In attesa di sapere se davvero Olmert attaccherà anche l’Iran ecco i racconti di una brava inviata in Israele

Non so se l’Israele bombarderà davvero l’Iran il giorno 20, schiaffeggiando così pubblicamente e clamorosamente anche Obama nel giorno del suo insediamento alla Casa Bianca. Il governo israeliano è ormai fuori controllo, condotto da omuncoli come Olmert capaci di lucrare perfino sugli orfani gonfiando le note spese dei viaggi sta spingendo il suo Paese in un tunnel sempre più buio, ma sa che può contare su gran parte dell’opinione pubblica occidentale grazie all’ignoranza in cui è tenuta dalla propaganda dei mass media, che quando si tratta di Israele di informazione ne fanno meno che mai. Tant’è che tutti si bevono la balla dei civili usati come scudi umani dagli stessi palestinesi, balla inventata per tentare di giustificare l’ignobile mattanza e pulizia etnica in corso nella Striscia di Gaza. Che sia una balla lo dimostra sia la mancanza di ribellione dei civili contro Hamas – e anzi anche Al Fatah, cioè gli uomini di Abu Mazen,  ora combatte affianco ad Hamas! – e sia il fatto che si tratta di affermazioni dell’ufficio stama (e propaganda) delle forze armate israeliane, cioè di uno dei due contendenti. Che per giunta – guarda caso – non vuole la presenza di giornalisti, così come da sempre non vuole l’Onu tra i piedi. Ora forse si capisce meglio cosa successe in realtà a Jenin, quando anche nostre balde giornaliste di parte si bevvero, e propinarono, la bella versione scodellata loro a botta calda da un ben preciso ufficiale portavoce dell’esercito. Ora non ne ricordo il nome, ma quanto prima tornerò su quella vergognosa vicenda.
In attesa dei giorno 20, giorno comunque fatidico se non altro perché si insedia Obama e in troppi sperano da lui l’impossibile, vi propongo dei reportage di una collega da Israele. Vi propongo i post della collega Barbara Schiavulli, de L’espresso, scritti per il suo blog. Barbara ha lavorato a lungo anche in Iraq per vari giornali dopo l’invasione angloamericana, quando i giornali preferivano non mandare i loro inviati per paura dei continui attentati e del pericolo di rapimenti.  Barbara è quindi una collega brava e coraggiosa, oltre che sempre molto informata specie per il Medio Oriente. Dopo l’invasione di Gaza è stata mandata in Israele, dove anche a lei è stato impedito di mettere piede nella disgraziata Striscia di Gaza. Ho deciso di dedicare una puntata alle sue annotazioni in Israele riguardo le cose che ha visto e vissuto.

BENVENUTA IN ISRAELE

1 gennaio 2009 – Non c’è niente da fare. Ci sono cose che non cambiano mai. Nemmeno le mie reazioni riescono ad essere più evolute di dieci, o cinque o due anni fa. Nemmeno di tre mesi fa. Arrivo all’aeroporto di Tel Aviv, con un volo Alitalia, come sempre in ritardo. Scendo, sono con un collega. Il sole filtra attraverso le grandi vetrate, c’è sempre un po’ di emozione a tornare in Israele. D’altra parte tutto è cominciato qui anche per me. Questo posto è stato lavoro, casa, amici, ho scritto i miei primi pezzi, ho raccontato le prime storie, ho visto persone morire, persone fuggire, persone scomparire. Ho conosciuto il dolore in questo posto. La rabbia. La rassegnazione. Mi sono imbattuta nella forza delle persone che affrontano la sofferenza, le loro vite fatte a pezzi. Quando vivevo a Gerusalemme, ho vissuto la sottile paura che ti accompagna quando sali su un autobus o ti fermi a fare uno spuntino in un bar. Ho imparato ad abituarmici come fa la gente che vive in situazioni estreme. Da una parte o dall’altra. Sono trascorsi anni e faccio a fatica a distinguere il dolore dei palestinesi da quello degli israeliani. Non riesco a essere di parte. Ricordo una ragazza di 19 anni che doveva sposarsi e invece è morta con il padre il giorno prima delle nozze, spazzata via da un kamikaze. Credo di non aver mai pianto tanto ad un funerale circondata dai parenti della ragazza che erano venuti per il matrimonio. “Tu sarai sempre la mia sposa”, disse il suo fidanzato mettendole l’anello sul panno di velluto che copriva il suo corpo devastato. Poche ore prima invece avevo visto morire un bambinetto palestinese colpito da un pezzo di cemento schizzato da una casa. Un carro armato israeliano stava sparando contro l’edificio per far uscire quattro militanti. Il bimbo che indossava una magliettina rossa è stato colpito in piena faccia. E’ rimasto un buco nero.
Insomma torno a oggi. Era solo per dire che questo è un posto che ho dentro. Con tutte le sue contraddizioni, con i suoi problemi, i suoi torti e le sue ragioni. Arrivo all’aeroporto, la ragazza del controllo passaporti guarda schifata il mio passaporto quasi nuovo. Ho solo tre timbri: Emirati Arabi Uniti, Afghanistan e Pakistan. Un attimo prima le ho chiesto con gentile fermezza di non mettermi il timbro israeliano. Altrimenti al mio ritorno dovrei rifare il passaporto, perché molti paesi arabi non ti lasciano entrare se hai un visto israeliano. Giusto o sbagliato che sia, questo è quanto. La ragazza, una ricciolina che vedrei meglio su un cubo in discoteca, che immersa nella sua divisa troppo stretta, chiama la sicurezza. Vorrei già cominciare a urlare.
Arriva un poliziotto, mi accompagna in una stanzetta e si dimentica di me. Accanto ho un ragazzetto svizzero che ha la mamma israeliana e la sorella che l’aspetta fuori, più in là c’è una ragazza bionda, probabilmente russa e uno con una giacca rossa firmata Ferrari dai tratti somatici che sembrano arabi. “E tu che ci fai qui? Perché sei pericoloso?”, dico al ragazzo, che andrebbe punito solo per la bruttezza delle scarpe. “Ho il timbro del marocco, ci sono andato in vacanza un paio di mesi fa”. Annuisco. Cavoli, un israeliano che va in vacanza in marocco. Molto pericoloso. “E tu?” mi chiede lui. “Sono una giornalista, capita spesso, soprattutto perché ho tanti visti di paesi arabi”. “Eh già – dice lui – questa è la democrazia israeliana, ma bisogna anche capire”. Capisco sul momento, ma dopo due ore non capisco più. “Mi scusi?”, mi affaccio e chiamo una poliziotta. “Stia seduta e aspetti il suo turno non vede che sto parlando con qualcun altro?”. Comincio a pensare che invece di arrabbiarmi forse dovrei chiamare l’ambasciata. Poi penso, cavoli e il primo dell’anno, non possono tirarla tanto per le lunghe. Neanche quella poliziotta può essere maleducata e prepotente come quasi sempre accade. Ovviamente sono solo ottimista. Scalpito. Sbuffo. Fumo. (non una sigaretta, dalle orecchie). Una piccola tv manda le immagini di Gaza. Dovrei essere già essere in albergo e pensare al da farsi. Invece sto qui. Tiro fuori un libro, mi metto a leggere. Piano piano tutti se ne vanno, arrivano altri.
“Venga”, mi dice una della sicurezza che mi porta in uno stanzino. “Dobbiamo farle qualche domanda”. “Ok”. “Vedo che è stata tante volte qua”. “Seguo questa zona”. “Ah si?”. “Già”. “E conosce persone suppongo”. “Qualcuna, sa faccio la giornalista”. “E per chi lavora? E da quando? E quanto resta, e dove andrà?, ha un tesserino? Non ne ho mai visto uno così”. Lo so, il tesserino dell’ordine dei giornalisti è un po’ ridicolo, ma è quello che passa il convento, per il resto, rispondo come posso, nel modo più vago possibile. “In quali paesi arabi è stata?”. “Tutti”. “Tutti quali?”. Sciorino un elenco, non mi ricordo neanche cosa ho mangiato ieri, figuriamoci dove sono stata catapultata negli ultimi anni. “Conosce qualcuno in quelle zone?”. “No parlo con le piante”.
“Intendo se ha amici”. “Non ho amici. Sono antipatica e asociale”. Mi chiede dove abito, il mio numero di telefono. “Sono qui solo per raccontare questa storia”. Quale storia? “Quello che sta succedendo a Gaza”. “Ah – dice lei – e ha intenzione di entrare?”. Quando apriranno entrerò con tutti i colleghi del resto del mondo. “Non lo sa che è zona militare e non si può entrare?”. Lo so, ma prima o poi apriranno. “Non credo”. Strabuzzo gli occhi. Ammetto di essere esausta. Ho fame. Le vetrate non filtrano più il sole, è buio. “Va bene può andare”. Mi alzo e aspetto la poliziotta maleducata che mi deve riportare il passaporto. “Va bene la lasciamo andare”, mi dice venendomi incontro. “naturalmente”, le rispondo io. “Naturalmente? Possiamo anche rispedirla indietro se vogliamo”. Fatelo. Rispeditemi.
Invece mi volto e vado verso l’uscita. Prendo un taxi, chiamo i miei amici israeliani per salutarli, chiamo i miei amici palestinesi per salutarli. Non voglio parlare di politica, voglio solo sapere come stanno. Arrivo a Gerusalemme, il tassista non è molto pratico, fa un giro lungo, non gli dico niente, mi godo la vista, mi lascio avvolgere dalla bellezza della Città Vecchia. Le guglie delle mura nascondono un tesoro di viuzze. Mi piace anche la parte ovest quella israeliana, da qualche parte c’è la mia vecchia casa. Arrivo in albergo. Non ho ancora cominciato a lavorare e già sto dando di matto. Meno male che Gerusalemme mi calma. Amo questa città. I visi conosciuti di quelli dell’albergo mi accolgono come una vecchia amica. “Appena abbiamo visto il casino, sapevamo che saresti arrivata, ma ci verrai mai qui una volta che non succede niente?”. Chissà se non succederà mai niente in questo posto. Chissà se si potrà morire di noia, di vecchiaia e di gentilezza? Da una parte e dall’altra.
TELEFONI E TRAMONTI

