicidi mirati di militanti e leader politici.
Le proposte di Hamas evidenziano due importanti questioni. Primo: nonostante quanto venga affermato da Barak l’uso della forza non è la sola opzione restante per Israele. Il governo potrebbe aprire un dialogo con Hamas basandolo su un accordo di “cessate il fuoco”. Secondo: viene enfatizzato il fatto, come fa giustamente notare Uri Avnery, che Israele utilizza cinicamente gli attacchi ai propri cittadini come pretesto per cercare di rovesciare il regime di Hamas a Gaza e per prevenire un possibile successo di Hamas nella Cisgiordania.
Negli ultimi tempi, però, anche il coraggioso Avnery manca di notare quello che è il principale obbiettivo di Israele. La questione centrale non è “Hamas si, Hamas no” ma piuttosto la sovranità dei palestinesi. Questa recente crisi mostra, una volta di più, che il ritiro unilaterale da Gaza nell’Agosto del 2005 non è stato un atto di decolonizzazione quanto piuttosto una scelta di riorganizzazione della potenza israeliana ed implementazione di regole neo-coloniali. Israele ha compreso che per mantenere la sovranità avrebbe solo dovuto mantenere il monopolio sulla libertà di movimento. Questo ritiro è molto diverso rispetto a quello delle forze inglesi dalle proprie colonie. In questo caso infatti viene mantenuto il controllo sul confine trasformando la Striscia di Gaza in un container dove le entrate sono totalmente controllate da Israele.
L’esperienza a Gaza, in altre parole, non è una questione legata al bombardamento di cittadini israeliani o ai continui sforzi fatti da Israele per destabilizzare Hamas. E’ semplicemente una misura draconiana mirata a negare ai palestinesi i loro più fondamentali diritti all’autodeterminazione. Un tentativo di mostrare chi ha il controllo, tentando di abbattere il morale in modo da abbassare le aspettative dei palestinesi facendo accettare loro le pretese israeliane. I palestinesi lo hanno compreso e coraggiosamente hanno distrutto le mura della propria prigione invocando a gran voce il sostegno internazionale. Al posto però dell’attesa indignazione la sola risposta che hanno avuto è stato un debole eco delle proprie lamentele.
Ecco l’articolo al quale fa riferimento Giulietto Chiesa:
IL SOR MICHELE E LA SORA LUCIA
Link: http://www.alessandrorobecchi.it/index.php/200901/voi-siete-qui-il-sor-michele-e-la-sora-lucia/
NOAM CHOMSKY
C’e’ un tema che si rifa’ alle origini del Sionismo.
E’ u tema molto razionale: “Posponiamo i negoziati e la diplomazia il piu’ a lungo possibile, e nel frattempo, costruiamo i fatti sul terreno”.
Cosi’, Israele crea le basi per un eventuale accordo da ratificare, ma piu’ a lungo lo pospongono, piu’ favorevole sara’ quell’accordo per i loro propositi. Quei propositi sono essenziali per accaparrarsi tutto cio’ che c’e’ di valore nell’-ex Palestina e per rovinare tutto quel che resta alla popolazione indigena.
Penso che uno dei motivi per il forte sostegno degli Stati Uniti sia nel fatto che tutto cio’ ricorda molto la storia americana. Come sono nati gli Stati Uniti? I temi sono simili.
tutto l’articolo su
http://www.informationclearinghouse.info/article21788.htm
The Torah Position on the Current Conflict in Gaza
Jan 4, 2009
Once again, we find ourselves reading horrifying headlines regarding the unrest in the Middle East. In one long chain of tragedies and civilian bloodshed, residential neighborhoods have been transformed into war zones, the daily lives of civilians distorted by ever-present shadows of terror and fright.
Our readers have long been familiar with the Torah position; let us re-announce it boldly and clearly:
The Zionist ideology is antithetical to the Torah. Zionism was deviously designed to replace the Torah and its holy, God-given commandments with nationalistic, power-driven ideals that are devoid of holiness, godliness, or spirituality.
