Onore ai giornalisti come l’israeliano Gideon Levy! Anziché il volgare provincialismo degli scontri Santoro-Annunziata, a quando anche in Italia un dibattito in tv come quello andato in onda negli Usa e che posto oggi interamente tradotto nel blog?
Mentre da noi infuria il provincialismo dello scontro Santoro/Annunziata a causa dell’ultima puntata di Anno Zero ritenuta da molti troppo a favore dei palestinesi, come se essere contro le mattanze ” a prescindere” sia vietato, su Facebook un gruppetto di miei colleghi ha lanciato l’idea del Premio Nobel per la Pace al giornalista israeliano Gideon Levy, che ha scelto da tempo di vivere a Gaza. Proposta chiaramente impossibile, che mi è stato addirittura chiesto di patrocinare (!), ma che vale la pena rendere nota anche per tacitare i troppi imbecilli e disonesti di casa nostra. Queste le motivazioni:
“Gideon Levy è’ il giornalista israeliano di Haaretz che da anni incarna l’anima più illuminata del suo popolo. Una vera colomba della pace che con le sue lucide analisi e i suoi coraggiosi commenti ha finito per diventare una spina nel fianco dei falchi che si sono succeduti al governo. La sua voce rappresenta la vera coscienza – non solo quella critica – di una nazione che ha subito inique persecuzioni ed atroci sofferenze, ma che oggi rischia di trasformarsi nel carnefice di un popolo con il quale è destinato invece ineluttabilmente a convivere.
Anche stavolta, in occasione della guerra ad Hamas, di fronte al terribile massacro degli inermi abitanti della Striscia di Gaza, la voce di Gideon Levy sembra essere l’ultimo baluardo della ragione contro il cieco furore dei suoi governanti. In poco più di 15 giorni sono rimasti sul campo mille palestinesi, di cui la maggior parte civili: donne, anziani e bambini (più di 300). Uno spargimento di sangue caratterizzato da veri e propri episodi criminali (come quello di Zeitun, con i 110 civili ammassati in un edificio poi bombardato; o la scuola con le insegne Onu presa a cannonate, provocando 40 morti, tutti civili) che rischia solo di alimentare vendette: altro odio, altra violenza, altri morti. Rafforzando, invece di indebolire, il terrorismo.
Gideon Levy non ha esitato a puntare il dito contro i responsabili – Ehud Olmert, Tzipi Livni ed Ehud Barak (“due di loro candidati a primo ministro; il terzo al un processo per crimini di guerra”) – con parole pesanti come pietre che nessun giornalista occidentale (e tanto meno italiano) avrebbe mai osato pronunciare: “Se continueremo così – ha scritto sulle colonne di Haaretz – prima o poi a L’Aia (sede del Tribunale internazionale per i crimini di guerra, ndr) sarà creata una nuova corte speciale”.
Tutto ciò gli sta ovviamente procurando minacce ed insulti da parte dei più fanatici. Ma lui non sembra curarsene: “Uno spirito malvagio è calato sulla nazione. Questo non è il mio patriottismo. Il mio patriottismo è criticare, fare domande le fondamentali. Questo non è solo il momento dell’uniforme e della fanfare, ma dell’umanità e della compassione”.
Mi chiedo quando in Italia, dove si annega nel bicchier d’acqua versato in modo molto prepotente da Lucia Annunziata, potremo vedere un dibattito televisivo come quello andato in onda negli Usa, che con buona pace delle Lucie Annunziate spazza via una serie di luoghi comuni e di consolidate bugie e che è stato tradotto per noi dal lettore che si firma Vox e che ringrazio per la disponibilità:
“Ex-ambasciatore Martin Indyk contro Norman Finkelstein.
Un dibattito sull’assalto a Gaza da parte di Israele e sul ruolo degli USA nel conflitto. L’attacco di Israele contro Gaza e’ al tredicesimo giorno [ormai 23-mo – N.d.T.]. Circa 700 palestinesi sono stati uccisi [oggi oltre 1200 – N.d.T.], alcune migliaia sono rimaste ferite e la crisi umanitaria si ingigantisce. Intanto, sono morti 10 israeliani, di cui 4 colpiti da fuoco amico. Un cessate il fuoco non e’ ancora stato raggiunto e l’offensiva continua.
Oggi ospitiamo un dibattito tra Martin Indyk, ex ambasciatore degli USA in Israele e Assistente del Segretario di Stato per gli Affari del Medioriente durante la presidenza Clinton, direttore del Centro Saban per le Politiche del Medioriente presso l’Istituto Brookings e autore di Gli Innocenti all’Estero: Un rapporto approfondito sulla diplomazia americana della pace nel Medioriente, e Norman Finkelstein autore di numerosi libri, incluso L’Industria dell’Olocausto, Immagine e realta’ del conflitto israeliano-palestinese, e Al di la’ di Chutzpah.
JUAN GONZALEZ: Decine di migliaia di palestinesi hanno dovuto fuggire dalle loro case nella citta’ di Rafah, mentre Israele intensifica l’assalto alla Striscia di Gaza. I palestinesi hanno raccontato degli attacchi aerei israeliani che hanno colpito abitazioni, moschee e tunnel della zona. L’Agenzia France-Presse ha citato le parole dei testimoni, secondo i quali dozzine di carri armati israeliani sono entrate nel sud di Gaza, dirigendosi verso Rafah. Sono stati anche confermati i violenti scontri tra i combattenti palestinesi e i soldati israeliani attorno Khan Yunis. L’ONU ha riferito che le forze israeliane hanno sparato contro uno dei suoi convogli umanitari. Al Jazeera riporta che almeno un palestinese e’ stato ucciso e altri due feriti durante questo attacco. Intanto, Israele ha continuato a bombardare Gaza, compiendo 60 attacchi aerei in una notte. Gli abitanti l’hanno descritto come uno dei bombardamenti piu’ pesanti da quando e’ cominciata l’offensiva.
Al Jazeera comunica che almeno 700 [oggi oltre 1200] palestinesi, di cui 219 bambini [oggi oltre 450] sono morti a Gaza dall’ inizio dell’aggressione, ovvero dal 27 dicembre 2008. Oltre 3000 persone [attualmente oltre 4000] sono rimaste ferite. Intanto, 10 israeliani sono morti nello stesso lasso di tempo, di cui 7 militari. Quattro di loro uccisi dal cosi’ detto fuoco amico.
Sul fronte diplomatico, continuano gli sforzi per assicurare un armistizio a Gaza, con rappresentanti ufficiali di Israele che andranno al Cairo per ascoltare i dettagli di un piano di tregua messo a punto da Egitto e Francia. Mercoledi’, Israele ha detto che accetta in linea di principio la proposta, ma vuole studiare il piano. Una delegazione di Hamas e’ attesa al Cairo per colloqui paralleli.
Il leader palestinese Mahmoud Abbas e’ atteso per venerdi’. Nel frattempo, il consiglio di sicurezza dell’ONU sembra in un vicolo cieco sulla crisi. I paesi arabi vogliono un Concilio che voti una risoluzione per mettere fine all’attacco, mentre la Gran Bretagna, la Francia e gli USA spingono per una dichiarazione piu’ blanda, approvando la proposta franco-egiziana.
AMY GOODMAN: Ora passiamo al ruolo degli Usa nel conflitto e alle prospettive della nuova amministrazione di Obama. Martin Indyk e’ un consigliere di Hillary Clinton, la quale e’ stata invitata a diventare Segretario di Stato di Obama ed e’ un potenziale inviato speciale nel Medioriente. Martin Indyk e’ in collegamento con noi da Washington, D.C. Siamo anche in collegamento con Norman Finkelstein qui a New York, uno dei leader fra i critici della politica estera israeliana e autore di molti libri. Ci rivolgeremo per primo all’ambasciatore Indyk.
Potrebbe spiegarci la sua opinione sul perche’ Israele abbia iniziato questo attacco?
MARTIN INDYK: Buon giorno, Amy. Mille grazie per avermi invitato a partecipare a questo show. Mi sento un po’ in trincea, qui, perche’ non mi era stato detto che ci sarebbe stato un dibattito con Norman Finkelstein. Non sono interessato a farlo. Inoltre, non sono un portavoce di Israele. Tuttavia, cerchero’ di rispondere alle domande come meglio posso.
Penso che quel che e’ avvenuto sia questo: c’era una tregua informale tra Hamas e Israele che e’ stata mantenuta per circa 5 mesi. Poi Hamas ha deciso di rompere la tregua sparando una lunga serie di razzi su civili israeliani nel sud di Israele. E il governo israeliano ha risposto con una forza intesa, come hanno detto, a ristabilire la deterrenza e a prevenire Hamas dal farlo ancora, e anche per far smettere Hamas di contrabbandare armi a Gaza.
AMY GOODMAN: Norman Finkelstein, qual e’ la sua opinione sull’attacco di Israele?
NORMAN FINKELSTEIN: Be’, la situazione mi sembra molto chiara. La risposta si puo’ trovare sul sito israeliano, il website del Ministero degli Esteri. Mr. Indyk e’ stato corretto circa il fatto che Hamas abbia aderito alla tregua dal 17 giugno al 4 novembre 2008. Ma e’ dal 4 novembre in poi che il signor Indyk, secondo me, se ne va per la tangente. Il rapporto e’ chiaro: Israele ha rotto la tregua entrando a Gaza e uccidendo 6 o 7 combattenti palestinesi. A questo punto – e sto citando il website ufficiale di Israele – Hamas ha reagito all’attacco israeliano, lanciando dei missili.
Ora, per quanto riguarda il motivo, anche questo e’ chiaramente espresso dal rapporto. Secondo Haaretz, il ministro della Difesa Ehud Barak ha incominciato i suoi piani di invasione ben prima che sia addirittura cominciata la tregua.
Infatti, secondo l’Haaretz di ieri, questi progetti di invasione sono nati a Marzo [2008]. E la motivazione principale dell’invasione penso sia duplice. Primo: come anche il signor Indyk osserva correttamente, per sottolineare quel che Israele chiama “capacita’ di deterrenza”, che in parole povere rappresenta la capacita’ di Israele di terrorizzare la regione e costringerla alla sottomissione. In seguito alla sconfitta nel luglio 2006 in Libano, [Israele] ha sentito la necessita’ di passare il messaggio che Israele e’ ancora una potenza combattente, ancora in grado di terrorizzare coloro che osano sfidarne la parola.
La seconda ragione principale dell’attacco e’ che Hamas stava dando segnali di volere una risoluzione diplomatica del conflitto in base ai confini del giugno 1967. Cioe’ Hamas si era unita al consensus internazionale, alla maggioranza della comunita’ internazionale, cercando una risoluzione diplomatica. A questo punto, Israele e’ stata messa di fronte a quel che gli israeliani chiamano “un’offensiva plestinese pacifica”. Per sconfiggere questa offensiva pacifica, hanno deciso di smantellare Hamas.
JUAN GONZALEZ: Vorrei rivolgermi all’ambasciatore Indyk. Questo ritornello che i sostenitori di Israele ripetono, che Hamas voglia la distruzione di Israele. Secondo lei, nell’ultimo anno c’e’ stato un cambiamento nella posizione dei leader di Hamas?
MARTIN INDYK: No, non credo che ci siano prove di questo. Hamas e’ molto chiara sul fatto che non vuole la pace con Israele e non riconoscera’ Israele. La sua intenzione e’ di distruggere lo stato ebraico, e che e’ un abominio nel cuore della terra araba, del mondo islamico e cosi’ via. Insomma, non vedo alcun cambiamento. Penso che il solo cambiamento sia sul territorio. Hamas, avendo vinto le elezioni (e non abbiamo bisogno di addentrarci nei dettagli) come risultato di una gara tra Hamas e Fatah su chi sia il leader, Hamas ha preso il controllo di Gaza con la forza, in effetti con un colpo di stato contro l’Autorita’ Palestinese. Cosi’, e’ passata da organizzazione terroristica a governo terrorista, responsabile del controllo del territorio di Gaza e responsabile delle necessita’ di un milione e mezzo di palestinesi. Tra l’altro questo e’ stato un cambiamento contestato all’interno di Hamas. La leadership esterna di Hamas, che ha sede a Damasco ed ha a capo Khaled Meshal, era contraria all’idea di prendere il controllo di Gaza, proprio perche’ non voleva la responsabilita’ dei bisogni degli abitanti di Gaza. Ma i militanti di Hamas hanno deciso di prendere Fatah e sbatterla fuori.