5 gennaio 2009 – Saluto un mio amico. Gli telefono, mi racconta che si e trasferito in a Tel Aviv, l’aria di Gerusalemme non trattiene i giovani. Troppe tensioni, troppi radicalismi, troppi problemi. La gente ha voglia di serate spensierate e di non pensare sempre alla politica che pende sulle loro teste. Non parliamo della situazione a Gaza, perché entrambi ci conosciamo da abbastanza tempo da sapere che non andiamo d’accordo. Ma si puo essere amici lo stesso. O per lo meno un tipo di amici. Decidiamo di vederci per un caffe quando scendo a tel aviv per delle interviste, ma mentre parliamo, arriva una telefonata. Anche se non capisco quasi niente, tranne che “si” e “si”, so che qualcosa sta accadendo. Torna con la voce un po’ mesta. “Niente caffe, sono stato appena richiamato in servizio, magari, invece, ti vedo a Gaza. Ma stai attenta, questa volta si fa sul serio”. In un attimo un ragazzo normale si trasforma in un soldato. Che si facesse sul serio non c’erano dubbi. Anche il fatto che i giornalisti siano tenuti fuori da quello che accade è significativo. Non era mai accaduto che il mondo restasse fuori. I tempi cambiano e quasi mai in meglio. Chiudo la telefonata, chiamo un altro amico, questa volta a Gaza. La sua voce è spezzata. Dice che vista la situazione sta bene, ma è molto preoccupato per i bambini, vogliono uscire a giocare e non riescono a capire che non si può. Ormai da giorni stanno tappati in casa e tremano quando sentono le esplosioni. Scherziamo sulle vacanze, mentre in sottofondo sento dei tonfi. Parliamo di tutto, tranne di quello che accade. Mi chiede dell’Italia, del Natale, di quello che ho fatto nell’ultimo viaggio in Pakistan, mi rendo conto di essere i suoi cinque minuti di evasioni. Per un attimo lo trascino fuori da Gaza, gli racconto dei regali di Natale, del pranzo, della mia famiglia, alcune cose le invento per renderle ancora piu belle e dall’altra parte del cellulare lo sento sorridere. Ci salutiamo, gli prometto di chiamarlo ancora, gli dico di salutarmi i bambini e di fare tanta attenzione. Chiudo. Ho la pelle d’oca. E’ uno dei pochi posti dove non sembrano esserci spiragli, da una parte un paese che fa credere ai suoi cittadini di volerli proteggere, e anche se credessi alle buone intenzioni, non credo sia tutto lì, soprattutto quando le guerre scoppiano sotto elezioni. Dall’altra un paese che indossa l’abito da vittima sempre e che lo giustifica per qualunque cosa. Se per una volta provassero a non guardare sempre indietro. Non so che dire, ogni volta che si da ragione ad uno, sembra si voglia dare torto all’altro. Ma qui non e cosi semplice. Non lo è affatto. Vado a vedere il tramonto sulla citta vecchia, l’unica cosa che gli uni e gli altri non si possono portare via.

SENZA TITOLO

5 Gennaio 2009 – Per noi giornalisti la guerra si vede da una collinetta di Sderot. Si lascia di poco la cittadina, si segue una strada deserta, poi si sale un piccolo mucchio di terra, quattro scalini e si raggiunge l’ombra di un albero. Ci sono due corde che reggono una tavola di legno che faceva da altalena. Doveva essere un bel posto per dondolarsi e perdersi in quell’orizzonte che sconfina nel mare calmo. Solo che tra il mare e noi c’è Gaza e colonne di fumo che si alzano verso il cielo.
Intorno decine di telecamere accese che puntano sull’unica cosa che possono vedere. Non si entra a Gaza, e gli israeliani, te lo dicono senza tanti problemi, non vogliono giornalisti dentro che si muovano senza controllo. Obiettivi tirati al massimo dunque, che sobbalzano al suono dell’artiglieria israeliana. Non arrivano le grida di dolore di Gaza, a pochi chilometri, ma qualche razzo non manca di atterrare nei campi aperti. La gente si butta nei rifugi, molti tremano di paura. Una donna piange e un’altra le accarezza il viso e cerca di rassicurarla.
Sono due mondi inconciliabili, sono le loro paure e le loro similitudini a dividerli. Mi chiedo perché io riesca a sentire l’orrore delle famiglie di Gaza e quello di Sderot, e loro non riescono a vedere quello dell’altro. Sanno solo rinfacciarsi accuse, torti, forse anche ragioni, ma non riescono a capire quanto il loro dolore sia simile alle loro paure. Nessuno come un residente di Sderot sa cosa significa vivere con un missile che vola sulla testa, nessuno come uno di Gaza sa cosa significa vivere un razzo che vola sulla testa. Ognuno chiede all’altro di fare il primo passo, ma in realtà nessuno si muove, si lasciano martoriare al cospetto della cattiva politica di entrambi i popoli, al cospetto dell’odio.
Ieri un palestinese mi ha detto “vogliono ucciderci tutti, per questo resistiamo”. Oggi un israeliano mi ha detto: “vogliono ucciderci tutti per questo ci difendiamo”. Stamattina a colazione un’israeliana mi ha detto: “un morto israeliano vale cento arabi, d’altra parte a loro non interessa morire, non soffrono, vogliono tutti diventare martiri, lo vediamo, lo dicono in continuazione”. Poco dopo un palestinese mi diceva che “non esistono israeliani innocenti perché sono tutti soldati pronti ad imbracciare un fucile per uccidere i palestinesi”. Fanno gli stessi discorsi. Sono tutti pronti a morire per questa terra maledetta, nessuno per dividerla pur di viverla.
LACCA E POLVERE DA SPARO
7 gennaio 2009 – Salgo su un taxi. L’autista con la kippa incollata alla testa guarda nello specchietto retrovisore e dopo aver capito che non parlo ebraico mi chiede di dove sono. Italiana. “Giornalista allora. Tutti gli stranieri in questo momento sono giornalisti”. E’ vero, almeno 500 stranieri scalpitano per entrare a Gaza. Ma la guerra sembra finita. O meglio dopo il colpo alla scuola delle Nazioni Unite e dopo l’annuncio che in questi dodici giorni sarebbero morti almeno 100 bambini e degli altri molti sarebbero ragazzini, qualcosa si è spezzato. Anche gli israeliani che hanno silenziosamente appoggiato questa invasione, alle parole “bambini morti”, storcono il naso.
Va bene difendersi, va bene fare piazza pulita, ma i bambini sono ancora bambini. Non per il mio tassista, almeno non all’inizio. “Quei terroristi usano i bambini come scudo. Noi dobbiamo difenderci e quei maledetti usano i bambini”. E’ vero, è orribile. Disumano. Ma sapere che un terrorista si nasconde dietro un bambino e uccidere lo stesso per far fuori il terrorista, mi suona alquanto difficile da digerire. Non riesco a vedere chi ha più pelo sullo stomaco tra chi mette un bambino in pericolo per proteggersi e chi spara sapendo che ci sono dei bambini, anche se le intenzioni sono di salvarne altri. E’ un po’ come per uccidere dei terroristi che hanno in mano degli ostaggi, si decidesse di fare fuori anche loro, così si è risolto il problema. Molti palestinesi sono ostaggio di Hamas. Sono in quella pentola a pressione che si chiama Gaza, una terra dove non si può fuggire, dove non si può pensare, dove non puoi prendere la macchina e trovare un’aiuola dove far giocare i tuoi bambini. E’ sabbia, polvere, macerie.
“Abbiamo lasciato le colonie di Gaza, potevano costruire case e lavorare. Potevano trasformare Gaza in un resort. Ma non hanno voluto”, dice il tassista e l’israeliano medio. E come si costruisce una Gaza felice dove un palestinese non può uscire neanche per farsi un esame medico? Frontiere chiuse. “Certo perché loro ci lanciano i razzi”. Non tutti lanciano i razzi, ma tutti vengono puniti e trattati come bambini cattivi. “Allora non c’è soluzione”. No, fino a che vi chiederete chi ha iniziato prima e chi deve smettere prima. E’ nato prima l’uovo o la gallina? Hanno sparato prima gli israeliani o i palestinesi?
Entro dal parrucchiere. Il solito degli ultimi 11 anni quando sono in Israele. Il parrucchiere non è mai un posto qualsiasi. E’ dove donne di ogni età e ceto si incontrano, si rilassano, scambiano due chiacchiere fra sconosciuti tra una spazzolata e il suono sordo del phon. Non è certo una sala universitaria traboccante di persone con un’opinione, ma è il posto dove ci si lascia trasportare dall’umore delle donne. Non tira una bell’aria. Ci sono tre signore, una di origine greca, un’altra polacca e un’altra russa. Due di loro hanno una certa età, l’altra è più giovane. I parrucchieri, rigorosamente uomini, ci portano tè e caffè, anche loro quando capiscono che non parlo ebraico, passano subito all’inglese, un po’ sdentato. Due signore hanno i figli al fronte e sono preoccupate, una si emoziona mentre lo dice e con delicatezza il parrucchiere le solleva la testa. “Ha solo 19 anni, il mio bambino”. Il bambino stringe tra le mani un m16 e probabilmente negli occhi conserverà l’orrore di quello che ha visto in questi giorni. Perché per quel poco che ho conosciuto i militari, non è vero che tutto scivola addosso, così come non è vero che “ai palestinesi non importa niente dei figli”. Non so quante volte ho sentito questa frase.
L’altra signora dice che suo figlio ha appena finito di studiare all’università, che entrerà a lavorare nello studio legale del padre. Mi dice che i suoi genitori sono arrivati qui dopo la seconda guerra mondiale, che della loro famiglia non era rimasto nessuno, erano stati tutti sterminati. “E’ un dolore che ti porti dentro anche se non lo hai vissuto, ti viene trasmesso, non so spiegare”. Ho una botta di cinismo e mi chiedo quando potrebbe guadagnare un analista in questa terra. E i bambini palestinesi morti? Le signore non rispondono come il tassista. “E’ una cosa orribile, se penso a quelle madri mi si stringe il cuore”, dice una, l’altra va oltre, “se penso che uno dei nostri figli tornerà con il peso di aver ucciso qualcuno, anche fosse solo un terrorista, sento già una parte di me morire”. L’altra annuisce. “Questa terra ci ha trasformato in carnefici, tutti quanti, che lo si faccia per difendersi o per resistere, non conta. Uccidere è uccidere”. Annuiscono ancora. “Dovremmo essere migliori, ma siamo intrappolati dal nostro volere e dal desiderio di sopravvivere e questo non può essere sbagliato, ma da qualche parte c’è un intoppo”. Scuotono le teste asciutte mentre una nuvola di lacca profumata addolcisce l’aria.
“Andiamo a casa ora, la televisione è sempre accesa, speriamo che tutto finisca presto, quando squilla il telefono, tremo per paura che mi dicano qualcosa di brutto”, dice una. “Lo so, sono venuta qui solo costringermi ad uscire di casa, stavo diventando matta”.
Domani forse si entra a Gaza. Era giugno l’ultima volta che ci sono stata. La jihad islamica lanciava i razzi, mai avrebbero pensato ad un risposta tanto dura. Immagino che le persone che intervistai non ci sono più, come la metà di quelle che ho tentato di rintracciare in questi giorni.
SENZA TITOLO
10 gennaio 2009 –  Stamattina leggevo i giornali a colazione in albergo. Un raggio di sole filtrava dai vetri annunciando che sarebbe stata una bella giornata. Tanto sto per partire. Un articolo mi ha colpito molto di un collega israeliano. Chiedeva che gli israeliani la smettessero con l’ipocrisia che hanno tentato di vendere al mondo in questi giorni. “Chiunque giustifica questa guerra giustifica tutti i suoi crimini. Chiunque la vede come una guerra difensiva, deve sopportare la responsabilità morale delle sue conseguenze. Tutti quelli che vogliono questa guerra e giustificano l’omicidio di massa che questa infligge, non ha alcun diritto di parlare di moralità e umanità” e ancora: “gli spariamo e poi piangiamo, li uccidiamo e poi ci lamentiamo, abbattiamo donne e bambini e poi cerchiamo di preservare la nostro dignità. Non funziona così, non si può uccidere e poi far entrare gli aiuti umanitari”.
Per il nostro collega israeliano è solo ipocrisia. La cosa che mi colpisce è quanto sia difficile in questo posto essere liberi di avere un’opinione. Se quello che è accaduto ora a Gaza fosse accaduto in Kashmir, o in Afghanistan o in Iraq, nessuno avrebbe protestato sulle nostre cronache. Qui invece ogni riga viene analizzata. Siamo stati messi sul confine a guardare questa guerra, su una collinetta con il binocolo, dove è vero non abbiamo potuto vedere i funerali dei bimbi morti, non abbiamo potuto vedere le donne fatti a pezzi, i ragazzi arrestati, legati, bendati e trascinati via dai soldati.
Non abbiamo potuto raccontare le mamme di Gaza che stringono i loro figli e li costringono a dormire in corridoio per paura di qualche proiettile vagante. Non abbiamo raccontato degli ospedali straripanti, della mancanza di sangue, di quelli che dovevano andare a fare la chemioterapia. Non abbiamo raccontato dei fratellini uccisi mentre giocavano. Delle case bombardate con la gente dentro. Non abbiamo raccontato delle urla di dolore, delle ossa che si sgretolano sotto il peso di un soffitto che crolla. Non abbiamo raccontato dei bambini che hanno visto morire i genitori, di quelli che hanno perso un braccio o una gamba. Non abbiamo raccontato il buio delle notti senza elettricità, la mancanza di cibo e di speranza. Neanche il terrore degli animali che tremavano sotto i bombardamenti. Quasi 900 morti. Quasi novecento storie.  Che non saranno mai raccontate, perché anche il giorno che entreremo, sarà troppo tardi.
Qualcosa è arrivato tramite le telecamere di Al Jazeera che era presente a Gaza al momento dell’attacco, ma quanti hanno abbandonato i canali locali per spostarsi di qualche pulsante per inorridire davanti alle loro immagini? Una collega ieri sera aveva gli occhi gonfi di lacrime mentre guardava le immagini che a spizzichi e bocconi arrivavano, ma che non vengono trasmesse, perché troppo crude, troppo scomode più per noi che per loro.
D’altra parte gli israeliani per giustificare una guerra possono anche avere le loro ragioni, ma noi per sostenerla o semplicemente per non dire nulla? Nessuna. Ho sempre pensato che se qualcuno di noi sapesse di qualcosa di orrendo che sta succedendo farebbe il diavolo a quattro per impedirlo, lo griderebbe con tutta la voce, fino a quando non fosse ascoltato. Poi penso al Rwanda, alla Somalia, al Sudafrica, al mio Iraq, abbandonato da quasi tutti i media italiani. La maggior parte della gente guarda e lascia che il tempo passi, un giorno chi avrà salvato qualcuno, diventerà un eroe, sarà uno dei “giusti” come accadde cinquant’anni fa in Europa quando nessuno voleva o riusciva a vedere.
La Torah, il libro sacro degli ebrei, dice che chi salva una vita, salva il mondo intero. Noi non riusciamo neanche a raccontare quello che succede a Gaza. Crediamo di essere migliori oggi, ma non riusciamo ancora a dire le cose come stanno. Noi giornalisti per primi, quelli che hanno il dovere di raccontare quello che accade. Chiudo con il nostro collega israeliano: “Chiunque sostiene la guerra, sostiene anche il terrore”. Qualsiasi siano le ragioni,