God-fearing Jews believe that the ultimate Redemption of the Jewish Nation will come about only through the Hands of God, and that at the time of the Redemption, peace will reign in the entire world. Any other type of forced redemption is but a sinful transgression, condemned by God and His Holy Torah.
What more proof does one need than the fact that for centuries, Jews have lived peacefully in Arabic countries, enjoying the respect and friendship of their neighbors? The tragedy of Zionism changed all of that. The painful truth is that in the eyes of the Zionist government, Jews are merely the cannon-fodder needed for the State of Israel to achieve its agenda.
Obviously, the State of Israel has absolutely no connection with either Jews or Judaism. Furthermore, Torah-true Jews did not participate in the founding of the State, and for decades, we have announced our disapproval and disassociation from the State of Israel at every opportunity.
“The following explanation clarifies this issue beautifully: Would the Jews be held responsible in a conflict between North Korea and South Korea? Obviously not! In the same way, Jews should not be held responsible for the Zionists conflicts with their neighbors. The State of Israel has as much to do with Jews and Judaism as does New Zealand or Zimbabwe,” said Rabbi Hersh Lowenthal.
May it be clear to every nation, to every person in the entire world: JEWS ARE NOT ZIONISTS!
The Zionists are neither our representatives nor our spokesmen. They have absolutely no right to speak in the name of world Jewry. It is a terrible mistake to confuse Jews with Zionism, or to blame Jews for Zionist actions. We truly wish to live in peace with every nation in the world. We pray for our Jewish brethren as well as for the non-Jews in the Middle East, that they may be saved from danger and peril.
And most of all, we await that great day when G-d’s glory will be revealed in the entire world, and there will be peace for all of humanity. Amen.
Come detto dal defunto generale israeliano Moshe Dayan: ” la dichiarazione dello stato di Israele nel 1948 è stata fatta alle spese della pulizia etnica di 513 villaggi palestinesi, creando più di 700.000 rifugiati palestinesi, espropriando le loro terre, case e negozi per il 78% della Palestina… Non c’è un solo posto costruito in questo paese che non avesse una precedente popolazione (palestinese).”
L’esercito israeliano ha seguito lo stesso metodo di giustiziare i prigionieri di guerra, specialmente durante le guerre tra Israele ed Egitto del 1956 e del 1967. Ciò è stato riferito dal quotidiano israeliano Haaretz il 27 giugno del 2000. Il segretario generale dell’organizzazione egiziana per i diritti umani, Muhammad Munib, ha pubblicato un rapporto che conferma che Israele aveva uccisotra i 7000 e i 15000 prigionieri di guerra egiziani del 1956 e del 1967. Il rapporto identificava anche l’ubicazione di 11 fosse nel Sinai e in Israele in cui erano stati sepolti migliaia di prigionieri egiziani.
Il più grande di questi massacri fu quello di El-Arish, in cui le forze israeliane uccisero almeno 150 prigionieri di guerra egiziani. Alcuni dei prigionieri furono investiti più volte dai carri armati israeliani, un crimine che è ancora praticato dall’esercito israeliano specialmente nella striscia di Gaza. La storia del massacro fu inizialmente riferita da testimoni oculari israeliani sul quotidiano Yediot Ahronot e successivamente dal giornalista Ran Adelist sulla tv israeliana. Fu anche riportato dallo Washington Report di maggio/giugno 1996 alle pagine 27 e 28. Il massacro fu anche registrato dalla nave di pattuglia americana USS Liberty che navigava a 12 miglia dalla costa di Gaza. Questo massacro era un grave crimine di guerra e potrebbe essere stata la principale ragione per l’attacco israeliano contro la Liberty.