Di conseguenza, Hamas si e’ ritrovata ad affrontare un dilemma. Dovendo governare Gaza, col tempo avrebbe dovuto moderare le proprie posizioni. Nel contesto degli sforzi diplomatici per una tregua, ora devono o continuare ad attaccare Israele da Gaza e quindi non accetteranno alcuna condizione proposta da Israele per fermare il contrabbando di armi, oppure devono concentrarsi sui bisogni della loro gente.
A tale scopo, vorranno l’apertura dei passaggi, affinche’ la gente possa entrare e uscire da Gaza. In altre parole, dovranno fare una scelta: se vogliono usare questa tregua e continuare quel che loro chiamano resistenza, ma che noi recepiamo come violenza e terrorismo contro i nostri civili, oppure se concentrarsi sulle responsabilita’ per Gaza. E questo dilemma, come ho detto, potrebbe portarli a moderarsi, ma per adesso non ne vedo ancora traccia.
AMY GOODMAN: Norman Finkelstein?
NORMAN FINKELSTEIN: Io credo che il problema della presentazione del signor Indyk sia il costante rivoltare cause ed effetti. Poco fa ha detto che e’ stata Hamas a rompere la tregua, sebbene sappia benissimo che e’ stata invece Israele a romperla il 4 novembre. Ora rivolta causa ed effetto su come si sia creato l’impasse. Nel gennaio del 2006, come egli stesso scrive nel suo libro, Hamas e’ arrivata al potere durante libere elezioni. Ora, pero’, sostiene di aver scritto che Hamas sia arrivata al potere grazie a un colpo di stato per eliminare l’Autorita’ Palestinese. Io sono certo che il signor Indyk sappia bene, come e’ stato documentato nel numero di aprile 2008 di Vanity Fair dallo scrittore David Rose in base a documenti interni USA, che erano proprio gli Usa, assieme all’ Autorita’ Palestinese, a voler fare un putsch contro Hamas, la quale e’ riuscita ad evitarlo. Questo non e’ un punto controverso, e’ un fatto.
Ora il signor Indyk ci dice che Hamas e’ riluttante o poco chiara sul fatto di voler o meno governare Gaza. Ma la questione non e’ se voglia o non governare. La questione e’: potra’ governare a Gaza se Israele continua a mantenere l’embargo e rende impossibile ogni attivita’ economica tra i palestinesi? Tra l’altro, l’embargo era stato messo in atto ben prima che Hamas andasse al potere. L’embargo non ha niente a che fare con Hamas. L’embargo e’ arrivato quando degli americani, in particolare James Wolfensohn, erano stati mandati la’ per cercare di romperlo, dopo che che Israele aveva rimesso le proprie truppe a Gaza. [un passaggio poco chiaro nell’originale – N.d.t.]
AMY GOODMAN: L’ex presidente della Banca Mondiale [James Wolfensohn]?
NORMAN FINKELSTEIN: Esatto. Tutto il problema sta nel fatto che Israele non vuole che Gaza si sviluppi e non vuole risolvere il conflitto diplomaticamente. Il signor Indyk sa benissimo che entrambe le leadership di Damasco e di Gaza hanno ripetutamente annunciato di desiderare la risoluzione del conflitto in base ai confini del giugno 1967. La cosa e’ ben documentata. E’chiara senza alcuna ambiguita’. Ogni anno, l’Assemblea Generale dell’ONU vota una risoluzione per una soluzione pacifica della questione palestinese. E ogni anno il voto e’ lo stesso: tutto il mondo da una parte, e Israele/Usa/Australia e qualche atollo dei Mari del Sud dall’altra. Il voto nel 2008 e’ stato 164 a 7. Nel 1989, il voto era 151 a 3. Ogni anno abbiamo tutto il mondo da una parte e Usa/Israele/Rep. Dominicana dall’altra. Abbiamo la Lega Araba, 22 membri, a favore della soluzione dei due stati in base ai confini del giugno 1967. Abbiamo l’Autorita’ Palestinese a favore della soluzione dei due stati in base ai confini del giugno 1967. Adesso abbiamo anche Hamas a favore della soluzione dei due stati in base ai confini del giugno 1967.
Ma l’unico e solo ostacolo e’ Israele, sostenuta dagli Usa. Questo e’ il problema.
AMY GOODMAN: Dunque, ambasciatore Indyk, perche’ Israele non accetta questa tregua?
MARTIN INDYK: Guardi, Amy, io ero stato invitato qui per parlare del mio libro e della situazione a Gaza. Non a un dibattito con Norman Finkelstein, e non sono preparato a questo. Percio’ se lei vuole parlare della situazione, sono lieto di farlo, ma non sono qui come rappresentante del governo israeliano. Puo’ facilmente invitare qualcun altro a…
AMY GOODMAN: No, certo che no. Ma noi le chiediamo la sua opinione. Io non gliela chiedo come a un rappresentante di Israele. Chiedo solo la sua personale opinione.
MARTIN INDYK: Be’, perche’ non ci concentriamo su qualche altro aspetto, come il ruolo dell’America, o qualcosa del genere?
AMY GOODMAN: Molto bene.
MARTIN INDYK: Usciamo da questo ridicolo dibattito, in cui lui fa solo propaganda per Hamas.
AMY GOODMAN: Mi permetta di farle ascoltare l’attuale Segretario di Stato Condoleezza Rice, quel che ha detto l’altro giorno all’ONU a proprosito del raggiungimento di un accordo sulla tregua. Mi permetta di mostrarle questo video:
CONDOLEEZZA RICE: Centinaia di migliaia di israeliani sono vissuti ogni giorno sotto il tiro dei missili e francamente nessun paese, nessuno dei nostri paesi, sarebbe disposto a tollerare circostanze del genere. Inoltre, la popolazione di Gaza ha dovuto assistere alla diminuzione della sicurezza e all’aumento di mancanza di legge, al peggiorare delle loro confizioni di vita a causa di Hamas, che ha iniziato con un colpo di stato illegale contro l’Autorita’ Palestinese. Una tregua che ritorni a quelle circostanze e’ inaccettabile e non durerebbe. Dobbiamo urgentemente convenire su una tregua che possa durare e possa portare reale sicurezza.
AMY GOODMAN: Ambasciatore Indyk, quale sarebbe la sua risposta al segretario di Stato? Lei sara’ consigliere del nuovo Segretario, Hillary Clinton. Pensa che l’amministrazione Obama debba spingere per una tregua subito?
MARTIN INDYK: Mi permetta di fare un’altra precisazione prima di rispondere. Io ero consigliere di Hillary Clinton durante la sua campagna per la presidenza, ma al momento non sono ancora suo consulente e nulla di quel che posso dire qui dev’essere preso come il suo punto di vista.
Io credo che sia essenziale ottenere un cessate il fuoco al piu’ presto possibile. Penso che si stiano facendo molti sforzi, come si e’ gia’ descritto. Spero che questo possa avvenire prima che il neo-eletto presidente Obama occupi lo Studio Ovale tra [pochi giorni] e che il nuovo Segretario di Stato Hillary Clinton prenda il suo incarico.
Se cosi’ non dovesse avvenire, essi dovranno lavorare in modo molto efficiente per raggiungere l’obiettivo al piu’ presto, non solo per cercare di spingere verso una soluzione al conflitto israeliano-palestinese, ma secondo me anche per creare un nuovo contesto per una nuova iniziativa Obama-Clinton in vista di una poce onnicomprensiva che coinvolga anche negoziati tra Israele, Siria e Libano.
Il neo-presidente Obama ha detto durante la campagna elettorale che sara’ la sua priorita’ fin dal primo giorno e penso che questo sia molto importante. Ma il suo desiderio di occuparsi di questo problema e’ diventato ora una necessita’ per via della crisi di Gaza, una necessita’ per due, anzi, per tre motivi.
Il primo e’ di porre fine a questo conflitto dopo tutti questi anni e tanti morti da entrambe le parti. Il secondo e’ che quelli del mondo arabo che vogliono trovare una soluzione al conflitto con Israele sono oggi seriamente indeboliti a causa di questa crisi a Gaza. C’e’ molta rabbia nel mondo arabo e islamico. Coloro che si oppongono a una soluzione pacifica del conflitto, a cominciare da Hamas, Hezbollah e leadership iraniana, questo blocco che rigetta la soluzione, ora ha il vento in poppa. Ed e’ molto importante morstrare che moderazione, compromesso, riconciliazione e pace possono prevalere e ottenere un buon risultato per i palestinesi e gli arabi, piuttosto che il punto di vista che [loro] propagandano, e che consiste in violenza, terrorismo e sfida.
JUAN GONZALEZ: Ambasciatore Indyk, vorrei farle una domanda sui tempi dell’offensiva israeliana. E’ chiaro che siamo agli sgoccioli dell’amministrazione Bush, prima che il neo-eletto Obama inauguri la presidenza.
Le ha la sensazione che i tempi [di questa offensiva] abbiano qualcosa a che vedere col fatto che la risposta degli Usa potrebbe mutare, o almeno transitare come transitano le amministrazioni?
MARTIN INDYK: E’ importante comprendere che la tregua e’ finita, una tregua di 6 mesi, e non credo che gli israeliani abbiano deciso di proposito che era il momento di colpire. Se Hamas non avesse lanciato razzi, penso che sarebbero stati perfettamente felici di continuare la tregua. Ehud Barak, il ministro della Difesa israeliano, e’ il vero stratega di tutta questa operazione ed e’ l’uomo con cui io ho lavorato molto da vicino quando ero ambasciatore in Israele (E.B. era il primo ministro all’epoca). Si cercava di ottenere una completa e onnicomprensiva pace nell’ultimo anno dell’amministrazione Clinton e nel primo anno di Ehud Barack come Primo Ministro. Ma quel che ho appreso nei giorni in cui ho lavorato con lui e’ che e’ un uomo che considera le operazioni secondo un calendario molto ristretto. Coltiva perfino l’ hobby di smontare orologi. Insomma, e’ ossessionato dai tempi e questo e’ qualcosa che io sottolineo nel mio libro, quando descrivo il modo in cui tento’ di portare avanti le operazioni di pace nel 2000. A quell’ epoca calcolo’ male i tempi.
Ora, ha davanti due date. La prima e’ quella alla quale ha fatto riferimento lei, 20 gennaio [2009], quando il nuovo presidente si insedia nel suo ufficio qui a Washington. George W. Bush ha sostenuto molto Israele e, per la maggior parte del suo governo, ha lasciato carta bianca a Israele nei confronti di Hamas (che egli considera un’organizzazione terroristica) perche’ cio’ fa parte della guerra al terrore. Percio’, si, credo che Ehud Barak abbia probabilmente calcolato che deve finire questa operazione sotto l’egida di Bush, prima che arrivi Obama.
Ma c’e’ una seconda data che credo sia ancora piu’ importante dal suo punto di vista: il 10 febbraio [2009]. In quella data egli dovra’ fronteggiare l’elettorato assieme gli altri politici di Israele, a meno che le elzioni non vengano spostate, cosa che potrebbe difficilmente accadere. Per tutte queste ragioni, ha bisogno che l’operazione abbia fine. Ma se l’esercito israeliano prendesse il controllo di Gaza City, del campo rifugiati a Jabalya e di Rafah City nel sud di Gaza, e poi improvvisamente l’elettorato israeliano il 10 febbraio vede che Israele ha di nuovo occupato Gaza (che aveva lasciato unilateralmente alcuni anni fa), che i soldati israeliani muoiono, che tutto il mondo condanna Israele e c’e’ una crisi nelle relazioni Usa-Israele col nuovo presidente, Ehud Barak non verra’ di certo ringraziato. Ed e’ per tutto questo che gia’ oggi potete vedere da parte sua molto interesse alla tregua e il governo israeliano ci sta lavorando sopra. Credo che cercheranno di arrivare a un accordo prima che Obama occupi la presidenza…
AMY GOODMAN: Norman Finkelstein, mi permetta di…
MARTIN INDYK: … in modo da mostrare al suo elettorato che e’ stata un’operazione di successo, dal punto di vista di Israele.
AMY GOODMAN: Norman Finkelstein, lei condivide il punto di vista dell’ambasciatore Indyk che Israele avrebbe continuato la tregua se Hamas non avesse cominciato a lanciare razzi?