460 commenti
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  1. marco tempesta
    marco tempesta says:

    nel sito IDV, un duro attacco contro la soc. card…
    A Gennaio ho avuto la lieta notizia che la pensione mi è stata portata a ben 460 euro, dai 441 del 2008.
    Diciamo che mi hanno dato 1/2 soc. card, e con questo mi è andata meglio di chi, avendo casa con garage, si è trovato del tutto escluso dalla soc. card vera e propria.
    Della serie: meglio feriti che morti.

  2. marco tempesta
    marco tempesta says:

    x Peter:
    perchè, è troppo scomodo ciò che dico? Non è allineato col pensiero corrente? Pone interrogativi che vanno contro ciò che tutti pensano?
    Qui ci sono 1133 morti e 5000 feriti che richiedono una spiegazione.
    Io cerco di dare la mia, di spiegazione e niente esclude che sia proprio quella giusta.

  3. marco tempesta
    marco tempesta says:

    sempre per Peter
    o per caso le brucia il post sui 250.000 morti annui e 3 milioni di invalidi causati dai medici negli USA, preso dal Jama e non dalla propaganda degli stregoni?

  4. Peter
    Peter says:

    Ma quale? non l’ho neanche letto. I suoi posts sono white noise. Pero’ io tendo ad avere rispetto per i morti, per cui anche il suo rumore disturba

  5. marco tempesta
    marco tempesta says:

    The political split between the West Bank and Gaza is well-documented. For many months, Gaza has been run by Hamas, which has done its best to stamp out the influence of Fatah there through arrests and violence.
    The West Bank has been run by Fatah, which, in turn, has used force in an attempt to crush Hamas there. (BBC NEWS)
    —————
    Che peso ha tutto ciò in questa storia?
    Non si deve tenerne conto? O non può essere uno dei motivi scatenanti?

  6. marco tempesta
    marco tempesta says:

    Anch’io ho rispetto per i morti.
    Non ho rispetto per chi li provoca, i morti.
    E non parlo solo delle guerre e di chi le scatena.

  7. Anita
    Anita says:

    x Marco

    Quote:
    “Si spendono soldi per ricostruire ciò che si distrugge, affinchè chi dovrà ricostruire si riempia le tasche di soldi. Copione già visto in Iraq. Come si fa a non sospettare che l’invasione sia stata voluta proprio per causare una distruzione sulla quale lucrare? ”
    ____________________________________

    In Iraq c’e’ molta corruzione…
    Il governo Iracheno ha molti milioni che dovrebbe spendere in ricostruzione, ma se li tiene cari.
    Purtroppo questo succede quando ci sono troppe mani in the till-money drawer.