Peggio dei nazisti l’esercito israeliano ha adottato la politica di colpire giovani bambini palestinesi nel tentativo di “incoraggiare” le famiglie palestinesi a lasciare il paese per garantire un futuro ai figli e/o per esaurire le loro risorse economiche con le cure e l’assistenza ai loro figli feriti e disabili, vittime dei cecchini israeliani. Dall’inizio della seconda intifada palestinese, settembre 2000, le forze israeliane hanno assassinato 1050 bambini nella striscia di Gaza e in Cisgiordania; vedete anche il Guardian del 21 ottobre 2008 e Al-Jazeera, 22 ottobre 2008. Un documentato rapporto del Palestinian Centre for Human Rights, con testimonianze oculari, riferisce che almeno 68 bambini sono stati uccisi dall’esercito israeliano durante 12 mesi dal giugno 2007 al giugno 2008 prima dell’accordo di tregua. Il numero delle vittime tra i bambini è salito drammaticamente durante i primi sei mesi del 2008 con il massiccio assalto dell’esercito israeliano contro la striscia di Gaza denominato “Operation Winter Heat”. I bambini venivano direttamente presi di mira dai cecchini israeliani mentre camminavano per le strade, mentre stavano di fronte alle loro case e persino mentre stavano nelle aule di scuola, così come sono stati colpiti da missili comandati a distanza mentre giocavano nei cortili. Essi sono anche le vittime indirette del deliberato prendere di mira da parte di Israele di aree residenziali densamente popolate (Gaza è densamente popolata) che comprendono scuole, ospedali e mercati.
L’età media dei bambini colpiti è di 10 anni secondo un documento di 1000 pagine di Save the Children. La maggioranza di questi bambini erano innocenti passanti che non partecipavano ad alcuna attività “ostile” e che non costituivano alcuna minaccia ai soldati israeliani pesantemente armati. Nell’80% dei casi di bambini colpiti, Israele ha impedito che le vittime ricevessero cure mediche. Il rapporto documenta anche che più di 50.000 vittime minorenni hanno avuto bisogno di cure mediche per ferite che comprendono colpi di arma da fuoco, inalazione di gas lacrimogeni e fratture multiple. Un bollettino intitolato ” omicidio deliberato” pubblicato nel 1989 dalla Israeli League for Human and Civil Rights riferiva che soldati e cecchini israeliani, provenienti da unità speciali e che prendevano di mira bambini palestinesi avevano “accuratamente scelto” le vittime, che furono colpiti alla testa o al cuore morendo istantaneamente (Mike Berry & Greg Philo, ‘Israel and Palestine-Competing Histories’, Pluto Press, London, 2006, pp. 86-87).
Secondo la quarta convenzione di Ginevra del 1949, secondo la Convenzione Onu sui Diritti del Bambino del 1989 (firmate da Israele) ai bambini deve essere fornita speciale protezione durante i conflitti armati internazionali. Israele ha violato e continua violare queste leggi internazionali.
Come la Germania nazista, che ha sviluppato e utilizzato ogni tipo di nuova arma compresi i razzi V2 e il gas nervino, Israele ha utilizzato ogni tipo di armi, comprese armi nuove e sperimentali, contro i civili palestinesi. Queste comprendevano i proiettili esplosivi Dumdum, il gas nervino, armi sperimentali chimiche e biologiche, velivoli comandati a distanza e DIME (Dense Inert Metal Explosive, esplosivi a metalli inerti e densi) e le ultime mitragliatrici ad alta potenza e controllo remoto (”seer shots”, vedi filmato sotto n.d.t.) installate sulle alte torri del muro di prigionia (”muro di separazione”) e gestite da soldatesse adolescenti in lontane stanze di controllo come se fossero giochi di guerra al computer. Israele è anche noto per possedere armi nucleari ed è solita suggerire che la userebbe se/quando si sentisse minacciato.