NORMAN FINKELSTEIN: I documenti mostrano che Hamas voleva continuare la tregua, ma a condizione che Israele allentasse l’assedio. Come molti spettatori sapranno, molto prima che Hamas riprendesse i lanci di razzi verso Israele, i palestinesi soffrivano per una crisi umanitaria a Gaza, a causa del blocco. L’ex Alto Commissario per i Diritti Umani [ed ex-presidente dell’Irlanda] Mary Robinson ha descritto quel che avveniva a Gaza come “distruzione di una civilta’”. E questo durante il periodo della tregua. Ora teniamo a mente che il signor Indyk vuole parlare del suo libro. Ebbene, parliamo del libro. Sono rimasto alzato fino all’1:30 di notte per finire di leggerlo, per arrivare a pagina 415, e assicurarmi di aver letto ogni singola parola.
Il problema, con questo libro, come anche con la presentazione qui, e’ la sistematica distorsione dei dati del processo di pace. Egli mente non solo ai suoi lettori, ma a tutto il popolo americano. Continua a mettere il peso della responsabilita’ per l’impasse nel processo di pace solo sui palestinesi. Poco fa ha fatto riferimento a “coloro che rigettano” [la pace]e che stanno tentando di bloccare la soluzione del conflitto. Ma cosa mostrano i fatti? I fatti mostrano che negli ultimi 20 e passa anni, l’intera comunita’ internazionale ha cercato di sistemare il conflitto in base ai confini del giugno 1967, un’equa risoluzione per la questione dei rifugiati.
Allora, anche le 164 le nazioni dell’ONU sarebbero tra “coloro che rigettano” [la pace]? E i soli a favore della pace sarebbero gli USA, Israele, Nauru, Palau, la Micronesia, le Marshall Islands e l’ Australia? Chi sono veramente quelli che rigettano [la pace]? Che si oppongono ad essa? Secondo il racconto del signor Indyk sui negoziati che culminarono negli accordi di Camp David e Taba, egli ci dice che erano i palestinesi a bloccare la risoluzione. Ma cosa ci mostrano i fatti? I fatti mostrano che nell’istanza cruciale sollevata a Camp David (a quell’ epoca secondo i parametri di Clinton), e poi a Taba, su ogni singolo punto tutte le concessioni arrivavano da parte dei palestinesi. Israele non fece nessuna concessione. Tutti i compromessi venivano dai palestinesi. I palestinesi hanno ripetutamente espresso di essere disposti a sanare il conflitto secondo le leggi internazionali.
La legge e’ molto chiara. Luglio 2004: l’organo giudiziario internazionale piu’ alto, la Corte Internazionale di Giustizia, ha disposto che Israele non ha alcun diritto ne’ sulla West Bank, ne’ su Gaza. Non ha diritti su Gerusalemme. L’Est arabo di Gerusalemme, secondo l’alta corte giudiziaria, e’ un territorio occupato. La Corte Internazionale di Giustizia ha disposto che tutti i villaggi colonici del West Bank sono illegali secondo la legge internazionale. E’ importante notare che, malgrado cio’, su tutte queste questioni, i palestinesi erano disposti a fare concessioni. Erano disposti a permettere a Israele di tenersi il 60% dei territori colonizzati e l’ 80% dei coloni. Erano disposti a fare compromessi su Gerusalemme. Erano perfino disposti a rinunciare, in pratica, al loro diritto al ritorno. Hanno fatto tutte le concessioni possibili. Israele non ne ha fatta alcuna. Ora, come viene mostrato questo fatto nel libro di Martin Indyk?
Cito: “[Da una parte] la coraggiosa e audace iniziativa di Ehud Barak per la pace, e [dall’altra] Arafat e l’OLP che respingono queste inziative audaci e coraggiose”. Capovolge completamente la realta’.
AMY GOODMAN: Ambasciatore Indyk, cosa risponde?
MARTIN INDYK: Gliel’ ho detto, Amy, non sono qui per dibattere con Norman Finkelstein. Queste sono regole cha ha creato lei…
NORMAN FINKELSTEIN: Io sto parlando del suo libro.
MARTIN INDYK: …per invitarmi a questo programma. E non intendo rispondere a questi attacchi ad hominem.
AMY GOODMAN: Ma egli sta parlando del suo…
MARTIN INDYK: No. Mi lasci dire…
AMY GOODMAN: Ma noi desideriamo darle l’occasione di presentare il suo libro.
MARTIN INDYK: Si, gia’, questo e’quel che credevo voleste fare. Sul serio, spero che gli spettatori leggano il libro e si facciano la propria idea. Io ho cercato di fare un resoconto onesto. E’ un libro autocritico. Ed e’ un libro in cui ogni mia descrizione dell’accaduto e’ piena di profonde critiche agli errori che noi del gruppo americano per la pace abbiamo commesso. C’e’abbstanza critica da condividere. Il libro e’ critico anche dello stesso Ehud Barak ed e’ la voce piu’ onesta possible di qualcuno che e’ stato coinvolto in tutti questi negoziati, profondamente coinvolto.
AMY GOODMAN: Quali erano questi errori, ambasciatore Indyk?
MARTIN INDYK: Ho cercato di raccontarlo onestamente. E quel che Norman Finkelstein ha fatto e’ semplicemente distorcere le mie argomentazioni e caricarle con la sua solita batteria di risoluzioni legali, eccetera. Ma se la gente vuole capire quanto sia difficile costruire la pace, allora spero che legga, piuttosto che accettare la sua propaganda.
AMY GOODMAN: Come fara’ Obama a non ripetere gli errori del passato, come lei li delinea nel suo libro?
MARTIN INDYK: Grazie. Io credo che una lezione fondamentale, sia dal lato dell’approccio di Clinton, che voleva trasformare il Medioriente attraverso la pace, sia dell’approccio di Bush che voleva trasformarlo con la guerra, i cambi di regime e la promozione della democrazia, consista nel fatto che Obama, nel disegnare una visione di pace, sicurezza e normalita’ nella regione, debba anche essere molto realistico su quel che si puo’ raggiungere. Sia Clinton che Bush, cosi’ diversi sotto molti aspetti, hanno cercato di trasformare la regione a somiglianza dell’America. Io penso che Obama debba avere un approccio piu’ umile, meno arrogante e lavorare insieme ai leader e ai popoli della regione per aiutarli a muoversi verso un mondo di pace. Il ruolo americano e’ indispensabile. Ma dobbiamo essere piu’ saggi. Piu’ flessibili. Dobbiamo capire che esistono enormi differenze tra noi e loro, che dobbiamo avere piu’ attenzione per la loro cultura, i loro valori e la loro politica, piuttosto che presumere che siano i nostri stessi. Questo e’ un proposito molto generale, ma da esso puo’ scaturire piu’ saggezza nell’ affrontare i dettagli del costruire la pace. Non possono raggiungere la pace senza di noi, ma il nostro ruolo dev’essere piu’ saggio.
AMY GOODMAN: Norman Finkelstein, lei cosa pensa debba avvenire?
NORMAN FINKELSTEIN: A me sembra piuttosto chiaro. In primo luogo, gli USA e Israele si devono unire al resto della comunita’ internazionale e devono rispettare la legge internazionale. Martin Indyk dismette quelle che chiama risoluzioni legali. Ma io non credo che si possa volgarizzare la legge internazionale. E’ una cosa seria. Se Israele sfida la legge internazionale, dev’essere chiamato a risponderne, come ogni altro paese del mondo. Su un punto sono d’accordo con Martin Indyk. Il signor Obama deve mettersi allo stesso livello del popolo americano. Dev’essere onesto su quale sia il vero ostacolo alla soluzione del conflitto. Non sono le obiezioni palestinesi. E’ il rifiuto di Israele – sostenuta dal governo USA – di osservare le leggi internazionali e l’opinione della comunita’ internazionale. La sfida maggiore per tutti noi americani e’ quella di riuscire a vedere oltre le menzogne. E purtroppo, vedere oltre quelle menzogne propagandate da Martin Indyk nel suo libro con la pretesa che siano i palestinesi – e non Israele e gli Usa – il maggior ostacolo alla pace”.
Last update – 09:35 18/01/2009
Gideon Levy / An open response to A.B. Yehoshua
By Gideon Levy
Dear Bulli,
Thank you for your frank letter and kind words. You wrote it was written from a “position of respect,” and I, too, deeply respect your wonderful literary works. But, unfortunately, I have a lot less respect for your current political position. It is as if the mighty, including you, have succumbed to a great and terrible conflagration that has consumed any remnant of a moral backbone.
You, too, esteemed author, have fallen prey to the wretched wave that has inundated, stupefied, blinded and brainwashed us. You’re actually justifying the most brutal war Israel has ever fought and in so doing are complacent in the fraud that the “occupation of Gaza is over” and justifying mass killings by evoking the alibi that Hamas “deliberately mingles between its fighters and the civilian population.” You are judging a helpless people denied a government and army – which includes a fundamentalist movement using improper means to fight for a just cause, namely the end of the occupation – in the same way you judge a regional power, which considers itself humanitarian and democratic but which has shown itself to be a brutal and cruel conqueror. As an Israeli, I cannot admonish their leaders while our hands are covered in blood, nor do I want to judge Israel and the Palestinians the same way you have.
The residents of Gaza have never had ownership of “their own piece of land,” as you have claimed. We left Gaza because of our own interests and needs, and then we imprisoned them. We cut the territory off from the rest of the world and the occupied West Bank, and did not permit them to construct an air or sea port. We control their population registrar and their currency – and having their own military is out of the question – and then you argue that the occupation is over? We have crushed their livelihood, besieged them for two years, and you claim they “have expelled the Israeli occupation”? The occupation of Gaza has simply taken on a new form: a fence instead of settlements. The jailers stand guard on the outside instead of the inside.
And no, I do not know “very well,” as you wrote, that we don’t mean to kill children. When one employs tanks, artillery and planes in such a densely populated place one cannot avoid killing children. I understand that Israeli propaganda has cleared your conscience, but it has not cleared mine or that of most of the world. Outcomes, not intentions, are what count – and those have been horrendous. “If you were truly concerned about the death of our children and theirs,” you wrote, “you would understand the present war.” Even in the worst of your literary passages, and there have been few of those, you could not conjure up a more crooked moral argument: that the criminal killing of children is done out of concern for their fates. “There he goes again, writing about children,” you must have told yourself this weekend when I again wrote about the killing of children. Yes, it must be written. It must be shouted out. It is done for both our sakes.
This war is in your opinion “the only way to induce Hamas to understand.” Even if we ignore the condescending tone of your remark, I would have expected more of a writer. I would have expected a renowned writer to be familiar with the history of national uprisings: They cannot be put down forcibly. Despite all the destructive force we used in this war, I still can’t see how the Palestinians have been influenced; Qassams are still being launched into Israel. They and the world have clearly taken away something else from the last few weeks – that Israel is a dangerous and violent country that lacks scruples. Do you wish to live in a country with such a reputation? A country that proudly announces it has gone “crazy,” as some Israeli ministers have said in regard to the army’s operation in Gaza? I don’t.
You wrote you have always been worried for me because I travel to “such hostile places.” These places are less hostile than you think if one goes there armed with nothing but the will to listen. I did not go there to “tell the story of the afflictions of the other side,” but to report on our own doings. This has always been the very Israeli basis for my work.
Finally, you ask me to preserve my “moral validity.” It isn’t my image I wish to protect but that of the country, which is equally dear to us both.
In friendship, despite everything
Last update – 02:38 12/01/2009
Things one sees from The Hague
By Gideon Levy
When the cannons eventually fall silent, the time for questions and investigations will be upon us. The mushroom clouds of smoke and dust will dissipate in the pitch-black sky; the fervor, desensitization and en masse jump on the bandwagon will be forever forgotten and perhaps we will view a clear picture of Gaza in all its grimness. Then we will see the scope of the killing and destruction, the crammed cemeteries and overflowing hospitals, the thousands of wounded and physically disabled, the destroyed houses that remain after this war.
The questions that will beg to be asked, as cautiously as possible, are who is guilty and who is responsible. The world’s exaggerated willingness to forgive Israel is liable to crack this time. The pilots and gunners, the tank crewmen and infantry soldiers, the generals and thousands who embarked on this war with their fair share of zeal will learn the extent of the evil and indiscriminate nature of their military strikes. They perhaps will not pay any price. They went to battle, but others sent them.