    Anita

  8. marco tempesta
    marco tempesta says:

    Cara Anita, come immaginerai, è interesse dei fabbricanti d’armi creare delle tensioni che giustifichino il possesso e il riammodernamento, nonchè l’uso, degli armamenti.
    Così è anche interesse di certi finanzieri e traffichini, che si ceino le condizioni per i loro traffici, ovvero una distruzione che preveda una ricostruzione.
    Esiste anche un interesse affinchè le distruzioni siano ricorrenti, così come l’impiego degli armamenti.
    Non bisogna mai prescindere da queste considerazioni, quando ci si chiede che senso abbia una guerra, quando non sia determinata da una vera e propria rapina di risorse.
    Tutti i soldi spesi in armamenti, i palestinesi avrebbero potuto utilizzarli, chiedendone ancora altri alla comunità internazionale che certo non glie li avrebbe negati, per gli impianti di irrigazione e di produzione di acqua potabile, nonchè di generazione di energia alternativa, il chè avrebbe portato lavoro e benessere. ma non solo: avrebbe tolto ad Israele qualsiasi motivo di belligeranza e di ritorsioni, nonchè avrebbe reso ingiustificabile il blocco israeliano. Invece a cosa mira Hamas? Al contrabbando d’armi con l’Egitto e a chissà cos’altro. A me sembra un comportamento da ricovero manicomio, anche perchè, rubare per rubare, si può anche rubare sulla manodopera e sulla costruzione degli impianti. Evidentemente esiste una sproporzione su quanto si possa rubare in una maniera e quanto nell’altra.
    Anche Israele si sta comportando stupidamente: avrebbe dovuto non attaccare Gaza ma premiare i palestinesi della West Bank, creare un disequilibrio economico privilegiando gli uni e tralasciando gli altri. Alla domanda ‘perchè’? posta dagli abitanti di Gaza, avrebbe potuto rispondere ‘perchè Fatah non ci minaccia e Hamas si’. Il resto, sarebbe venuto da solo.
    trovo anche stupido, da parte di Israele, cercare di buttar fuori quel che resta dei palestinesi. Veramente molto stupido, a fronte invece di un trattamento privilegiato, sotto le apparenze di un ‘risarcimento danni’, utile a spegnere il risentimento antiebraico ed anzi, a crearsi un ‘vicinato’ arabo amico, eliminando una delle scuse antiisraeliane del mondo arabo intero. In quanto al gas al largo di Gaza, per rubarlo basta far capo al ‘mammellone’ dal lato israeliano. Oppure offrire agli abitanti di Gaza una porzione di territorio più vasta, in cambio della striscia.

  9. Uroburo
    Uroburo says:

    Mia cara Anita,
    che un singolo ministro abbia rubato per se stesso miliardi di dollari è semplicemente impossibile.
    A meno che i miliardi non siano stati rubati per l’Usaegetta e lui non abbia avuto che la sua onesta percentuale (del 5%). Questo invece sarebbe del tutto regolare.
    Comunque se un singolo ministro ha potuto rubare miliardi di dollari si immagini lei quanto hanno rubato gli Usaegetta. U.
    PS. Non è vero che il petrolio lo pagate. Avete il potere di farne esattamente quello che volete. Sta scritto sui protocolli fatti firmare da quel maiale del vostro plenipotenziario al governo fantoccio irakeno e validi per cinquant’anni, quando non ci sarà più petrolio.
    Non siete solo degli assassini tagliagole siete anche dei grassatori. Come gli issraeliani con cui andate tanto d’accordo.

  10. Uroburo
    Uroburo says:

    Caro marco tempesta,
    l’armamento di Hamas consiste solo in armi individuali, tutte le altre sono state immediatamente sequestrate dagli issraeliani che controllano perfettamente i famosi tunnel (proprio come le famose armi).
    Quindi rimetta immediatamente l’organo pensante nella figa che in tal modo dirà sicuramente meno caxxate.
    Se usasse i neuroni rimasti, per quanto esausti, ci arriverebbe benissimo anche lei e da solo ….. U.

  11. Anita
    Anita says:

    x Uroburo

    Quote:
    ” Non è vero che il petrolio lo pagate. Avete il potere di farne esattamente quello che volete.”
    _______________________________________

    Gli Stati Uniti non importano petrolio dall’ Iraq, se non per una “minimissima” percentuale.
    Il contratto piu’ grande fino ad ora e’ andato alla Cina.

    Se lei sa diversamente, lo documenti.

    Anita

  12. Anita
    Anita says:

    x Uroburo

    New York Times August 29, 2008

    Iraq Signs Oil Deal With China Worth Up to $3 Billion
    By ERICA GOODE and RIYADH MOHAMMED

    BAGHDAD — In the first major oil deal Iraq has made with a foreign country since 2003, the Iraqi government and the China National Petroleum Corporation have signed a contract in Beijing that could be worth up to $3 billion, Iraqi officials said Thursday.

    Under the new contract, which must still be approved by Iraq’s cabinet, the Chinese company will provide technical advisers, oil workers and equipment to help develop the Ahdab oil field southeast of Baghdad, according to Assim Jihad, a spokesman for Iraq’s Oil Ministry. If the deal is approved, work could begin on the oil field within a few months, Mr. Jihad said.

    He said that Iraq had agreed to provide security for Chinese workers and that the Chinese company would also bring its own security team.

    The 22-year contract is a renegotiated version of a 1997 agreement between China and Iraq under Saddam Hussein. The original contract included production-sharing rights, but under the new contract China will be paid for its services but will not share in profits.

    The oil produced from the Ahdab field will help Iraq, a nation where electricity is in short supply, fuel a planned power plant that would be one of the largest in the country.

    For China, the deal offers a lucrative foothold in one of the most oil-rich countries in the world.

    “There are some political profits for China,” said Ibrahim Bahr al-Ulum, a former Iraqi oil minister. “They need access to Iraq, and when they need oil, at least the Iraqi people will feel that China has done something for them.”

    Mr. Jihad said that the contract was the first major agreement to be completed because the Chinese company had “wide experience in this field” and because many foreign oil companies were not willing to come to Iraq.

    He said that China would be paid in money, not oil, as is the case in some contracts.

    Before 2003, Iraq had oil agreements with China, Russia, Indonesia, India and Vietnam, three of them production sharing. Iraqi officials have said that they are reconsidering the terms of these agreements because of the increased price of oil, a new government and other changes since the fall of Mr. Hussein’s government. Iraq says that the contract with the Russian oil giant Lukoil for one of Iraq’s largest oil fields was canceled by Mr. Hussein.

    The government is also negotiating service contracts with ExxonMobil, Shell, Total, BP, Chevron and some smaller oil companies. The length of the agreements was reduced to one year from two after Iraq drew wide criticism for not putting the contracts out for competitive bidding.

    The Ahdab oil field represents only a modest fraction of Iraq’s oil wealth — the field is expected to produce 90,000 barrels of oil a day. Iraq’s overall oil production is 2.5 million barrels a day, but the government wants to increase that to 4.5 million a day over the next five years. Mr. Ulum said that the size of the renegotiated deal with China — the previous contract was worth just under $700,000 — could influence the financial terms of future contracts.

    Ali al-Dabbagh, the spokesman for the Iraqi government, confirmed that the value of the contract could reach $3 billion. The United States Embassy in Baghdad had no
    comment on the oil deal.
    ~~~~~~~~~~~~~~~
    L’articolo continua ma non rilevante al soggetto del petrolio.

    Anita

  13. Sylvi
    Sylvi says:

    caro cc,

    andare a fare “evangelizzazione” civica in giro per l’Italia?
    Noi due soli? Partendo dalla Camera dei Deputati?

    Persino S. Francesco quando andò a Roma per far riconoscere il suo Ordine era accompagnato da due Fratelli.

    E parlare a Roma del concetto di “Cives”, fra una coda alla vaccinara, una amatriciana, un fiasco di vino dei Castelli…credi che riusciremmo ad esporre il “concetto”?
    Non parlo romanesco, ma il concetto delle risposte mi sarebbe chiaro!!

    Prima di andare a Bisceglie per la nostra crociata dovremmo informarci da Marco che aria tira, o appellarci alle conoscenze di Peter;
    in Sicilia, volente o nolente, saresti costretto a chiedere lumi a Rodolfo, oppure chiedere ad Anita che ha ricordi molto lucidi.

    E su, verso nord, il concetto di Cives sarebbe uguale per AZ, per Uroburo; per il cuoco veneziano, che non si fa vivo, potrei garantire io!
    E fra me e te ci sarebbe “comunione” d’intenti?
    Il mio noce è della stessa consistenza del tuo?

    Si chiamano variabili indipendenti, mi pare!

    Vedi, non è questione di fede, o di soldi, (oltrettutto io non bevo cappuccini che sono un ibrido; caffè col caffè, latte con latte, si mescoleranno nello stomaco, non posso impedirglielo!) è che l’impresa presenta delle convergenze parallele con altri bloggers,
    delle unità di intenti fra noi due!

    Ho esaurito il politichese.
    L’unica cosa positiva, in tutta la vicenda, sarebbe l’opportunità di conoscerci di persona e confrontare l’idea con la realtà tangibile che ci siamo fatti l’uno dell’altro; arrivare alla sintesi!

    Ps: In altra occasione ti racconterò dell’Azienda degli album di nozze; prime, seconde e terze. L’unica che assume di questi tempi!!!

    mandi sylvi

  14. Vox
    Vox says:

    @ Anita (241)

    No , non mi e’ sfuggito nulla, stia tranquilla. Sappiamo bene di che leccastivali siano fatti i nostri politici, molti dei quali ebrei filoisraeliani loro stessi, come Piero Fassino.
    Ed e’ proprio gente (?) come questa che ha distrutto pietra dopo pietra la sinistra italiana e, assieme ad essa, la nostra nazione, nel senso piu’ largo del termine.

    Il motivo per cui avevo postato la faccenda di New York l’avevo anche indicata: che alcuni dimostranti avevano gridato “spazziamo via i palestinesi!”. Che e’ poi quel che il loro caro governo sta mettendo in pratica, non senza l’aiuto del suo fratello siamese Usa.

    Questa gente si sente molto piu’ ebrea che americana, italiana, inglese, francese, ecc, ecc. Se i loro cuori stanno la’, allora farebbero meglio a trasferirsi e noi faremmo meglio a non consentirgli di occupare ruoli istituzionali. Mi sembra evidente che se sono tutti cosi’ leali verso un paese diverso da quello in cui vivono, non possono ricoprire alcuna carica di governo.