Moshe Feiglin, che ha raggiunto una rispettabile posizione nella lista di candidati del Likud alla Knesset per le prossime elezioni, è un ammiratore di Hitler e della sua ideologia superiore. In un’intervista col quotidiano Ha’aretz nel 1995 e gli ha descritto Hitler come un genio militare e un grande costruttore della nazione. “Hitler era un genio militare senza pari. Il nazismo aveva trasformato la Germania da un basso ad un fantastico status fisico e ideologico. La gioventù stracciona si trasformò in una parte pulita e ordinata della società e la Germania ricevette un regime esemplare, un sistema di giustizia appropriato e un ordine pubblico…. Non era un branco di delinquenti. Essi semplicemente utilizzarono delinquenti e omosessuali”. La sua soluzione da olocausto al problema palestinese, secondo il suo sito Manhigut ha’Yehudit (” leadership ebraica”), è di ordinare “la completa interruzione di acqua, elettricità e comunicazioni” ai 4 milioni di palestinesi in Cisgiordania e a Gaza.
Tali tendenze genocide sono nutrite, incoraggiate e richieste dei maggiori rabbini e leader politici israeliani. Rabbi Yousef Obadia, il maggiore leader religioso israeliano, Rabbi Yisrael Rosen, direttore dello Tsomet Institute, Rabbi Mordechai Eliyahu, la maggiore autorità religiosa nella corrente nazionalista religiosa israeliana ed ex capo di “Eastern rabbi for Israel”, Rabbi Dov Lior, presidente del consiglio dei rabbini di Giudea e Samaria (la Cisgiordania), Rabbi Shmuel Eliyahu, il rabbino capo di Safed e candidato al posto di rabbino capo di Israele, Rabbi Eliyahu Kinvinsky, la seconda autorità per anzianità nella corrente religiosa ortodossa, Rabbi Israel Ariel, uno dei più prominenti rabbini nelle colonie della Cisgiordania, e Rabbi Yitzhaq Ginsburg, un importante rabbino israeliano, insieme a molti altri leader religiosi estremisti, chiedono ripetutamente il totale sterminio e il trasferimento dei palestinesi.
Gli israeliani ipnotizzati e fuorviati, specialmente i fondamentalisti religiosi, attaccano regolarmente le città palestinesi, le loro chiese, moschee e cimiteri con slogan come ” morte agli arabi”, ” gasiamo gli arabi” e ” Maometto è un maiale” occupando la terra palestinese dopo avere cacciato con la forza i proprietari, attaccato i contadini, bruciato i raccolti, tagliato i loro alberi da frutto, avvelenato i loro pozzi d’acqua, ucciso i loro animali, distrutto le proprietà, saccheggiato i negozi, terrorizzato civili e bambini e sparato alla gente. Cercate su YouTube “Israeli settlers violence” e vedrete centinaia di video che mostrano il terrorismo dei coloni israeliani.
http://209.85.129.132/search?q=cache:Oftwh0npwHYJ:www.youtube.com/user/dtolab+Youtube+%E2%80%9CIsraeli+settlers+violence%E2%80%9D&hl=it&ct=clnk&cd=2&gl=it
Gaza, Amnesty accusa Israele
“Israele ha usato fosforo bianco contro i civili di Gaza. Lo denuncia Amnesty International una cui delegazione ha visitato la Striscia. I delegati di Amnesty hanno detto di aver visto ieri per le strade e i vicoli di Gaza City ‘tracce di evidente uso di fosforo bianco’. ”
Vedremo se oggi si potrà considerare “Il giorno della svolta”…naturalmente aspettando Obama(almeno ha vinto le elezioni senza “effetto Florida”)
L.
chiedono ripetutamente il totale sterminio e il trasferimento dei palestinesi (sottoterra).
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Le religioni come arma di distruzione di massa. Altro che fosforo bianco.
La visita del segretario Onu. Ban Ki-moon è arrivato a Gaza intorno a mezzogiorno, ora locale: è il primo leader internazionale a entrare nella Striscia dopo tre settimane di guerra, una visita autorizzata dal premier israeliano Ehud Olmert. Ban è entrato dal valico di confine di Erez insieme ad alcuni rappresentanti della stampa, con l’obiettivo di constatare l’entità dei danni subiti dalla popolazione palestinese.