The public, moral and judicial test will be applied to the three Israeli statesmen who sent the Israel Defense Forces to war against a helpless population, one that did not even have a place to take refuge, in maybe the only war in history against a strip of land enclosed by a fence. Ehud Olmert, Ehud Barak and Tzipi Livni will stand at the forefront of the guilty. Two of them are candidates for prime minister, the third is a candidate for criminal indictment.
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It is inconceivable that they not be held to account for the bloodshed. Olmert is the only Israeli prime minister who sent his army to two wars of choice, all during one of the briefest terms in office. The man who made a number of courageous statements about peace late in his tenure has orchestrated no fewer than two wars. Talking peace and making war, the “moderate” and “enlightened” prime minister has been revealed as one of our greatest fomenters of war. That is how history will remember him. The “cash envelopes” crimes and “Rishon Tours” transgressions will make him look as pure as snow by comparison.
Barak, the leader of the party of the left, will bear the cost of the IDF’s misdeeds under his tutelage. His account will be burdened by the bombing and shelling of population centers, the hundreds of dead and wounded women and children, the numerous targetings of medical crews, the firing of phosphorus shells at civilian areas, the shelling of a UN-run school that served as a shelter for residents who bled to death over days as the IDF prevented their evacuation by shooting and shelling. Even our siege of Gaza for a year and a half, whose ramifications are frighteningly coming into focus in this war, will accrue to him. Blow after blow, all of these count in the world of war crimes.
Livni, the foreign minister and leader of the centrist party, will be remembered as the one who pushed for, legitimized and sat silent through all these events. The woman who promised “a different kind of politics” was a full partner. This must not be forgotten.
In contrast to the claims being made otherwise, we are permitted to believe that these three leaders did not embark on war for electoral considerations. Anytime is good for war in Israel. We set out for the previous war three months after the elections, not two months before. Will Israel judge them harshly in light of the images emanating from Gaza? Highly doubtful. Barak and Livni are actually rising in the polls instead of dipping. The test awaiting these individuals will not be a local test. It is true that some international statesmen cynically applauded the blows Israel dealt. It is true America kept silent, Europe stuttered and Egypt supported, but other voices will rise out of the crackle of combat.
The first echoes can already be heard. This past weekend, the UN and the Human Rights Commission in Geneva have demanded an investigation into war crimes allegedly perpetrated by Israel. In a world in which Bosnian leaders and their counterparts from Rwanda have already been put on trial, a similar demand is likely to arise for the fomenters of this war. Israeli basketball players will not be the only ones who have to shamefully take cover in sports arenas, and senior officers who conducted this war will not be the only ones forced to hide in El Al planes lest they be arrested. This time, our most senior statesmen, the members of the war kitchen cabinet, are liable to pay a personal and national price.
I don’t write these words with joy, but with sorrow and deep shame. Despite all the slack the world has cut us since as long as we can remember, despite the leniency shown toward Israel, the world might say otherwise this time. If we continue like this, maybe one day a new, special court will be established in The Hague.
Last update – 02:45 11/01/2009
Gideon Levy / My hero of the Gaza war
By Gideon Levy
My war hero likes to eat at Acre’s famed Uri Burri restaurant. He thinks it’s the best fish restaurant in the world, and told me as much yesterday from the porch of the central Gaza City office building from which he has broadcast every day for the past two weeks, noon and night, almost without rest.
My war hero is Ayman Mohyeldin, the young correspondent for Al Jazeera English and the only foreign correspondent broadcasting during these awful days in a Gaza Strip closed off to the media. Al Jazeera English is not what you might think. It offers balanced, professional reporting from correspondents both in Sderot and Gaza. And Mohyeldin is the cherry on top of this journalistic cream. I wouldn’t have needed him or his broadcasts if not for the Israeli stations’ blackout of the fighting. Since discovering this wunderkind from America (his mother is from the West Bank city of Tul Karm and his father from Egypt), I have stopped frantically changing TV stations.
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Whoever recoils from the grotesque coverage by Channel 2’s Roni Daniel is invited to tune in to this wise and considered broadcaster. Whoever recoils from our heroic tales, bias, whitewashed words, Rorschach images of bombing, IDF Spokesman-distributed photographs, propagandists’ excuses, self-satisfied generals and half-truths is invited to tune in. Whoever wants to know what is really happening, not only of a postponed wedding in Sderot and a cat forgotten in Ashkelon. Watching is sometimes hard, bloodcurdlingly hard, but reality is no less hard right now.
I have followed him throughout the war. Sporting a helmet and protective vest, and sometimes a Lacoste jacket, he stands on the roof, broadcasting in the most restrained tones, never getting excited or using flowery adjectives to describe what we’re inflicting on Gaza, even when planes fly over him and bomb a house in the distance. Sometimes he crouches during a blast, his eyes perpetually glazed from fatigue, his face sometimes betraying helplessness.
At age 29, he has already seen one war, in Iraq, but he says this war is more intense. He is frustrated that his broadcasts are carried virtually everywhere in the world except the United States, his own country, the place he thinks it is most important that these images from Gaza be seen.
“At the end of the day, if there is one country that can have influence, it’s the United States. It’s frustrating to know you’re not reaching the viewers you would like to,” he told me this week from the roof. On Friday he finally came down, for safety’s sake, after the Israel Defense Forces bombed a neighboring media center.
Is he afraid? “I’d be lying if I said I don’t feel fear, but my obligation is greater than the fear,” he says.
Nor does he have a single bad word to say about Israel. He says he would gladly return to visit – after all, he’s got friends here. We even set a dinner date at his favorite restaurant, for 6 P.M. after the war.
Gideon Levy / Someone must stop Israel’s rampant madness in Gaza
By Gideon Levy, Haaretz Correspondent
Tags: Hamas, IDF, Gaza, Israel News
Someone has to stop this rampant madness. Right now. It may seem as though the cabinet hasn’t decided on the “third stage” of the war yet, Amos Gilad is discussing a cease fire in Cairo, the end of the fighting seems close – but all this is misleading.
The streets of Gaza Thursday looked like killing fields in the midst of the “third stage” and worse. Israel is arrogantly ignoring the Security Council’s resolution calling for a cease-fire and is shelling the UN compound in Gaza, as if to show its real feeling toward that institution. Emergency supplies intended for Gaza residents are going up in flames in the burning warehouses. Thick black smoke is rising from the burning flour sacks and the fuel reserves near them, covering the streets.
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In the streets, people are running back and forth in panic, holding children and suitcases in their hands, helpless as the shells fall around them. Nobody in the diplomatic corridors is in any hurry to help those unfortunates who have nowhere to run.
The handful of journalists trying to cover the events, despite the outrageous media closure Israel has imposed, are also in danger. The Israel Defense Forces Thursday shelled the media building they were in and now they are all crowded in one office, as fearful and horrified as the rest of the scorched city’s residents.
The BBC’s Arabic correspondent, furious and alarmed, swears hoarsely that nobody fired from the building or around it. Meanwhile, in our television studios, there is rejoicing.
Is this war a “corrective experience,” asks Rafi Reshef, who seems diabolically delighted by the fighting. Infrastructure Minister Benjamin Ben Eliezer tells him that the IDF and Israel Air Force have made great achievements. Nobody of course asks what is so great about these achievements except the killing, destruction and thousands of casualties in Gaza and the rockets that continue falling on Be’er Sheva – undermining every “achievement.”
In the lobby of a luxury hotel, against the background of the horror show from Gaza, Foreign Minister Tzipi Livni explains, with intolerable arrogance, that the fire will stop “whenever Israel decides” on the basis of “daily situation evaluations.”
UN Secretary General Ban Ki-moon, standing beside her, breaks protocol and denounces Israel with uncharacteristic vigor for its attack on the UN compound.
This is how Israel now looks to the outside world – its tanks in the burning streets of Gaza; more and more people being killed for nothing; tens of thousands of new refugees; an appallingly haughty foreign minister, and a growing clamor of condemnation and disgust from all over the globe.
Whether or not we have accomplished anything in the war, now only the thirst for blood and lust for revenge speak out, together with the desperate longing for the “victory shot” on the backs of hundreds and thousands of miserable civilians – a picture that will never be achieved, even with another 100 assassinations of Hamas leaders, like Thursday.
All those who supported this war and all those who objected to it should unite in the cry, Enough.
The IDF has no mercy for the children in Gaza nursery schools
By Gideon Levy, Haaretz Correspondent
Tags: Hamas, IDF, Israel, Gaza
The fighting in Gaza is “war deluxe.” Compared with previous wars, it is child’s play – pilots bombing unimpeded as if on practice runs, tank and artillery soldiers shelling houses and civilians from their armored vehicles, combat engineering troops destroying entire streets in their ominous protected vehicles without facing serious opposition. A large, broad army is fighting against a helpless population and a weak, ragged organization that has fled the conflict zones and is barely putting up a fight. All this must be said openly, before we begin exulting in our heroism and victory.
This war is also child’s play because of its victims. About a third of those killed in Gaza have been children – 311, according to the Palestinian Health Ministry, 270 according to the B’Tselem human rights group – out of the 1,000 total killed as of Wednesday. Around 1,550 of the 4,500 wounded have also been children according to figures from the UN, which says the number of children killed has tripled since the ground operation began.
This is too large a proportion by any humanitarian or ethical standard.
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It is enough to look at the pictures coming from Shifa Hospital to see how many burned, bleeding and dying children now lie there. History has seen innumerable brutal wars take countless lives.
But the horrifying proportion of this war, a third of the dead being children, has not been seen in recent memory.
God does not show mercy on the children at Gaza’s nursery schools, and neither does the Israel Defense Forces. That’s how it goes when war is waged in such a densely populated area with a population so blessed with children. About half of Gaza’s residents are under 15.
No pilot or soldier went to war to kill children. Not one among them intended to kill children, but it also seems neither did they intend not to kill them. They went to war after the IDF had already killed 952 Palestinian children and adolescents since May 2000.
The public’s shocking indifference to these figures is incomprehensible. A thousand propagandists and apologists cannot excuse this criminal killing. One can blame Hamas for the death of children, but no reasonable person in the world will buy these ludicrous, flawed propagandistic goods in light of the pictures and statistics coming from Gaza.
One can say Hamas hides among the civilian population, as if the Defense Ministry in Tel Aviv is not located in the heart of a civilian population, as if there are places in Gaza that are not in the heart of a civilian population. One can also claim that Hamas uses children as human shields, as if in the past our own organizations fighting to establish a country did not recruit children.
A significant majority of the children killed in Gaza did not die because they were used as human shields or because they worked for Hamas. They were killed because the IDF bombed, shelled or fired at them, their families or their apartment buildings. That is why the blood of Gaza’s children is on our hands, not on Hamas’ hands, and we will never be able to escape that responsibility.
The children of Gaza who survive this war will remember it. It is enough to watch Nazareth-born Juliano Mer Khamis’ wonderful movie “Arna’s Children” to understand what thrives amid the blood and ruin we are leaving behind. The film shows the children of Jenin – who have seen less horror than those of Gaza – growing up to be fighters and suicide bombers.
A child who has seen his house destroyed, his brother killed and his father humiliated will not forgive.
The last time I was allowed to visit Gaza, in November 2006, I went to the Indira Gandhi nursery school in Beit Lahia. The schoolchildren drew what they had seen the previous day: an IDF missile striking their school bus, killing their teacher, Najwa Halif, in front of their eyes. They were in shock. It is possible some of them have now been killed or wounded themselves.
x Faust
Riporto dall’ argomento precedente:
Anita { 18.01.09 alle 23:04 } x Faust
Caro Faust,
per me questa guerra e’ un incubo, naturalmente per le vittime civili, ma anche perche’ non vedo luce alla fine de tunnel.
Certo che davanti al mondo Hamas ha vinto…ma vinto che cosa?
Tutt’oggi i razzi ancora piovono su Israele, ci dovrebbe essere un cessa fuoco…almeno per ricuperare i morti e per aiutare i feriti.
Il Presidente eletto avra’ un brutto risveglio, una cosa e’ fare campagna elettorale, un’ altra e’ trovarsi di fronte alle responsabilita’ di Capo di questa Nazione.
Anche oggi, qui e la’ ho sentito i suoi discorsi col teleprompter, tutta retorica, niente di solido.