  15. Vox
    Vox says:

    Le Chiese non sono proprietà del Papa o dei Sacerdoti…che passano,… sono proprietà della Civiltà, sono espressione storica e culturale, sono spesso grandi opere d’arte che onorano i nostri Artisti e la nostra Cultura.
    @ Cara Sylvi,

    Su questo avrei da ridire. La chiesa non e’ stata un propulsore di arte e civilta’, ma un freno per entrambe. Infatti, se non fosse esistita la chiesa (tutte le chiese e tutte le religioni a cui fanno riferimento), in materia di civilta’ staremmo anni luce piu’ avanti. Lo vediamo ogni giorno perfino oggi (tanto per fare l’esempio piu’ recente, lei era sicura che Udine avrebbe accolto Eluana, molti di noi ne dubitvano e come vede avevamo ragione).

    Magari, quei luoghi di culto, senza dubbio splendide opere d’arte, che sono le chiese in Italia e altrove, avrebbero potuto essere altro. La cultura in generale, o l’arte e l’architettura in particolare, avrebbero sicuramente trovato sbocco in altre opere, in altri tipi di edifici.

    Non si dimentichi che, oltre alle chiese, in Italia abbiamo migliaia di splendidi palazzi di uso non religioso. Anzi, se tanti soldi non fossero finiti nella costruzione di chiese, magari si sarebbero costruiti straordinari luoghi pubblici. E senza il freno del vaticano, senza la sua ingobile ingerenza nella vita politica ed etica, il nostro sarebbe oggi un paese molto piu’ giusto e piu’ vivibile.

  16. Uroburo
    Uroburo says:

    Quando eravamo ancora sul forum di Bocca, il signor P. ha scritto una volta che ci sono classi dirigenti che costruiscono chiese ed altari intarsiati d’oro. E ci sono altre classi dirigenti che costruiscono strade, porti, ponti, scuole ed ospedali.
    In Italia si erano costruite chiese intarsiate di marmi e d’oro mentre il paese languiva nella più spaventosa miseria ed arretratezza.
    Mi capitava di rado di essere d’accordo con il signor P. ma in questo caso ho condiviso totalmente quel che aveva scritto. U.

  17. Anita
    Anita says:

    x VOX

    Da anni leggo “spazziamo via gli USA”, “spazziamo via Israele”.
    Da anni ci augurano la morte…non ci faccio piu’ caso.

    Israele era gia’ nel mirino di Saddam…secondo i suoi discorsi.
    Se Hamas non si fosse preso possesso della striscia di Gaza, forse le cose sarebbero state differenti.
    Chi soffrono sono i Palestinesi…per mano di Hamas.

    Anita

  18. LUISA MORGANTINI  Parlamento europeo, Gaza: cessate il fuoco immediato e fine dell'assedio
    LUISA MORGANTINI Parlamento europeo, Gaza: cessate il fuoco immediato e fine dell'assedio says:

    LUISA MORGANTINI
    Vice Presidente del Parlamento Europeo
    Parlamento europeo, Gaza: cessate il fuoco immediato e fine dell’assedio
    Strasburgo, 15 gennaio 2009

    Dichiarazione della Presidenza

    Aprendo il dibattito, il Ministro degli esteri ceco, Karel SCHWARZENBERG, ha descritto la «drammatica situazione in Medio Oriente», soffermandosi sulla crisi umanitaria e sottolineando che «il 4 novembre dello scorso anno al personale delle ONG straniere non è stato garantito l’accesso a Gaza per consegnare e monitorare correttamente l’aiuto umanitario».A suo parere, «si comincia a delineare una soluzione alla crisi». Innanzitutto, ci deve essere «un incondizionato arresto degli attacchi missilistici da parte di Hamas verso Israele e la fine dell’azione militare di Israele per permettere la consegna degli aiuti umanitari, il ripristino dei servizi pubblici e le indispensabili cure mediche».

    Ha anche sostenuto che «lo spiegamento di una missione internazionale per monitorare l’attuazione del cessate il fuoco ed agire da tramite per le due parti, potrebbe essere d’aiuto», sottolineando che «l’Unione europea è pronta a far ritornare i suoi osservatori». Il ministro ha anche ribadito che l’Unione è pronta a «aiutare qualsiasi governo palestinese che segua politiche e misure che riflettono i principi del Quartetto», ma «sono necessari ed urgenti sforzi maggiori delle parti per raggiungere una completa pace, basata sulla visione di una regione dove due Stati democratici, Israele e Palestina, vivano in pace, fianco a fianco, entro confini sicuri e riconosciuti».

    Dichiarazione della Commissione

    Benita FERRERO-WALDNER, commissario per le relazioni esterne, ha rilevato che «il conflitto di Gaza, entrato nella sua terza settimana, peggiora di giorno in giorno», causando immense sofferenze umane sia per colpa dei missili di Hamas sia per l’azione militare israeliana. Oltre a questo impatto immediato, il conflitto «fa slittare le prospettive di pace ancora più lontano» e «produce un impatto negativo sulla stabilità dell’intera regione». E’ quindi imperativo un cessate il fuoco immediato, ha aggiunto, per permettere agli aiuti umanitari di accedere alla Striscia di Gaza, e occorre un «arresto incondizionato» dei lanci di missili da parte di Hamas e dell’azione militare israeliana.

    Ricordando che la richiesta di cessate il fuoco rappresenta un elemento chiave della risoluzione 1860 delle Nazioni Unite, la commissaria ha fatto notare che deve essere fermato il contrabbando di armi attraverso i tunnel tra Gaza e Egitto, va pattugliato il corridoio Filadelfia fra il confine fra Gaza e Egitto e devono essere aperte le frontiere per l’aiuto umanitario. L’Autorità palestinese aveva accettato queste richieste, ma Israele e Hamas stavano «ancora studiandole». Forse, ha proseguito, «tra qualche giorno avremo un vero cessate il fuoco». Sia Israele sia Hamas, ha ricordato, hanno respinto la risoluzione 1860 ma si è detta fiduciosa che, con l’aiuto dell’Egitto e della Turchia, una soluzione duratura possa presto essere trovata. Concludendo il suo intervento ha sottolineato la necessità di riprendere il dialogo per un accordo politico non appena terminino le ostilità.

    Interventi in nome dei gruppi politici

    Per José Ignacio SALAFRANCA SÁNCHEZ-NEYRA (PPE/DE, ES) i «diciassette giorni di combattimento hanno lasciato un deprimente bilancio di distruzione, caos, odio e vendetta», aggiungendo che «si possono vincere tutte le battaglie salvo quella più importante, per la pace».

    Ha quindi chiesto un immediato cessate il fuoco, in linea con la risoluzione 1860 del Consiglio delle Nazioni Unite ed anche provvedimenti umanitari per alleviare la misure nella Striscia di Gaza. «Hamas rappresenta sia la causa sia la conseguenza di queste orrende circostanze», ha concluso.

    Martin SCHULZ (PSE, DE) ha osservato che dibattiti di questo tipo sono difficili poiché «Israele è un nostro amico», ma con gli amici si deve parlare anche di cose controverse. Ha quindi spiegato che «Israele ha il diritto all’autodifesa contro coloro che vogliono distruggerlo; ma devono essere usati mezzi proporzionati, nel rispetto della legislazione internazionale» e, ha aggiunto, «sarete d’accordo con me che i mezzi utilizzati non sono proporzionati».

    Riconoscendo che Hamas non condivide i nostri valori, il leader socialdemocratico ha insistito sulla possibilità di dialogare con essa, e se Israele non è in grado di farlo, dovremmo cercare altre vie attraverso il Quartetto. nell’auspicare una tregua immediata, ha infine ammonito che «né con il terrorismo né con le armi convenzionali si troverà una soluzione; questa deve venire da una mediazione internazionale».

    Secondo Annemie NEYTS-UYTTEBROECK (ALDE/ADLE, BE) ci vuole una forza internazionale per porre fine a questo conflitto ed ha invitato l’Unione europea a prendervi parte. «L’Unione ha bisogno di agire e pronunciarsi in modo chiaro», e «anche gli Stati Uniti devono essere coinvolti, come pure la Lega araba ed i suoi membri».

    Cristiana MUSCARDINI (UEN, IT), dicendosi sconvolta da questa situazione, ha sottolineato la necessità di «rinunciare a qualunque ipocrisia» spiegando che «il legittimo e sacrosanto diritto dei palestinesi di avere uno Stato libero passa dall’altrettanto sacrosanto diritto di Israele ad essere riconosciuto». In proposito, ha ricordato che Israele «è stato cancellato dalla carta geografica di molti paesi» e che molti Stati dell’UE «non avrebbero accettato di essere considerati come inesistenti». Ha poi sostenuto che «non è stato Israele a dare avvio a questa ennesima guerra e che il terrorismo è ancora uno dei problemi principali».

    Perciò, «non possiamo pensare che il dialogo con i terroristi sia giustificato dal fatto che sono morti tanti civili, perché questo crea la scusante per qualunque terrorista nel futuro per utilizzare la violenza, la forza e la morte per ottenere legittimità politica». L’Unione europea, d’altra parte, deve «trovare finalmente una maggiore coesione, la capacità di affrontare anche il nodo dei rapporti economici con i paesi che non riconoscono Israele» e «garantire i percorsi umanitari che consentano ai civili, palestinesi e israeliani, di essere messi in sicurezza». Ha anche affermato la necessità di rivedere la posizione sugli aiuti «che diamo e che non controlliamo».

    Daniel COHN-BENDIT (Verdi/ALE, DE) ha dichiarato che la speranza per la pace e la sicurezza «sta evaporando rapidamente», aggiungendo inoltre che la sicurezza deve essere alimentata. Riferendosi alle parole del collega Schulz ha ricordato che si deve proteggere sia Israele da se stesso sia i palestinesi da Hamas. Per il copresidente dei Verdi, infine, il Consiglio dovrebbe smetterla di pensare a migliorare le sue relazioni con Israele, e i palestinesi hanno bisogno di aiuto per ribellarsi a Hamas.