Il segretario generale delle Nazioni Unite ha voluto in particolare visitare la scuola dell’Unrwa colpita da proiettili israeliani, che hanno provocato una strage. La situazione è “straziante” ha detto, chiedendo che sull’episodio venga aperta un’inchiesta. “E’ stato un attacco indegno e totalmente inaccettabile alle Nazioni Unite”, ha dichiarato Ban. ”Ci deve essere un’inchiesta approfondita – ha proseguito – una spiegazione completa per assicurare che non si ripeta piu. I responsabili devono rendere conto delle loro azioni davanti a un appropriato sistema giudiziario”. Dopo il sopralluogo nella Striscia, Ban Ki-Moon è atteso a Sderot, la città israeliana più bersagliata in questi mesi dai razzi palestinesi.
Intanto la tregua tiene, ma a Gaza si continua a morire: stamane due bambini sono rimasti uccisi in seguito all’esplosione accidentale di materiale abbandonato sul terreno dalle forze israeliane. Oggi, mentre Ban Ki-moon iniziava la sua visita, la tensione è salita quando una pattuglia militare israeliana è stata attaccata da miliziani palestinesi al valico di Kissufim. Poco dopo si è appreso dal campo profughi di Jabalya che un agricoltore era stato ucciso da colpi d’arma da fuoco: non è escluso un legame tra questi due episodi.
M.O.: BAN KI-MOON, PROCESSARE RESPONSABILI BOMBARDAMENTI SCUOLE ONU (ASCA-AFP) – Gaza City, 20 gen – Il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, ha chiesto che i responsabili dei bombardamenti delle scuole e degli edifici gestiti dall’Onu nella Striscia di Gaza durante l’offensiva israeliana rispondano alla giustizia. ”E’ stato un attacco indegno e totalmente inaccettabile alle Nazioni Unite”, ha dichiarato Ban, parlando davanti il principale complesso dell’Onu a Gaza City, bombardato durante la guerra. ”Ci deve essere un’inchiesta approfondita, una spiegazione completa per assicurare che non si ripeta piu’. I responsabili devono rendere conto delle loro azioni davanti a un appropriato sistema giudiziario”, ha aggiunto. mlp/uda 201441 GEN 09 NNNN
GLI EFFETTI DEVASTANTI DI UN RAZZO QASSAM
VIDEO su:
http://www.sunvideos.net/videos.aspx/video~rocket_misses_gas_station/Rocket_Misses_Gas_Station/Extreme_videos/
Davvero molto devastanti, eh?…
GAZA: TIMES; MAHMOUD, 14 ANNI, ACCECATO DA FOSFORO ISRAELE (ANSA) – LONDRA, 20 GEN – L’offensiva di Israele a Gaza e’ finita, ma Mahmoud Mattar, 14 anni, non se n’e’ accorto: e’ semi-incosciente, con ustioni di terzo grado e gli occhi bruciati per sempre in un ospedale del Cairo. A ridurlo cosi’ scrive il Times citando fonti mediche, sono stati i colpi al fosforo bianco – vietati in aree densamente abitate – sparati dagli israeliani a Jabalya, il villaggio di Mahmoud. Il ragazzo, con due amici, andava alla moschea quando sono arrivati i colpi al fosforo, i suoi due amici sono stati uccisi dalle particelle che hanno carbonizzato i loro corpi, senza che nessuno riuscisse a spegnerle. Pezzi della carne dei suoi due compagni gli sono finiti addosso, ancora in fiamme, racconta lo zio, Nahad Mattar, al quotidiano britannico. Israele ha negato di aver usato queste particolari munizioni, affermando di aver usato armi ”nel rispetto delle regole internazionali” (il fosforo puo’ essere usato come schermo fumogeno per le truppe, ma in una zona densamente popolata come Gaza il rischio di vittime e’ altissimo). Ma lo stesso Times, nei giorni scorsi, aveva portato prove fotografiche del loro utilizzo a Gaza, nonche’ le testimonianze di medici che hanno osservato su molti pazienti le particolari ustioni causate dal fosforo. Anche l’Onu ha detto che i suoi edifici sono stati colpiti da proiettili al fosforo, e Amnesty International ha detto di aver raccolto le prove di questo uso. (ANSA). NS 20-GEN-09 16:35 NNN
Mi sorge un dubbio: ma in Israele esistono i manicomi?