Il suo primo compito sara’ indirizzato all’ economia, mettere piu’ miliardi in circolazione…c’e’ enorme controversia.
Come ho scritto, per ora le guerre hanno preso solo qualche piccolo spot.
La coronazione, la storia dell’aereo nel fiume Hudson hanno precedenza assoluta.
Non manca la frivolita’, cosa indossera’ Michelle Obama, etc…
Buona notte,
Anita
Tutt’oggi i razzi ancora piovono su Israele, ci dovrebbe essere un cessa fuoco
@ Anita
Gia’, ma su Gaza oggi sono piovute di nuovo “solo” bombe al fosforo bianco.
Allora, chi e’ che non rispetta veramente la tregua?
Intanto, i razzi (quattro: per essere una “pioggia”, non le sembrano un po’ pochini?) non hanno ucciso ne’ ferito nessuno, il fosforo ha causato altre vittime, come se le precedenti fossero poche.
E quell’ “innocente” post su Netanyahu, come dice lei, senza suoi commenti. Come a dire, senza un suo consenso. Ma allora perche’ lo ha postato?
Cara Anita, mi sa che sotto sotto lei tifi Israele. Cosa che, del resto, non mi sorprende per molti motivi. Uno dei quali e’ che lei non si distacca mai di un solo millimetro dalle posizioni ufficiali del governo Bush, coperto di sangue innocente – americano e straniero – dalla testa ai piedi, non meno di quello israeliano.
Lei e’ una donna di ferro.
IL BOICOTTAGGIO POTREBBE FUNZIONARE
Sembra che il boicottaggio iniziato nella maggior parte dell’Europa e del mondo poco piu’ di 2 settimane fa stia portando i primi frutti (marci): una voce non ancora confermata riferisce che nei magazzini israeliani si starebbero accumulando frutta e patate invenduti.
Non e’ una notizia ricevuta attraverso internet, per cui non ho un link e la riporto, appunto, solo come voce.
Aspettiamo e vediamo se verra’ confermata nei prossimi giorni.
per Giovani Falco
Quella del 97% dei Territori Occupati era una gran bufala.
Per incominciare le carte presentate dagli issraeliani comprendevano il controllo sul 42% del territorio della Cisgiordania (una striscia lungo il Giordano e tre corridoi di accesso), il totale controllo delle frontiere ma soprattutto la proprietà di TUTTE le sergenti della Cisgiordania. Arafat ha rifiutato, ovviamente, perchè quello era solo un modo per farli morire lentamente di sete. Proprio come ora. U.
Cara Anita,
o lei legge quel che invia oppure non lo legge.
Se non lo legge perchè lo invia? Deve farlo? Qualcuno le dice di farlo? E’ il suo lavoro?
Se lo legge deve valutarlo criticamente ….
Lì dice che Gerusalemme è stat ala capitale degli ebrei per 3300 anni, quindi dal 1300 a.C. E’ una palese menzogna: non mai è più esistito uno stato ebraico dal 70 al 1948 d.C. ….
Come mai lei, che a volte scopre delle notizie interessanti e non banali, lascia passare una tale solenne caxxata? …. U.
per Vox
io ho iniziato da tempo a non comperare più nessun prodotto issraeliano (salvo Intel, per ovvie ragioni).
L’altro giorno avevo preso della frutta ma quando ne ho visto l’origine l’ho riposta sul bancone.
Prodotti issraeliani e benzina usaegetta sono fuori dalla mia vita da molto tempo. U.
Caro Pino,
però vedere che, su un giornale progressista come Repubblica, Caracciolo viene regolarmente chiamato “il principe” mi fa un po’ sorridere.
L’arte dell’anilingus è avanzatissima tra i giornalisti ittagliani … U.
Ne consiglio la lettura.
p. n.
——————-
http://www.repubblica.it/2009/01/sezioni/esteri/medio-oriente-48/rampoldi-19-genn/rampoldi-19-genn.html
IL REPORTAGE
Gaza tra rabbia e distruzione. “Una catastrofe come Hiroshima”
dal nostro inviato GUIDO RAMPOLDI
GAZA – “Hiroshima! Nagasaki”. L’ira e lo sdegno di Refat abu Marzuk si sono solidificate nelle due parole che consegna con un tono energico e definitivo ai suoi vicini di casa, se il termine ha ancora un senso tra quelle rovine. Come alcune migliaia di palestinesi, ieri mattina, sul presto, Refat ha profittato del cessate-il-fuoco dichiarato da Israele per cercare tracce della sua proprietà nella distesa di detriti fino a ieri nota come al-Brazil, quartiere di Rafah. Delle sei file di palazzine a due o tre piani che procedevano per due chilometri lungo il confine con l’Egitto, quelle ancora in piedi sono davvero pochi, e nessuna di quelle poche è intatto. Difficile trovare in una guerra recente una distruzione tanto sistematica. E tanto pretestuosa.
“I tunnel? Ma quali tunnel?”, sbotta Refat. “I pozzi dei tunnel sono più avanti”. Non tutti: alcune tra le gallerie che passavano sotto la frontiera con l’Egitto cominciavano proprio nelle cantine di queste case. Ma per distruggere la rete dei tunnel sarebbe bastato bombardare i trecento metri successivi, quelli che dividono gli ultimi palazzi dal confine, e in particolare le serre, le cui plastiche opache spesso nascondono i pozzi. Invece l’aviazione israeliana ha deciso di sbriciolare la casa a decine di migliaia di abitanti di Rafah, quasi tutti ex profughi che aveva già perso tutto nelle precedenti guerre arabo-israeliane.
SEGUE SU: http://www.repubblica.it/2009/01/sezioni/esteri/medio-oriente-48/rampoldi-19-genn/rampoldi-19-genn.html
Anche questa è una lettura che fa riflettere :
http://www.unita.it/news/75332/olmert_ha_sbagliato_la_sua_guerra_non_stata_giusta
Caro Uro, al di là delle divergenze di vedute, mi è evidente principalmente una serie di riflessioni: gli Israeliani in questo momento si sono bevuti il cervello, agiscono come mosche impazzite, hanno perso il bandolo della matassa, si danno in continuazione la zappa sui piedi. Sono cascati in pieno nella rete di Hamas. Sempre stando a ciò che appare.
Mai dimenticare che quel che ci è dato vedere è solo ‘ciò che appare’, non ‘ciò che è’. Le rivelazioni verranno in seguito, molto più in là. Forse.
Esisteranno certamente retroscena che noi non conosciamo, come è successo per la strage di Bologna ( ora è venuto fuori che non di estremisti neri si trattava, ma di un incidente ad una valigia di esplosivi trasportata da un palestinese. Propaganda anche questa?) e come è successo con le rivelazioni-choc di Cossiga.
Sta di fatto che, sia nella stampa in lingua inglese che in lingua francese, nessuno ha posto interrogativi ma si sono tutti limitati a raccontare ciò che stava accadendo. O nessuno in realtà ci sta capendo niente, o tutti si tengono defilati per timore di fare magre figure. Posssibile che siano tutti condizionati da Israele?
x Vox:
sono contento che il boicottaggio finalmente sia stato preso in considerazione come l’unica arma di protesta veramente efficace e non-violenta.
X M.T.16
Bisogna insistere non solo sul boicottaggio ma anche sull’aprire per una buona volta gli occhi SENZA GIUSTIFICARE atrocità senza senso come si è verificato in questi ultimi giorni sulla striscia di Gaza ed ammettere che purtroppo non sono le uniche sulle quali chiudiamo un occhio o meglio tutti e due.
L.
Ricevo e volentieri posto:
http://officinanarrativa.wordpress.com/2009/01/08/gaza-israele-e-il-ruolo-degli-usa-le-bombe-sono-per-obama-e-non-per-hamas/
GAZA. LE BOMBE SONO PER OBAMA E NON PER HAMAS
di Phyllis Bennis (giornalista, studiosa e attivista politica statunitense che segue da sempre i temi del Medio-Oriente)
I raid illegali di Israele contro la popolazione di Gaza hanno poco a che fare con la protezione dei civili israeliani, sostiene Phyllis Bennis. I bombardamenti sono strumentali alla politica interna israeliana (prossime elezioni in Israele) e hanno il significato di respingere ogni chance di negoziati seri tra le parti che potrebbero avere luogo grazie ai piani dell’amministrazione Obama.In sintesi:
• I bombardamenti israeliani rappresentano una seria violazione delle leggi internazionali –
inclusa la Convenzione di Ginevra e una vasta gamma di leggi umanitarie.
• Gli Stati Uniti sono complici in queste violazioni – direttamente o indirettamente.
• Il momento scelto per i bombardamenti ha poco a che fare con le politiche di protezione dei civili israeliani da parte di Stati Uniti e Israele.
• Questa grave escalation cancellerà ogni possibilità di seri negoziati che potrebbero avere luogo grazie ai piani dell’amministrazione Obama.
Violazione del diritto internazionale
I bombardamenti israeliani sulla Striscia di Gaza violano importanti articoli della legge internazionale che regola i casi di guerra e della Convenzione di Ginevra. Le violazioni riguardano sia gli obblighi degli occupanti di proteggere la popolazione del paese occupato, sia i chiarissimi requisiti delle leggi di guerra che proibiscono specifici atti. La prima, palese, violazione è la punizione collettiva:
tutte le 1.500.000 di persone che vivono nella Striscia di Gaza sono state punite per le azioni di pochi militanti.
La dichiarazione di Israele che i bombardamenti sono una risposta” o una “rappresaglia” per i razzi palestinesi è una menzogna. Sparare razzi come viene fatto correntemente è infatti illegale. I palestinesi, come ogni popolo che vive sotto un’occupazione militare nemica, ha il diritto di resistere,
anche con la forza se è necessario. Ma questo diritto non comprende l’uccisione dei civili. I razzi usati non possono mirare ad alcunché, in questo modo però di fatto mirano alla popolazione civile che vive nelle città israeliane e in questo modo diventano illegali. Sarebbe il caso di porre fine
all’uso dei razzi – come molti palestinesi pensano – perché non è di nessuna utilità alla lotta per la fine dell’occupazione, ma anche perché è illegale rispetto alle leggi internazionali. Comunque, i
razzi, illegali o meno, non danno a Israele il diritto di punire l’intera popolazione per questi atti. Una vendetta del genere è essenzialmente una “punizione collettiva” ed è perciò inequivocabilmente proibita dalla Convezione di Ginevra.
SEGUE SU: http://officinanarrativa.wordpress.com/2009/01/08/gaza-israele-e-il-ruolo-degli-usa-le-bombe-sono-per-obama-e-non-per-hamas/
Hamas, avendo vinto le elezioni (e non abbiamo bisogno di addentrarci nei dettagli) come risultato di una gara tra Hamas e Fatah su chi sia il leader, Hamas ha preso il controllo di Gaza con la forza, in effetti con un colpo di stato contro l’Autorita’ Palestinese.
———
Questo dice Indyk.
Credere a lui ( e ad altri che hanno affermato la stessa cosa) o credere a libere e corrette elezioni, come ho già letto da qualche parte?
Quanto è attendibile Indyk?
Ricevo e volentieri posto:
SCHEGGE
di b.c.
Da un testo di Uri Avnery, scrittore e pacifista israeliano (segnalazione di Alda Radaelli)
Quasi 70 anni fa, durante la Seconda Guerra Mondiale, un ignobile crimine fu commesso nella città di Leningrado. Per più di mille giorni, una banda di estremisti chiamata l’Armata Rossa tenne milioni di abitanti della città in ostaggio e provocò la rappresaglia da parte della Wehrmacht tedesca. I tedeschi non ebbero altra alternativa se non quella di bombardare la popolazione e di imporre il blocco totale, che causò la morte di centinaia di migliaia di persone.
Qualche tempo prima, un crimine simile fu compiuto in Inghilterra. La banda di Churchill si nascose in mezzo alla popolazione di Londra, usando milioni di cittadini come scudi umani. I tedeschi furono costretti a mandare la loro Luftwaffe e a malincuore ridurre la città in rovina.
Questa è la descrizione che apparirebbe oggi nei libri di storia, se i tedeschi avessero vinto la guerra.
Assurdo? Non più delle descrizioni che ogni giorno appaiono sui nostri media: i terroristi di Hamas usano gli abitanti di Gaza come ostaggi e le donne e i bambini come scudi umani, non lasciandoci altra alternativa se non i bombardamenti in cui, con nostro grande rincrescimento, migliaia di persone inermi vengono uccise o ferite.