    Luisa MORGANTINI (GUE/NGL, IT) ha esordito citando un palestinese incontrato durante la sua recente visita di Gaza: «Hamas dirà che ha vinto quando sarà terminata questa aggressione, Israele dirà che ha vinto, in realtà siamo morti noi civili». A ciò la deputata ha aggiunto «che in realtà lì, con quei bambini e donne morti o che sono all’ospedale senza cure, muore il diritto, muore il sogno di un’Europa che vuole che i diritti umani siano diritti universali». E questo «è una tragedia».

    Chiedendo il cessate il fuoco subito, ha poi sostenuto che l’Europa è inefficace e che la guerra «non porta alla salvezza di Israele, ma alla sua fine anche morale».

    Ha poi osservato che, oltre all’attività diplomatica, l’Europa deve utilizzare anche altri strumenti di pressione su Israele come ad esempio congelare il potenziamento delle relazioni con Israele. Riguardo alla protezione internazionale che deve essere inviata, la deputata ritiene un errore «pensare soltanto a Gaza e a Rafah bisogna invece pensare anche ai confini di Erez” sostenendo non sono gli Egiziani che bombardano ma gli israeliani. Oltre all’eliminazione del traffico di armi e dei tunnel, ha aggiunto, occorre cessare l’assedio di Gaza e riaprire tutti i valichi per le persone e le merci ed esercitare pressioni su Hamas affinché smetta di cercare di colpire la popolazione israeliana. In conclusione, ricordando che anche la Cisgiordania è occupata militarmente, ha chiesto a Israele di fermare la costruzione insediamenti.

    Per Bastiaan BELDER (IND/DEM, NL) la Palestina è inestricabilmente un territorio islamico e non vi è posto per uno stato di Israele in Medio Oriente e la causa di tale totalitarismo è questo sanguinoso conflitto. Il cessate ili fuoco, ha concluso, è semplicemente una pausa per Hamas e non sarà permanente.

    Luca ROMAGNOLI (NI, IT), nel condividere gli auspici di pace e le preoccupazioni espressi da molti, ha convenuto con quanto affermato dal Consiglio, sostenendo che la Commissione abbia fin qui seguito un percorso che può essere utile al dialogo, ossia l’apertura dei varchi per scopi umanitari e il cessate il fuoco bilaterale, che «potrebbero essere il prodromo di un successivo impegno per l’organizzazione di una fascia di salvaguardia internazionale». E in proposito, ha sostenuto che tale fascia deve essere estesa a tutti i territori palestinesi.

    Paragonando gli auspici e l’attività diplomatica della Commissaria Ferrero Waldner a quanto già fatto dal Santo Padre, ha quindi sostenuto di condividere quest’approccio: «si deve cercare ancora, dopo tanti anni, una soluzione per due popoli e due Stati e per affermare finalmente il diritto internazionale». Ha inoltre ribadito che «non c’è e non si sarà mai una soluzione bellica» e su questo ritiene che l’Unione europea abbia gli strumenti per sostenere ogni sforzo diplomatico utile.

    Interventi dei deputati italiani

    Per Pasqualina NAPOLETANO (PSE, IT), «di fronte a questa immensa tragedia le nostre parole rischiano di essere inadeguate». A suo parere, inoltre, «un esercito che uccide centinaia di civili, donne e bambini, si pone allo stesso livello del terrorismo che pretende di combattere». Ha poi osservato che, d’altra parte «nessuna operazione militare poteva essere concepita senza mettere in conto un massacro di civili». Si è quindi chiesta se «Israele può dirsi più sicuro dopo aver suscitato tanto odio e disperazione» e «con chi, se non con Hamas, direttamente o indirettamente, si dovrà cercare una via d’uscita alla violenza cieca».

    Ricordando che la risoluzione posta in voto giovedì «rafforza la richiesta di cessate il fuoco già espressa dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite», ha quindi invocato le parti a rispettarla e chiesto all’Europa di adoperarsi per renderla possibile. Ha poi concluso paventando il rischio «che questo massacro, lungi dallo sconfiggere Hamas, indebolisca ancora di più proprio l’Autorità palestinese e quelli che nel mondo palestinese hanno puntato tutto sul negoziato con Israele». E in proposito ha sottolineato che costoro non hanno ottenuto nulla.

    Roberta ANGELILLI (UEN, IT) ha anzitutto espresso apprezzamento per le parole del Presidente Pöttering «quando ha denunciato senza mezzi termini la grave responsabilità di Hamas nel porre fine alla tregua, ma con altrettanta chiarezza ha giudicato totalmente sproporzionata la reazione israeliana». Ma aldilà delle parole, ha aggiunto, «la crisi rimane e restano migliaia di persone, la popolazione civile e i bambini, che hanno bisogno disperatamente di aiuti umanitari». Ha poi sostenuto che la comunità internazionale «doveva fare di più» e pertanto «dobbiamo sentire tutto il peso delle nostre responsabilità». Non basta distribuire giudizi su Hamas, su Israele, sull’inizio delle responsabilità, di chi ha più colpa, ha aggiunto, «rimane l’inadeguatezza dell’Europa, un’insufficienza grave, un’incapacità di costruire un’autentica, strategica e duratura politica di pace».

    Nel chiedere con forza il cessate il fuoco, ha sostenuto che ciò «non basta» e che occorre «porre le nostre condizioni con severità per accompagnare il processo di pace e di sviluppo del Medio Oriente». Ha quindi concluso affermando, come già fatto dal Papa, «che bisogna dare risposte concrete all’aspirazione diffusa che c’è in quei territori a vivere in pace, in sicurezza e in dignità». Anche perché «la violenza, l’odio, la sfiducia sono forme di povertà, forse le più tremende da combattere».

    Giulietto CHIESA (PSE, IT) ha esordito ricordando che «un grande antifascista italiano, Piero Gobetti, disse che quando la verità è tutta da una parte, una posizione salomonica è completamente tendenziosa» e «così è per Gaza in questi giorni». Si è quindi augurato che il Parlamento «sappia dire parole adeguate per fermare Israele», anche perché «se non lo farà, si coprirà di vergogna di fronte alla storia, ai palestinesi, all’opinione pubblica europea e a quella araba».

    «Israele sta bombardando e decimando un ghetto», ha aggiunto sostenendo che «i figli di coloro che furono sterminati sono diventati sterminatori». E per questo «non c’è scusante e non vale la tesi che Israele ha diritto alla propria sicurezza», anche perché «chiunque, se vuole, è in grado di vedere che nessuno è oggi in grado di minacciare la sicurezza di Israele e la sua esistenza». E ciò è dimostrato dallo «squilibrio delle forze in campo», dal «bilancio dei morti e dei feriti» e dall’appoggio «che l’Occidente continua ad elargire ad Israele». «Questo eccidio – ha concluso – non ha altro scopo che quello di impedire la creazione di uno Stato palestinese; così si uccide la pace e per questo bisogna fermare Israele».

    Stefano ZAPPALÀ (PPE/DE, IT), sostenendo che «solo la visione diretta è quella che può dare cognizione esatta di come stanno le cose», ha consigliato di recarsi sul posto a chi vuol esprimere opinioni precise. Su questa vicenda, ha aggiunto, «gli unici perdenti siamo noi del mondo occidentale, perché non abbiamo mai affrontato in maniera seria il problema, non abbiamo mai cercato di risolverlo e continuiamo a vederlo come un fatto tra due parti contrapposte». In realtà, ha spiegato, non sono due, ma tre le parti in causa: i terroristi e lo Stato d’Israele e, «vittima intermedia», il popolo palestinese. Hamas, ha aggiunto «certamente non rappresenta l’intero popolo palestinese». Ha quindi sostenuto che bisogna affrontare la questione «in maniera seria», cioè rafforzando la posizione di Abu Mazen, «che è la figura più debole di tutti».

    Risoluzione sulla situazione nella Striscia di Gaza
    Procedura: Risoluzione comune
    Per informazioni: Luisa Morgantini 0039 348 39 21 465 Ufficio 0039 06 69 95 02 17
    luisa.morgantini@europarl.europa.eu;
    http://www.luisamorgantini.net

  19. Vox
    Vox says:

    le mobs di sequestro Chavista che hanno espropriato il loro dei beni in loro il nome del “popolo”.

    @ Anita

    Questa sua mi era sfuggita. Il fatto che qui POPOLO sia scritto tra virgolette fa pensare al rapporto che ha lo scrivente verso questa entita’. Un rapporto dispregiativo. Il “popolo” non conta nulla. Il popolo, invece, quello senza le virgolette, conta eccome.

    Quello venezuelano, nel caso specifico, ha fatto una cosa inaudita, spaventosa e orripilante: ha cacciato a calci in culo le corporations e ha nazionalizzato le proprie risorse naturali. Perche’ la ricchezza deve appartenere a tutta la comunita’, non a una minoranza di parassiti, molti dei quali vivono altrove.

    Ma cos’altro potrebbe scrivere il New York Times? Mica e’ un giornale che pensa agli interessi del popolo americano. Mica puo’ lodare Chavez e far venire delle idee anche al proprio popolo (con o senza virgolette).

    Un’altra cosa: quelle che lei chiama “mobs di sequestro” sono mafie nate proprio durante i decenni di asservimento del Venezuela agli Usa, a governi corrotti, fatti di gente che si riempiva le tasche a scapito del proprio paese. Chavez se le e’ ritrovate in eredita’ e, come noi italiani ben sappiamo, la criminalita’ organizzata e’ difficilissima da far sparire, soprattutto in periodi di transizione come quello che sta vivendo il Venezuela. Malgrado la criminalita’, le genti venezuelane che sono esistite per generazioni nella miseria, senza un futuro, oggi quel futuro se lo stanno riprendendo.

    Sara’ un cammino lungo, perche’ i processi storici non si compiono in un decennio. E sara’ un cammino pieno di difficolta’ anche (e non solo) grazie al vicino americano che non aspetta altro che l’occasione per riprendersi quel che ha perduto.