Beh, diciamo che di sproloqui se ne sentono in abbondanza anche tra i rappresentanti delle altre religioni.
Evidentemente è proprio la pratica della religione che porta a ragionare in una certa maniera omicida-suicida: cos’è la vita umana per un religioso? E’ un tragico incidente di percorso, un sofferto allontanamento dal Creatore, al quale bisogna ricongiungersi al più presto. Peccato che riguardo al ricongiungimento col Creatore i religiosi si dimostrino particolarmente generosi, preferendo mandarci prima gli altri, specie se di religioni diverse.
GAZA: NAVI USA E EGITTO DANNO CACCIA A CARICO ARMI DA IRAN (ANSA) – GERUSALEMME, 20 GEN – Unita’ navali militari americane e egiziane stanno cercando nel Golfo di Aden una nave iraniana che si sospetta abbia un carico di 60 tonnellate di armi – tra le quali missili Fajr con una gittata di 75 km – destinate a Hamas nella striscia di Gaza, secondo il sito israeliano di intelligence Debka. La nave, secondo le fonti di Debka, e’ partita dal porto di Bandar Abbas il 17 gennaio scorso e ha suscitato i sospetti dopo che satelliti spia occidentali l’hanno vista cambiare il nome da Iran-Hedayat, col quale aveva levato le ancore nel porto iraniano, in quello di Famagustus con registrazione panamense mentre entrava nel mare di Oman. Il comandante della nave, secondo Debka, avrebbe ricevuto dalle Guardie rivoluzionarie iraniane l’ordine di scaricare le armi in un sito usato dai contrabbandieri sulla costa sudorientale della penisola del Sinai, davanti al Golfo di Suez. Una banda di contrabbandieri armati beduini dovrebbe poi trasferire il carico a El Arish, nel nord del Sinai, per poi trasportarlo gradualmente e clandestinamente nella striscia di Gaza. Oltre a 50 missili Fajr, capaci di colpire Tel Aviv, il carico, secondo le fonti di Debka, include razzi pesanti Grad, un gran numero di razzi anticarro e di mine, lanciarazzi piu’ precisi e una grande quantita’ di esplosivi e armi leggere. (ANSA). XRH 20-GEN-09 16:44 NNN
Gaza/ Ong israeliane chiedono apertura inchiesta su offensiva Gaza/ Ong israeliane chiedono apertura inchiesta su offensiva Richiesta formale presentata a procuratore generale Gerusalemme, 20 gen. (Apcom) – Otto organizzazioni non governative israeliane per la difesa dei diritti dell’uomo (tra cui B’tselem, Yesh Din e il Comitato pubblico contro la tortura) hanno chiesto alla procura generale dello Stato ebraico l’apertura di un’inchiesta indipendente sull’offensiva militare condotto da Israele nella Striscia di Gaza. La richiesta formale è stata inoltrata al procuratore Menachem Mazouz, che è anche consigliere giuridico del governo israeliano, “vista la portata dei danni che hanno subìto i civili durante l’operazione ‘piombo fuso'”. Le Ong parlano di un numero “terrificante” di morti fra bambini e donne a causa della “violazione continua delle regole di guerra da parte dell’esercito israeliano, cosa che obbliga Israele ad aprire immediatamente un’indagine indipendente”. Nel loro comunicato le Ong citano cifre fornite dal ministero della Sanità palestinese secondo le quali durante l’offensiva militare israeliana sono state uccise più di 1.300 persone, di cui 410 bambini e un centinaio di donne, più 5.300 persone sono rimaste ferite, di cui 1.855 bambini e 795 donne. (Fonte Afp) Bla 20-GEN-09 16:03 NNNN