Ricevo e volentieri posto:
LE REGOLE AUREE DELLA DISINFORMAZIONE
(www.carmillaonline.com)
• In Medio Oriente sono sempre gli arabi che attaccano per primi, ed è sempre Israele che si difende. Questa difesa si chiama “rappresaglia”
• Né gli arabi, né i palestinesi, né i libanesi hanno il diritto di uccidere civili. Ciò si chiama “terrorismo”.
• Israele ha il diritto di uccidere civili. Ciò si chiama “legittima difesa”.
• Quando Israele uccide civili in massa, le potenze occidentali chiedono che lo faccia con moderazione. Ciò si chiama “reazione della comunità internazionale”.
• Né i palestinesi né i libanesi hanno il diritto di catturare soldati israeliani in istallazioni militari con sentinelle e trincee. Ciò va chiamato “sequestro di persone indifese”.
• Israele ha il diritto di sequestrare a qualsiasi ora e in qualsiasi luogo un certo numero di palestinesi e libanesi, se gli aggrada. La cifra attuale gravita intorno ai 10 mila, 300 dei quali sono bambini e 1.000 donne. Non risulta nessuna loro prova di colpevolezza. Ma Israele ha il diritto di trattenere i suoi prigionieri indefinitamente, anche qualora fossero autorità democraticamente elette dai palestinesi. Ciò va definito “incarceramento di terroristi”.
• Quando si menziona la parola “Hezbollah”, è obbligatorio aggiungere nella stessa frase “appoggiati e finanziati da Siria e Iran”.
• Quando si menziona “Israele”, è categoricamente proibito aggiungere “appoggiati e finanziati dagli Stati Uniti”. Ciò potrebbe dare l’impressione che il conflitto sia diseguale e che
l’esistenza di Israele non corra nessun pericolo.
• Quando si parla di Israele, bisogna sempre evitare che appaiano le seguenti locuzioni: “Territori occupati”, “Risoluzioni dell’ONU”, “Violazioni dei Diritti Umani” e “Convenzione di
Ginevra”.
• I palestinesi, come d’altronde i libanesi, sono sempre “vigliacchi” che si nascondono tra una popolazione civile che “non li vuole”. Se dormono in casa con le loro famiglie, la cosa ha un nome: “vigliaccheria”. Israele ha il diritto di radere al suolo con bombe e missili i quartieri dove dormono. Ciò si definisce “azione chirurgica di alta precisione”.
• Gli israeliani parlano meglio l’inglese, il francese, lo spagnolo o il portoghese degli arabi. Per questo meritano di essere intervistati con maggiore frequenza e avere più opportunità
degli arabi per spiegare al grande pubblico le precedenti regole di redazione. Ciò si definisce “neutralità giornalistica”.
• Tutte le persone che non sono d’accordo con le suddette regole sono, è evidente, “terroristi antisemiti ad alta pericolosità”.
caro marcolino,
come vedi ,dopo i nostri ultimi “approcci” ho cercato di evitare qualunque contatto con la tua gentile “personalità”,ma come ricordi mai ti avevo promesso di non 2occuparmi delle tue genialate date come certe..
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…per la strage di Bologna ( ora è venuto fuori che non di estremisti neri si trattava, ma di un incidente ad una valigia di esplosivi trasportata da un palestinese. Propaganda anche questa?)
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per cui l’invito che ti faccio è tira fuori i “tarocchi” e dacci una tua interpretazione personale delle varie ipotesi…
Oppure metti in piedi un studio da “medium” con Kossiga..
dai forza prova con kle ipotesi di Wilki ,sempre aggiornata per fortuna…
A causa del protrarsi negli anni delle vicende giudiziarie e dei numerosi comprovati depistaggi, intorno ai veri esecutori e ai mandanti dell’attentato si sono sempre sviluppate numerose ipotesi e strumentalizzazioni politiche divergenti dai fatti processuali che hanno portato alle condanne definitive dei presunti esecutori materiali della strage.
* Stando quanto riportato dai media nel 2004 e ripreso nel 2007 [3], Francesco Cossiga, in una lettera indirizzata a Enzo Fragalà, capogruppo di Alleanza Nazionale nella commissione Mitrokhin, ipotizza un coinvolgimento palestinese (a mano del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina e del gruppo Separat di Iliz Ramirez Sanchez, noto come “comandante Carlos”) dietro l’attentato.[4] Inoltre, nel 2008 Cossiga ha rilasciato un’intervista al Corriere della Sera, in cui ribadiva la sua convinzione secondo cui la strage non sia da imputarsi al terrorismo nero, ma ad un “incidente” di gruppi della resistenza palestinese operanti in Italia. Si dichiara oltresì convinto dell’innocenza di Francesca Mambro e Giuseppe Valerio Fioravanti.[5]
* Dalla sua cella, a Parigi, il terrorista rosso Ilic Ramirez Sanchez afferma che «la commissione Mitrokhin cerca di falsificare la storia» e che «a Bologna a colpire furono CIA e Mossad», con l’intento di punire e ammonire l’Italia per i suoi rapporti di fiducia reciproca con l’OLP, che si era segretamente impegnato a non colpire l’Italia in cambio di una certa protezione.[6]
* Nel maggio 2007 il figlio di Massimo Sparti (malvivente legato alla banda della Magliana e principale accusatore di Fioravanti) dichiara «mio padre nella storia del processo di Bologna ha sempre mentito», aprendo nuovi spiragli ed ipotesi.[7]
* In un allegato uscito in fascicoli del settimanale di destra L’Italia Settimanale nel corso del 1994 intitolato Storia della prima Repubblica viene fornita una particolare ipotesi sulla strage. Prima di tutto viene accomunata alla strage di Ustica (ne viene definita letteralmente il “bis”); poi viene paragonata al caso di Enrico Mattei e al Caso Moro. Il testo prosegue con
« L’Italia dalla nascita della prima Repubblica è stata, come tutti sanno, un paese a sovranità limitata (…) ora, nel momento in cui, per questioni contingenti (…) ha fatto – raramente – scelte che si sono rivelate in contrasto con le alleanze di cui vi dicevo, ha compiuto, detto in termini politico-mafioso-diplomatici, uno “sgarro”. E come nella mafia quando un picciotto sbaglia finisce in qualche pilone di cemento o viene privato di qualche parente (in gergo si chiama “vendetta trasversale”). Così è fra gli Stati: quando qualche paese sbaglia, non gli si dichiara guerra; ma gli si manda un “avvertimento”, sotto forma di bomba, che esplode in una piazza, su di un treno, su una nave, ecc ecc »
Assolutamente senza contestare le sentenze giudiziarie che hanno riconosciuto gli esecutori materiali, questo testo vuole indicare i mandanti. Non è specificato null’altro in particolare, ma in quel periodo l’ unico “sgarro” imputabile all’Italia fu il mancato boicottaggio delle Olimpiadi di Mosca, che riempirono il periodo trascorso tra la strage di Ustica e la bomba alla stazione di Bologna.
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Peter ha ragione…oh se ha ragione…!!!
White noise….
(oppure si potrebbe anche cominciare a pensare ad altro..!!
Riflettiamo
cc
Per Uro, mi chiamo Pietro non Giovanni…
posto un articolo di Haaretz di Aluf Benn che credo significativo sui “crimini di guerra compiuiti a Gaza”. Pino ha detto che è meglio se li traduco, per facilitarne la comprensione: ma purtroppo ho fretta, devo andare a lavorare… Oggi conferenza stampa con l’ambasciatore russo… Chiedo aiuto a Vox che ha grande facilità con l’inglese (magari anche per i post precedenti di Giideon Levy)
Israel fears wave of war crimes lawsuits over Gaza offensive
By Aluf Benn
Israel is preparing for a wave of lawsuits by pro-Palestinian organizations overseas against Israelis involved in the Gaza fighting, claiming they were responsible for war crimes due to the harsh results stemming from the IDF’s actions against Palestinian civilians and their property.
Senior Israeli ministers have expressed serious fears during the past few days about the possibility that Israel will be pressed to agree to an international investigation of the losses among non-combatants during Operation Cast Lead; or alternately, that Israelis will be faced with personal suits, such as happened to Israeli officers who were accused of war crimes in Britain for their actions during the second intifada.
” Advertisement
When the scale of the damage in Gaza becomes clear, I will no longer take a vacation in Amsterdam, only at the international court in The Hague,” said one minister. It was not clear whether he was trying to make a joke or not.
Another minister said that in contrast to the situation that existed following Operation Defensive Shield in the West Bank seven years ago, this time attacked by Israel is under total Palestinian control. Hence, foreign journalists who enter the Gaza Strip to report on the aftermath of Operation Cast Lead will not be accompanied by Israeli officials or spokesmen, as they were in the West Bank in 2002.
The defense establishment has started to collect material in advance of the expected legal claims, and has prepared its defense regarding the private houses the Israel Defense Forces attacked in Gaza. The evidence includes material about where weapons were stockpiled, and sites from which Hamas was firing rockets. Social Affairs Minister Isaac Herzog (Labor), who is coordinating the humanitarian aid to Gaza, will also coordinate Israel’s public relations efforts against the accusations of war crimes.
The main danger is expected to come from lawsuits brought by individuals and organizations, rather than governmental attempts to undertake official investigations. Senior officials expect that the visits of European leaders in Jerusalem this week, and statements by them that presented Israel’s offensive as part of a justified war on terror, will aid Israel in future legal battles.
Israel will emphasize that it acted in self-defense in Gaza and expended great efforts in warning residents that their homes were about to be targeted and ordering them to vacate them. Israel used text messages, dropped flyers from the air and made a quarter of a million telephone calls to warn Gaza residents, as well as taking over and broadcasting warnings on Palestinian radio stations. Its defense will also provide evidence of how Hamas turned houses, schools, mosques and welfare institutions into weapons warehouses and booby-trapped them, explaining that they were attacked because they were legitimate military targets.
• Questa grave escalation cancellerà ogni possibilità di seri negoziati che potrebbero avere luogo grazie ai piani dell’amministrazione Obama.
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Questa è una forzatura. Tutto sta a ciò che Israele offrirà per la pace, a cosa metterà sul tavolo delle contrattazioni.
Io sono del parere che potrebbe giocare puntando una posta molto alta, ovvero offrendo più di quello che i palestinesi chiedono. In funzione di una pace duratura, si deve dare l’impressione che i palestinesi abbiano vinto, magari condizionando le concessioni alla firma di Abu Mazen tenendo fuori Hamas. Di fronte a concessioni che vadano oltre la richiesta, nè la comunità internazionale nè quella araba nè quella palestinese moderata potranno avere di che reclamare. Se mai dovessero ancora reclamare, sarà chiaro a tutti che è intenzione dei palestinesi eliminare Israele dal territorio. Dopodicchè, conoscendo Israele, saranno cavoli loro, si saranno scavati la fossa con le proprie mani.
La pace è economicamente sempre vincente, un prezzo alto all’inizio verrà ripagato nel tempo con gli interessi. L’avidità, al contrario, non è mai premiante nel lungo termine. Se Allah restituirà il senno ad entrambi i contendenti, può anche darsi che lo capiscano.
per Giovanni Falco
sono stato un po’ troppo sintetico.
L’area rivendicata dagli issraeliani comprendeva la striscia lungo il Giordano e tre corridoi, tutti larghi una decina di miglia.
Ma intorno a queste aree direttamente annesse ad Issraele e quindi SENZA palestinesi c’era un’area di rispetto che rimaneva sotto il controllo dell’autorità MILITARE issraeliana.
I palestinesi hanno detto che in tal modo il 42% del loro territorio sarebbe stato sotto il controllo di Issraele. Chi ha altre notizie le porti.
Inoltre le frontiere sarebbero state tutte sotto controllo issraeliano e le sorgenti d’acqua sarebbero state tutte di proprietà issraeliana.
Nella migliore delle ipotesi il territorio palestinese sarebbe stata una riserva indiana, nella peggiore un bantustan ai tempi dell’apartheid.
Naturalmente comparando un po’ si sarebbe potuto realizzare il paradiso in terra. D’altra parte è quel che dice l’Anita che gli indiani sono ultra-ricchissimi….. Per quel che se ne sa sono dei poveri alcolizzati ma lasciamo perdere, si sa che l’Anita a volte sogna ad occhi aperti. U.