  20. Ma la tregua l'aveva già rotta Israele a novembre uccidendo 6 palestinesi a Gaza
    Ma la tregua l'aveva già rotta Israele a novembre uccidendo 6 palestinesi a Gaza says:

    http://www.guardian.co.uk/world/2008/nov/05/israelandthepalestinians

    Forse quel mascalzone schifoso che ride dei troppi morti altrui e infesta vari siti e vari blog dei suoi copincolla al soldo di Olmert potrebbe tradurcelo….
    Shalom

    A four-month ceasefire between Israel and Palestinian militants in Gaza was in jeopardy today after Israeli troops killed six Hamas gunmen in a raid into the territory.

    Hamas responded by firing a wave of rockets into southern Israel, although no one was injured. The violence represented the most serious break in a ceasefire agreed in mid-June, yet both sides suggested they wanted to return to atmosphere of calm.

    Israeli troops crossed into the Gaza Strip late last night near the town of Deir al-Balah. The Israeli military said the target of the raid was a tunnel that they said Hamas was planning to use to capture Israeli soldiers positioned on the border fence 250m away. Four Israeli soldiers were injured in the operation, two moderately and two lightly, the military said.

    One Hamas gunman was killed and Palestinians launched a volley of mortars at the Israeli military. An Israeli air strike then killed five more Hamas fighters. In response, Hamas launched 35 rockets into southern Israel, one reaching the city of Ashkelon.

    “This was a pinpoint operation intended to prevent an immediate threat,” the Israeli military said in a statement. “There is no intention to disrupt the ceasefire, rather the purpose of the operation was to remove an immediate and dangerous threat posted by the Hamas terror organisation.”

    In Gaza, a Hamas spokesman, Fawzi Barhoum, said the group had fired rockets out of Gaza as a “response to Israel’s massive breach of the truce”.

    “The Israelis began this tension and they must pay an expensive price. They cannot leave us drowning in blood while they sleep soundly in their beds,” he said.

    The attack comes shortly before a key meeting this Sunday in Cairo when Hamas and its political rival Fatah will hold talks on reconciling their differences and creating a single, unified government. It will be the first time the two sides have met at this level since fighting a near civil war more than a year ago.

    Until now it had appeared both Israel and Hamas, which seized full control of Gaza last summer, had an interest in maintaining the ceasefire. For Israel it has meant an end to the daily barrage of rockets landing in southern towns, particularly Sderot. For Gazans it has meant an end to the regular Israeli military raids that have caused hundreds of casualties, many of them civilian, in the past year. Israel, however, has maintained its economic blockade on the strip, severely limiting imports and preventing all exports from Gaza.

    Ehud Barak, the Israeli defence minister, had personally approved the Gaza raid, the Associated Press said. The Israeli military concluded that Hamas was likely to want to continue the ceasefire despite the raid, it said. The ceasefire was due to run for six months and it is still unclear whether it will stretch beyond that limit.

  21. Vox
    Vox says:

    La storia insegna che tutto cambia, tutto evolve e, anche quando sembra che si stia tornando indietro, e’ un’illusione. Lentissimamente, ma inesorabilmente, il mondo va verso qualcosa di piu’ equilibrato, piu’ giusto per tutti.

    Io me lo immagino come un grande organismo che risponda, come ogni specie e come ogni singolo individuo, alle leggi dell’evoluzione e quindi ricerchi la forma e la condizione migliore in cui puo’ continuare se’ stesso.
    Se una forma non funziona, esso se ne liberera’, come un serpente si libera della pelle che gli va troppo stretta, affinche’ affiori quella nuova, e cosi’ via.

    Quindi, la tendenza generale della storia, come quella della materia vivente, va verso l’equilibrio e la massimizzazione degli aspetti positivi che consentano l’esistenza e lo sviluppo di tutte le sue componenti. Un organismo non potrebbe vivere, se gli funzionasse solo il fegato, a scapito dello stomaco, della milza e del cuore. Il benessere, e dunque la vita, e dunque la continuita’, possono essere assicurate solo da un buon funzionamento di ogni singolo organo di ogni particella.

    Riferendo questo modello all’odierna societa’ umana, noi siamo un corpo in cui funzionano solo due o tre organi, mentre tutto il resto arranca o non funziona per niente. Pochissimi hanno tutto e moltissimi hanno dal poco al nulla. E questo porta l’organismo al fallimento. Per poter continuare se’ stesso, dovra’ fare una lunga serie di aggiustamenti, riportando all’ordine quegli scompensi che causano il malessere e rischiano di farlo morire.

    Noi umani non siamo perfetti, anzi, siamo ancora molto primitivi, siamo appena agli inizi del nostro processo evolutivo dal punto di vista etico e psicologico. E’ ovvio, quindi, che non siamo ancora in grado di costruire una societa’ perfetta e pretenderlo sarebbe sciocco.
    Se quello che costruiamo oggi, domani fallisce, non e’ perche’ l’idea non sia valida, ma perche’ noi non siamo ancora all’altezza di realizzarla.

    Questo non vuol dire che si debba gettare la spugna e scoraggiarsi. Bisogna continuare a tentare, a fare esperimenti, a fallire e a ritentare. Ogni nostro passo conta, anche quello che ci sembra non funzioni, perche’ e’ comunque un’esperienza in piu’, un pezzo di strada e di conoscenza in piu’ . Poco per volta cresceremo e si raffinera’ il nostro costruire.

  22. Vox
    Vox says:

    Se Hamas non si fosse preso possesso della striscia di Gaza, forse le cose sarebbero state differenti.

    @Anita

    Differenti come? Differenti come quando non c’era Hamas, ma gli israeliani colonizzavano tutto il territorio palestinese palmo a palmo, giorno dopo giorno, finche’ lo ha ridotto a un pezzetto di terra di 360 Km quadrati?

    Ma ragioni un momento in modo logico. Hamas e’ stata eletta dai palestinesi solo pochi anni fa, mica nel 1948? Hamas e’ stata creata dal Mossad per dare filo da torcere alla Olp e ad Arafat. Hamas e’ diventata leader dei palestinesi dopo decenni di allargamento di Israele a scapito della Palestina e come risposta all’inesorabile e continuo maltrattamento dei palestinesi e dei loro diritti, come se fossero peggio delle capre,anzi dei topi, da scacciare, da prendere in trappola e bruciare, magari col fosforo bianco.

    Quale sarebbe stata dunque la differenza senza hamas? Probabilmente, la fine dei Palestinesi sarebbe arrivata ancora prima e in modo silenzioso, comodo per tutti (tranne che per loro, ovviamente).

  23. Gideon Levy
    Gideon Levy says:

    Premesso che certe jene ridentes fanno schifo, peggio dei nazisti, ecco cosa vedo io, giornalista ebreo israeliano che ha scelto di vivere a Gaza con la mia collega Amira Hass. La sunnominata merda potrebbe tradurlo in italiano…..

    http://www.haaretz.com/hasen/spages/1055574.html

    Last update – 14:47 15/01/2009
    The IDF has no mercy for the children in Gaza nursery schools
    By Gideon Levy, Haaretz Correspondent

    The fighting in Gaza is “war deluxe.” Compared with previous wars, it is child’s play – pilots bombing unimpeded as if on practice runs, tank and artillery soldiers shelling houses and civilians from their armored vehicles, combat engineering troops destroying entire streets in their ominous protected vehicles without facing serious opposition. A large, broad army is fighting against a helpless population and a weak, ragged organization that has fled the conflict zones and is barely putting up a fight. All this must be said openly, before we begin exulting in our heroism and victory.

    This war is also child’s play because of its victims. About a third of those killed in Gaza have been children – 311, according to the Palestinian Health Ministry, 270 according to the B’Tselem human rights group – out of the 1,000 total killed as of Wednesday. Around 1,550 of the 4,500 wounded have also been children according to figures from the UN, which says the number of children killed has tripled since the ground operation began.

    This is too large a proportion by any humanitarian or ethical standard. It is enough to look at the pictures coming from Shifa Hospital to see how many burned, bleeding and dying children now lie there. History has seen innumerable brutal wars take countless lives.
    But the horrifying proportion of this war, a third of the dead being children, has not been seen in recent memory.
    God does not show mercy on the children at Gaza’s nursery schools, and neither does the Israel Defense Forces. That’s how it goes when war is waged in such a densely populated area with a population so blessed with children. About half of Gaza’s residents are under 15.

    No pilot or soldier went to war to kill children. Not one among them intended to kill children, but it also seems neither did they intend not to kill them. They went to war after the IDF had already killed 952 Palestinian children and adolescents since May 2000.
    The public’s shocking indifference to these figures is incomprehensible. A thousand propagandists and apologists cannot excuse this criminal killing. One can blame Hamas for the death of children, but no reasonable person in the world will buy these ludicrous, flawed propagandistic goods in light of the pictures and statistics coming from Gaza.
    One can say Hamas hides among the civilian population, as if the Defense Ministry in Tel Aviv is not located in the heart of a civilian population, as if there are places in Gaza that are not in the heart of a civilian population. One can also claim that Hamas uses children as human shields, as if in the past our own organizations fighting to establish a country did not recruit children.
    A significant majority of the children killed in Gaza did not die because they were used as human shields or because they worked for Hamas. They were killed because the IDF bombed, shelled or fired at them, their families or their apartment buildings. That is why the blood of Gaza’s children is on our hands, not on Hamas’ hands, and we will never be able to escape that responsibility.

    The children of Gaza who survive this war will remember it. It is enough to watch Nazareth-born Juliano Mer Khamis’ wonderful movie “Arna’s Children” to understand what thrives amid the blood and ruin we are leaving behind. The film shows the children of Jenin – who have seen less horror than those of Gaza – growing up to be fighters and suicide bombers.
    A child who has seen his house destroyed, his brother killed and his father humiliated will not forgive.
    The last time I was allowed to visit Gaza, in November 2006, I went to the Indira Gandhi nursery school in Beit Lahia. The schoolchildren drew what they had seen the previous day: an IDF missile striking their school bus, killing their teacher, Najwa Halif, in front of their eyes. They were in shock. It is possible some of them have now been killed or wounded themselves.