Io sono del parere che potrebbe giocare puntando una posta molto alta, ovvero offrendo più di quello che i palestinesi chiedono mt
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Mi scusi, caro, la domanda indiscreta: spinello? Coca? Peyotl? LSD? ….. Si metta comodo e ci racconti. U.
ps
per Vox
trovo clamorosamente interessante il resoconto della trasmissione della Tv Usa con Indyk e Finkelstein che hai offerto al blog… è la dimostrazione definitiva di un sospetto che covavo da tempo e non solo…
Norman Finkelstein è figlio di sopravissuti dell’Olocausto ed autore di opere come “Immagine e realtà del conflitto palestinese” (Akal2003), e “L’industria dell’olocausto: riflessioni sullo sfruttamento della sofferenza ebraica “(Secolo XXI della Spagna 2002.) La sua pagina web è http://www.NormanFinkelstein.com.
Titolo originale: “Los hechos acerca de Hamas y la guerra contra Gaza”
Fonte: http://www.rebelion.org
Link
13.01.2009
L’articolo di Pietro Falco, in breve, mette in evidenza che ci sarà una seria richiesta di portare Israele in tribunale a difendersi dall’accusa di genocidio e che, di converso, la difesa israeliana sta mettendo insieme prove che gli edifici colpiti erano depositi di armi o legittimi bersagli militari, attaccati comunque sempre dopo aver avvertito la popolazione di sgombrare l’area prima dell’attacco.
Mah, credo che alla fine tutto si risolverà in un nulla di fatto, come al solito. Staremo a vedere le posizioni di Obama in merito, ma credo che Israele se la passerà liscia anche stavolta.
per Uro: sono Pietro non Giovanni!!!!
Per Uro, post 26.
Se gli ebrei hanno, come si è sempre detto, l’animo dell’imprenditore, sanno che devono INVESTIRE per ottenere un reddito.
Portata sul piano politico, la faccenda è semplice ed evidente: avere i palestinesi contro, è una perdita economica continua, una continua emorragia di soldi e di gente impiegata nella difesa invece che nella produzione.
Israele, inteso come Stato Imprenditore, avrebbe tutto l’interesse ad investire per fermare l’emorragia.
Se poi sono così cretini da non capirlo, che vadano a farsi benedire loro e la loro stupida avidità.
Pietro, forse Uro ha in mente Giovanni Falcone ed istintivamente FALCOne diventa Giovanni. Capita.
Falco è un cognome molto diffuso nell’area di Formia. Niente a che fare?
A proposito dei confini (sempre da Haaretz): pare non sia così peregrina l’ipotesi di un accordo di pace su quelli pre 19687 “con qualche aggiustamento”… Il processo per crimini di guerra, in questo caso, potrebbe rivelarsi un arma di pressione nell’economai complessiva: come dice Sinclair, dopo il batone, ci vuole la carita
a stasera
OPINION / Israel is good at using sticks, but its carrot approach needs work
By Alex Sinclair
During its three-week offensive on Hamas, Israel has used a great big stick on the Palestinians of Gaza. Most Israelis, myself included, have supported our right to use that stick, pained as we are at the suffering we have inflicted on many innocent Palestinians.
But when the core narrative of the situation was “We got out of Gaza; you continued to attack us” – which, despite Israel’s continued blockades and targeted assassinations, remains the basic truth of the Gaza story over the past 3 years – then we were justified in taking action to prevent these attacks.
Israel is very good at using sticks. It’s the carrots where we mess up.
It’s just no good continually beating up the Palestinians. Yes, they were in the wrong. Yes, they elected an evil and disgraceful leadership. Yes, they once more didn’t miss the opportunity to miss the opportunity. Yes, this war is justified. Yes, yes, and yes.
But killing lots of Palestinians is not going to magically turn them into Zionists. When the war is over, they will still be there. Our neighbors. We will still need to live next door to them. We will still need to come to a modus vivendi.
There will never be a way out of this conflict until we offer the Palestinians some carrots: hope and belief. The sheer despair and hopelessness of many well-meaning Palestinians, in both Gaza and the West Bank, bodes ill for anyone who cares about Middle East peace. They just don?t believe it?s possible any more.
Here are some carrots that Israel needs to offer the Palestinians, even as we continue to deal with Gaza via the stick.
1. Israel needs to start work on the safe passage between Gaza and the West Bank.
It’s a disgrace that we haven’t built it yet, 16 years after Oslo. There’s no security risk for Israel here: it would go through our territory, so we could police it and prevent smuggling through it without a problem.
There are plenty of simple ways to build this safe passage – a road or bridge with raised walls and a border control checkpoint at either end doesn’t take too much imagination.
Commentators in the West call Gaza an “open-air prison”. That may be demagogy, but there is something to it: I can’t imagine what it’s like to be confined to an area the size of Gaza.
If there’s ever going to be peace, Gazans are going to have to be able to spend the day in the West Bank visiting their families. We can build a secure way of enabling that with absolutely no risk to Israel. Why on earth should we not do that?
To those who fear that this would lead to Gazans smuggling themselves into Israel: well, we have a nearly-complete border called the security fence. If that stops ping West Bank terrorists getting into Israel, then it will also stop Gazan terrorists getting into Israel via the West Bank.
If we were to start work on a safe passage tomorrow, even as we bomb Gaza, it would truly send the message that our argument is with Hamas, not with the Palestinian people.
2. Israel needs to come to an agreement with Palestinian President Mahmoud Abbas on borders. We can do this tomorrow as well.
Really, every kid in the street knows that the borders are going to end up being the pre-1967 lines with some minor adjustments and land swaps.
The arguments are over exactly where the territorial exchanges are going to be. Surely there is nothing like the prospect of the entire region going up in flames to focus the minds for an afternoon or two and get those border maps done? And no, dear reader, I am not being naïve: the real naïveté is thinking that peace is possible without that basic redrawing of borders.
3. Israel needs to make a gesture on the fate of Jerusalem. Yes, we all know deep down that in the end, whether we like it or not, we are going to have to share Jerusalem. East Jerusalem is a different country, and most Israelis never go there. It’s not ours. It’s not us. And that’s okay.
Borders in Jerusalem will be complicated – we should remember that at Camp David, Bill Clinton was said to have pored over precise maps of individual streets, roads, and alleyways – but one day, the state of Palestine will have East Jerusalem as its capital. Let’s make the magnanimous gesture and have a joint ceremony when we break ground on the Palestinian parliament together with Abbas.
We can do these three things without harming Israeli security one iota, and we can do these three things while we are justifiably seeking to destroy Hamas.
Right now, most Palestinians think that we don’t care about peace with them, and we are just out to kill them. I don’t blame them for thinking that. But we can still turn things around for our future. We can show Palestinians that we will not tolerate their attacks on us, but that at the same time, we are prepared to work with them if they show their willingness to live with us.
This is not a lily-livered lefty dream. I’m not saying put away the stick. I’m not saying don?t defend ourselves. I’m not saying tolerate missiles in Gaza. But unless we get those carrots out fast, the window of opportunity for peace is going to slam shut and collapse on us all.
ps
Alex Sinclair is a lecturer in Jewish Education at the Schechter Institute for Jewish Studies, Jerusalem, and an Adjunct Assistant Professor at the Jewish Theological Seminary of America, New York.
x Uro post 26.
Mi sono accorto di aver usato il termine ‘potrebbero’ invece del più esatto ‘dovrebbero’.
Da qui la sua giusta ‘osservazione’.
There will never be a way out of this conflict until we offer the Palestinians some carrots: hope and belief.
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A quanto pare non sono l’unico a pensarla così.
And no, dear reader, I am not being naïve: the real naïveté is thinking that peace is possible without that basic redrawing of borders.
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Eh, si, dovrebbe ben spiegarlo al suo governo, che non l’ha ancora capito.
It seems they are not the only one who thinks so.
Do not worry you are the only !!
Ricevo e volentieri posto:
«Olmert ha sbagliato, la sua guerra non è stata giusta»
di Umberto De Giovannangeli
http://www.unita.it/news/75332/olmert_ha_sbagliato_la_sua_guerra_non_stata_giusta
È tornato ai suoi, affollatissimi, corsi universitari. Ma non è venuto meno a quella passione civile e a quel coraggio intellettuale che lo ha portato per molti anni ad essere il leader riconosciuto della sinistra pacifista israeliana: parliamo di Yossi Sarid, fondatore del Meretz, più volte ministro nei governi a guida laburista. Oggi, Yossi Sarid è una voce fuori dal coro, la voce dell’Israele che non crede nella «guerra giusta» di Gaza. «No – afferma deciso Sarid – quella condotta a Gaza non è stata una guerra giusta. È semmai una guerra terapeutica che libera da inibizioni morali, guerra fatta per roteare gli occhi. Per questo è ancora più pericolosa».
Professor Sarid, nel vivo della guerra a Gaza, le autorità israeliane hanno reagito duramente ad una immagine utilizzata dal cardinal Martino per definire la condizione di Gaza e della sua gente: Gaza, ha sostenuto il cardinale, è un grande campo di concentramento. È una forzatura della realtà?
«No, non è una forzatura. A Gaza un milione e mezzo di esseri umani, la maggior parte dei quali profughi abbattuti e disperati, vivono nelle condizioni di una gigantesca prigione, terra fertile per un altro giro di bagni di sangue. Terra in cui giovani che non hanno futuro rinunciano facilmente al loro futuro, che non possono scorgere all’orizzonte. Il fatto che Hamas possa essersi spinta troppo oltre con i suoi razzi non è una giustificazione per la politica di Israele degli ultimi decenni, per la quale si merita giustamente una scarpa irachena in fronte».
Considerazione durissima. Alla quale si potrebbe rispondere che nell’estate del 2005, Israele si è ritirato unilateralmente da Gaza.
«La parola chiave resta sempre quella: unilateralmente. Israele ha preso tutte le decisioni più importanti in questa chiave: il ritiro da Gaza, il tracciato della Barriera in Cisgiordania, la realizzazione degli insediamenti, il continuo stop and go ai negoziati. E ora il cessate-il-fuoco nella Striscia. È come se la controparte non esistesse o non avesse voce in capitolo. Questo ha finito per delegittimare ogni controparte. E sulla delegittimazione dell’altro non si costruisce un percorso negoziale».
Insisto: Israele afferma che è stato Hamas a violare la tregua, sparando missili contro il Sud d’Israele.
«Il punto non è giustificare Hamas, cosa che mi guardo bene dal fare. Il punto è che è difficile far credere che sia esistita una tregua a un milione e mezzo di persone che hanno continuato a vivere in una gigantesca prigione. Cosa ci attendevamo da loro? Che prendessero le armi contro Hamas? Il fatto è che in questi anni la cecità della nostra politica ha finito per rafforzare Hamas e i gruppi radicali. E per spiegarle questo convincimento voglio raccontarle una storia…»
Quale storia, professor Sarid?
«La scorsa settimana ho parlato con i miei studenti della guerra a Gaza nel contesto di un corso sulla sicurezza nazionale. Si è sviluppata una discussione appassionata, e uno studente, che si era dichiarato “molto conservatore”, mi ha detto: “Se io fossi (stato) un giovane palestinese avrei combattuto ferocemente gli Ebrei, perfino col terrorismo. Chiunque ti dica delle cose differenti, mente. Quelle parole mi hanno scosso nel profondo. Le sue osservazioni suonano familiari, le ho già sentite nel passato. Improvvisamente ricordo: circa 10 anni fa erano proferite dal nostro ministro della Difesa, Ehud Barak. Il giornalista di Ha’aretz Gideon Levy gli chiese allora, come candidato a primo ministro, cosa avrebbe fatto se fosse nato palestinese e Barak, con franchezza, rispose: “Mi unirei ad una organizzazione terroristica”. E qui il cerchio si chiude…».
In che senso si chiude?
«Io ho odiato tutti i terrorismi nel mondo, quale che fosse il fine delle loro lotte. Comunque, sostengo ogni attiva rivolta civile contro ogni occupazione, e Israele è fra i più deprecabili occupanti. E fino a quando varrà ciò che quello studente ha detto, “se fossi palestinese combatterei gli Ebrei”, e ammesso da Barak, “mi unirei ad un’organizzazione terroristica”, non vi sarà mai spazio per la pace, ma solo per nuove, devastanti “guerre terapeutiche”, o per tregue destinate a fallire se restano tali e non, come è necessario, la premessa di una vera strategia del dialogo».
19 gennaio 2009
Caro marco tempesta,
provi un po’ a ragionare.
Le elezioni probabilmente sono sempre state un po manipolate, però Al Fath era al governo e di solito manipolano i governi, non le opposizioni. O no? [Beh…. naturalmente il Banana fa eccezione: con lui manipolano non i prefetti, com’è sempre stato, ma non si sa chi e quindi le opposizioni possono alterare le elezioni. Occhei, dico io…. sarebbe un caso unico al mondo ma perchè stupirsene]
Come avrà fatto mai Hamas a manipolare le elezioni non avendo un esercit0, una polizia ed una compagine burocratica di controllo? Mistero…. Avrei addirittura il sospetto che Hamas abbia avuto una maggioranza di gran lunga superiore a quella ufficiale….
Comunque Hamas vince le elezioni a Gaza a dovrebbe quindi governare la Striscia. Solo che Al Fath non molla il potere fino a che Hamas non prende il potere che le spettava buttando fuori quelli di Al Fath.
Subito dopo Issraele dichiara il blocco alla Striscia, al quale blocco Hamas reagisce con il lancio di razzi, che sono anche una rappresaglia per i continui omicidi mirati degli aSSassini issraeliani
Questi sono i fatti storici, mio caro. Quindi parlare del terrore dei poveri abitanti di Sderot è solo propaganda sionista. Non a caso sostenuta da Rodolfo, dall’impareggiabile Anita e da pochi altri gegni. U.
Sconfitto e umiliato, Hamas resta al potere a Gaza. Forse è questo il vero scopo dell’operazione “Piombo fuso”. Le Palestine restano due, entrambe smilitarizzate, ma ancora senza essere uno Stato. Entro qualche mese il processo di pace iniziato l’anno scorso ad Annapolis, si rimetterà in moto.
Israeliani e palestinesi dovranno accordarsi su questioni controverse come le frontiere, la spartizione di Gerusalemme, il diritto al ritorno dei profughi palestinesi e le colonie ebraiche. L’esistenza di due realtà palestinesi, una buona e l’altra che ancora non riconosce l’esistenza di Israele, sarà di grande aiuto ai negoziatori israeliani. Difficile creare uno Stato solo di due Palestine così opposte.
Gerusalemme, 14:23
GAZA: LIVNI, VITTIME CIVILI? SONO IN PACE CON ME STESSA
Respingendo tutte le critiche ricevute a livello internazionale per le vittime tra la popolazione civile della Striscia di Gaza, il ministro degli Esteri Tzipi Livni ha definito i morti “un frutto delle circostanze”, e ha difeso a spada tratta l’offensiva nella minuscola enclave. “Dovevamo effettuare quell’operazione”, ha tagliato corto la signora Livni, intervistata dalla radio pubblica del suo Paese. “Sono in pace con me stessa per il fatto che l’abbiamo lanciata”. Il capo della diplomazia dello Stato ebraico, leader del partito centrista Kadima e candidata a diventare primo ministro nelle elezioni anticipate del 10 febbraio prossimo, ha rinnovato le accuse ad Hamas, additandolo a responsabile unico della carneficina, oltre 1.300 le persone uccise e 5.300 i feriti secondo fonti mediche a Gaza, per aver scelto di combattere nei centri abitati. “Noi diamo la caccia ai terroristi”, ha tagliato corto, “e nella lotta al terrorismo puo’ succedere che a volte i civili rimangano colpiti. E’ una cosa da non prendere alla leggera”, ha comunque concesso Livni. “Si tratta di questioni che ci impongono un compito complesso e, per quanto riguarda le perdite tra i civili, sono conseguenze con cui dobbiamo fare i conti, tra noi stessi e nei rapporti con il mondo esterno”. Di analogo tenore le dichiarazioni rese da un portavoce della Fanteria israeliana, colonnello Ilan Malka: “Non c’e’ stato alcun ricorso eccessivo alla nostra potenza di fuoco”, ha puntualizzato l’ufficiale, nell’ambito di una delle rarissime conferenze stampa indette con i giornalisti, dopo averli tenuti ben lontano dal teatro delle attivita’ militari per oltre due settimane. “Io mai manderei una decina di soldati dentro a una casa che si sospetti sia minata, e dove essi potrebbero saltare in aria, prima di aver creato le condizioni per un loro ingresso all’interno. Se Hamas avesse voluto proteggere gli abitanti di Gaza”, ha concluso, “non avrebbe dovuto piazzare esplosivi in quella casa”.
Copenhagen, 15:19
GAZA: VIGNETTA RIPRENDE FOTO GHETTO, BUFERA IN DANIMARCA
Bufera in Danimarca per una vignetta che mostra un bambino di Gaza con le mani alzate nella stessa posa della celebre foto di un bambino ebreo scattata nel ghetto di Varsavia. Il disegno del caricaturista Per Marquard Otzen, pubblicato dal terzo quotidiano del Paese, Politiken, e’ stato accusato di antisemitismo. “Davvero si ritiene che il rapporto tra Israele e Hamas possa essere paragonato a quello tra la Germania di Hitler e gli ebrei d’Europa?”, ha chiesto la comunita’ ebraica in una lettera aperta al quotidiano. Il direttore del giornale, Toger Seidenfaden, ha riconosciuto che il paragone con il dramma del Ghetto di Varsavia, immortalato dalla foto del 19 aprile 1943, e’ “sconveniente” e appare “spropositato”, ma ha difeso l’autonomia dei suoi disegnatori che a suo dire si sono fatti interpreti di una protesta diffusa tra i lettori senza oltrepassare il limite. Le polemiche sulla caricatura di ‘Politiken’ fanno seguito a quelle scatenate due anni fa in tutto il mondo dalle vignette sataniche su Maometto, pubblicate dall’altro quotidiano danese “Jyllands-Posten”.
x Uroburo
Ok, Benjamin Nethanyahu, si sara’ sbagliato sulle date o la stampa ha fatto un errore.
Io ho solo espresso come la pensano buona parte degli ebrei, e non solo in Israele.
Lei non da mai la fonte delle sue informazioni storiche, almeno io, giusto o sbagliato ne riporto la fonte.
Quote:
“Questi sono i fatti storici, mio caro. Quindi parlare del terrore dei poveri abitanti di Sderot è solo propaganda sionista. Non a caso sostenuta da Rodolfo, dall’impareggiabile Anita e da pochi altri gegni. U.”
Sara’ propaganda sionista, allora ci aggiunga anche l’impareggiabile neo Presidente Barack H. Obama e una buona maggioranza del Senato e del Congresso.
Quali saranno le ripercussioni certamente non lo so, come non so se ambe due le parti manterranno una tregua.
Anita
Un episodio secondario ma utile a capire chi è che rompe le tregue dichiarate o meno.
Dal TG delle 13, Gerusalemme est, militari israeliani hanno circondato una palazzina di 5 famiglie e con il pretesto che li aveva abitato un terrorista palestinese, hanno in parte demolito e poi reso inservibile l’intero edificio con una colata di cemento.
Tutto questo come atto di buona volontà per la promozione di un clima di pace e di serenità ed in attesa di cementare l’amicizia tra i popoli intanto gli hanno intanto “cementato” la casa.
I vari giustificazioniati sono ovviamente pronti , qualora uno di quegli inquilini sbattuti in mezzo alla strada si incazzasse un pochino e spaccasse la testa ad uno di quei bravi soldati che gli hanno murato l’appartamento con tutto quanto c’era dentro, a gridare indignati “ i palestinesi hanno roto la tregua.
A tutti i giustificazionisti ad oltranza un sincero e sentito …..
… ma andate a cagareeee……!!!!!!!!
Antonio - – – antonio.zaimbri@tiscali.i
x Pietro Falco
Nel darti il mio benvenuto nel blog ti rivolgo una (atea) preghiera.
Io non conosco l’inglese, se è per una frase mi viene in aiuto il traduttore automatico che è però molto impreciso e su lunghi brani serve a ben poco. Quindi ti invito, quando posti dei lunghi brani in inglese di mettere una seppur brevissima sintesi, un sommario accenno al tema trattato.
Se lo fai te ne sarò grato.
Antonio - – – antonio.zaimbri@tiscali.i
x Uroburo
Dalla Stampa.it:
«Sosteniamo la decisione unanime del governo israeliano di cessare le ostilità, è una decisione degna di un Paese democratico; ma diciamo: non è che un primo passo, occorre andare più lontano», ha dichiarato Sarkozy in conferenza stampa.
«Non abbiamo sostenuto né approvato l’intervento dell’esercito israeliano a Gaza: riconosciamo e abbiamo riconosciuto la responsabilità iniziale di Hamas, con il lancio dei razzi che hanno condotto alla rottura della tregua, ma pensiamo che il posto di Tsahal non sia a Gaza», ha concluso il presidente francese.
http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/esteri/200901articoli/40157girata.asp
Anita
ma vede U., noi parliamo e non ci capiamo.
Il mio primo interrogativo, quando Israele ha dato due giorni di tempo ad hamas per smettere col lancio di razzi, ed Hamas non ha smesso, è stato: perchè?
A questo interrogativo non sono ancora riuscito a darmi una risposta.
Altro interrogativo che per ora resta anch’esso senza risposta: a cosa è mai servito tanto sfoggio di forza contro Hamas, quando uno o due giorni di attacchi aerei sarebbero bastati a dare una solenne bastonata?
Lasciamo perdere i massimi sistemi e ragioniamo ‘alla femminile'; le risposte a queste domande possono essere due:
– Sono entrambi andati fuori di senno
– Ci sono motivi che noi non conosciamo.
Le analisi che ho letto, secondo le quali c’entrano le elezioni, la sconfitta in Libano, il desiderio di spingere i palestinesi ad andarsene e tutto ciò che abbiamo sentito dal giornalismo mondiale, possono esse confutate una per una e nessuna risposta riesce a soddisfare nessuna delle due domande.
Possiamo fare i faciloni e mettere tutto nel calderone del sionismo, nell’idea di continuare sul sentiero di Hertzl, ma a quanto stiamo vedendo, Israele sta sempre più chiudendosi in un imbuto, sta sempre più esponendosi alla riprovazione mondiale. Gli USA possono proteggere fino a un certo punto, ma non sono più la potenza di una volta, hanno problemi anche loro. Possibile che gli israeliani non ne tengano conto? I palestinesi sono diversi milioni, non sono venti o trentamila persone che le metti dove vuoi. Oltretutto non li vuole nessuno. Giocoforza daranno filo da torcere ad oltranza. Una mattanza di 1500 uomini, che già sembra uno sproposito, è solo l’uno per mille della popolazione di Gaza; cosa pensano di fare dell’altro novecentonovantanove per mille? E quelli della West Bank? E quelli che stanno in Libano? E quelli che stanno in Giordania? E quelli che stanno sparsi per il mondo? Pensate se ne restino tutti con le mani in mano?
Ecco perchè non mi sembra credibile l’idea di completare il lavoro del ’48 come lo intendeva Hertzl.
Torniamo ai conti alla femminile:
– è plausibile l’idea che dentro Hamas qualcuno si sia fatto i conti di quanto si possa intascare con i soldi della ricostruzione? Per ricostruire bisogna che qualcuno sfasci. Può essere un valido motivo da parte di Hamas per indurre gli israeliani ad intervenire.
– è plausibile l’idea che per prendere anche il comando della West Bank si creino i presupposti per screditare completamente Abu Mazen, ‘amico’ di Israele criminale? Questo è un altro valido motivo per far invadere Gaza e, più morti ci sono, meglio è.
Questo, da parte di Hamas, per dare una risposta alla prima domanda. Alla seconda domanda non ho risposte, ammenocchè Israele non cercasse qualcosa o qualcuno.
Come avrà fatto mai Hamas a manipolare le elezioni non avendo un esercit0, una polizia ed una compagine burocratica di controllo? U.
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Ciò che ho saputo io è che non ha manipolato, ha semplicemente usato le maniere forti. Le fonti però erano ebree, per quanto io le ritenga attendibili.
marcolino,quello che hai saputo TU?
E dove ,interrogando la “ballmagic” o rovistando come dici di saper fare ,dove ogni tanto Uroburo ti ricorda di andare?
come dice, Peter …white noise…white noise…