    Related articles:
    # Foreign Ministry hopes to repair Israel’s image on ‘day after’ Gaza op
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    # Operation Cast Lead taking toll on Israeli businesses overseas
    # Israeli-Arab Eurovision singer urged to step down over Gaza

  24. Vox
    Vox says:

    entro confini sicuri e riconosciuti».
    @ Morgantini

    Gia’, ma quali confini? Questo mi piacerebbe sapere.
    E inoltre, ora che nell’off shore di gaza si e’ scoperto un ricco giacimento di gas, saranno gli israeliani disposti a mollare ogni tentativo di farne bottino? E quel pezzo di territorio che si sono presi di recente, con le risorse idriche dei palestinesi? Lo restituiscono o se lo tengono, perche’ “ormai”, eccetera eccetera?

    Tutti questi sono solo alcuni dei dubbi che sorgono davanti alle belle parole e forse anche buone intenzioni ufficiali, alle quali non seguira’ un bel nulla di fatto. Forte della propria impunita’, Israele andra’ avanti come e piu’ di prima (tanto, nessuno le fa un baffo, ne’ ONU ne’ parlamento europeo), almeno fino a quando fara’ il classico passo di troppo.

  25. Israele si avvia a stabilire il suo nuovo record di democrazia: 332 bambini ammazzati nella striscia di Gaza e 1500 feriti. I morti palestinesi sono oltre mille, contro 1 (uno!) provocato dai razzetti di Hamas. Per festeggiare questi notevolissimi numeri,
    Israele si avvia a stabilire il suo nuovo record di democrazia: 332 bambini ammazzati nella striscia di Gaza e 1500 feriti. I morti palestinesi sono oltre mille, contro 1 (uno!) provocato dai razzetti di Hamas. Per festeggiare questi notevolissimi numeri, says:

    http://www.alessandrorobecchi.it/index.php/200901/1000-morti-332-bambini-israele-festeggia-il-record-bombardando-lonu/#comment-16455

    Sostenuto da tutta la comunità mediatica mondiale, fatte salve piccole eccezioni, Israele si avvia a stabilire il suo nuovo record di democrazia: 332 bambini ammazzati nella striscia di Gaza e 1500 feriti. I morti palestinesi sono oltre mille, contro 1 (uno!) provocato dai razzetti di Hamas. Per festeggiare questi notevolissimi numeri, Israele ha bombardato questa mattina la sede dell’agenzia Onu per i rifugiati: un fuoco artificiale per cui lo stato israeliano riceverà forse qualche buffetto dalla comunità internazionale: ehi, stai più attento! Come sei distratto! Nessuno dirà niente invece per i 15 ospedali e ambulatori distrutti: sparare sui feriti e sui bambini pare essere lo sport preferito di Israele. Così i telegiornali italiani (peraltro tutti collegati da Gerusalemme e nessuno dalle zone di guerra…. state comodi, eh! Un altro martini!) possono continuare a raccontare a distanza din sicurezza della guerra giusta e dell’autodifesa di Israele. Oggi si parla di tregua vicina. Bene. Qualcuno lo spieghi ai 332 bambini palestinesi che non possono più sentire queste buone notizie. Per lo strabiliante record di civili e bambini ammazzati, si sono congratulati con Israele molti personaggi della politica Italiana: Andrea Ronchi (che ha portato il saluto del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi), Piero Fassino, Fabrizio Cicchitto, Fiamma Nirenstein, Maurizio Gasparri, Umberto Ranieri, Gianni Vernetti, Furio Colombo, Ferdinando Adornato, Daniele Capezzone e Ottaviano Del Turco, per l’occasione senza i suoi cestini di mele. L’iniziativa si intitolava: “Con Israele per la pace”, un titolo davvero satirico. “La simpatica riunione doveva chiamarsi – hanno detto gli organizzatori – ma il titolo era troppo lungo”.
    Nella foto, un momento dell’autodifesa dello stato di Israele.

  26. AZ Cecina Li
    AZ Cecina Li says:

    X Sylvi e Controcorrente
    Il vecchio principio della fisica “ ad ogni azione corrisponde….” È traslabile anche nei rapporti sociali.
    Io sono ateo, passo per le strade e vedo ad ogni angolo simboli esteriori che richiamano all’esistenza di un Dio che io penso sia una pura invenzione. Nei due chilometri che faccio la mattina per andare a prendere i nipoti incrocio nell’ordine: una chiesa cattolica, un tempio buddista, due croci per un incidenti stradali, un tabernacolo con madonnina, la sede dei testimonio di Geova, tutto questo non ha minimamente intaccato il mio granitico ateismo, non mi ha ne disturbato ne offeso, se però qualcuno si inalbera, protesta, , una piccola semplice scritta che ricorda che ci sono persone che in fatto di Dio la pensano diversamente, e la proibisce su un autobus o altrove, allora c’è l’automatica reazione e mi viene una gran voglia di prendere pennello e vernice e quella frase andarla a scrivere sulla chiesa, sul tempio buddista, e sulla porta dei testimoni di Geova.

    Buona notte … quasi bongiorno
    Antonio - – – antonio.zaimbri@tiscali.i

    PS. per la poesia di CC, la maestra ha subito notato che avevi intinto la penna nel calamaio di De Andrè.

  27. Uroburo
    Uroburo says:

    Io posso capire che un usaegetta che non ha mai avuto le minima idea di cosa sia la democrazia – a cominciare dai massacri degli indiani fino alle guerre portate in tutto il mondo con le scuse più strane ed inventate (come le famose armi che non ci sono mai state) – abbia certe opinioni. Posso anche capire che un razzista sionista stia con gli israeliani. Posso perfino pensare che ambedue vengano rincoglionizzati da una stampa e propagande mondiale che, a senso unico, appoggia totalmente le scelte genocide dello stato d’Issraele.
    Però ci sono certi limiti difficili da superare.
    Hamas è stato eletto a stragrande maggioranza dai palestinesi. O la democrazia ha un senso, ed allora Hamas è quello che i palestinesi hanno democraticamente voluto, oppure la democrazia va bene solo se si sceglie quel che vuole l’Usaegetta (e lo stato d’Issraele). In effetti è sempre stato così: l’Usaeggetta non ha mai accettato i legittimi governi del Cile, di Cuba e del Nicaragua, e neppure quelli di Venezuela e Bolivia, ed ha sempre cercato di rovesciarli.
    I lanci di razzi di Hamas non sono prodotti dal desiderio di cancellare Issraele (queste caxxate le lasciamo dire ai gegni come il pregevole marco tempesta e la gegnale Anita o al nazista!) ma come piccola e ridicola ritorsione contro il blocco economico decretato ed attuato da Issraele contro la striscia di Gaza ed il suo legittimo governo. Un blocco genocida e criminale in sé, prescindendo dalle volgari cazzate del nazistello del blog sul peso dei palestinesi (scarsissimo, al di là di quel che dice costui). Naturalmente il blocco scompare nella mente di questi due farabuttelli da strapazzo e rimangono solo i razzi. Ognuno ragiona con quello che ha ed il marco tempesta col caxxo.
    Questa guerra ha provocato più di 1000 morti (i bombardamenti nazisti su Londra avevano ucciso un numeri simile di persone) di cui un terzo bambini; mi sembra del tutto logico arguire che un altro terzo siano donne. Quindi gli uomini sono un terzo, di cui circa metà sono vecchi, malati, invalidi ecc. Se ne deduce che, se tutti gli uomini uccisi in età di essere atti alle armi (dai16 ai 40 anni) erano combattenti di Hamas, gli israeliani hanno ucciso 170 nemici al piccolo prezzo di 850 civili massacrati. Ancora una volta sono percentuali da III Reich (o da esercito e polizia usaegetta). Facendo un calcolo prudenziale potremmo però arguire che almeno metà degli uomini adulti uccisi erano civili: insomma hanno ammazzato 900 e passa persone per far fuori 85 guerriglieri. I nostri tre amici si fregano gioiosamente le mani perché la pace (dei cimiteri) è più vicina ….
    Naturalmente dopo un massacro del genere la nuova classe dirigente palestinese sarà ancora più radicale di quella precedente, perché è noto che l’aumento della repressione o spazza via tutto, e per ora gli issraeliani non possono ancora farlo esplicitamente, oppure aumenta la resistenza. Quindi sul piano politico il risultato di questo massacro imbecille, ed infatti tanto apprezzato da questi tre gegni della politica, sarà una ancora minore disponibilità palestinese. Il nazista, come tutti i suoi pari, queste cose non le può vedere, lui vede solo il sangue (e le donne ridotte a quarti di macelleria). La stampa mondiale è sulle stesse posizioni di questi tre miserabili figuri. Semm propri cunscià maaal. U.

  28. Faust  x guardate qui il furto degli israelitici
    Faust x guardate qui il furto degli israelitici says:

    http://isole.ecn.org/reds/etnica/palestina/palestinamappaoffbarak.html

    http://isole.ecn.org/reds/etnica/palestina/palestinamappe.html#

    se non ci fosse Hamas a difendere “oggi” purtroppo e non ieri, quando con Fatah, hanno rubato la palestina… Hamas doveva nascere nel 46.
    Hamas ha vinto, finanziata dai sionisti criminali!!!
    grazie ai criminali sionisti… i Martiri in tutto lIslam sono in aumento… e presto ne vedremo le reazioni, questo era ed è la tattica genocida degli israelitici… Bravo israele, criminale e genocida…
    …guardatevi le mappe dal 46 ad oggi e ppoi tirate le somme, di cchi è il ladro massacratore….
    Faust

  29. marco tempesta
    marco tempesta says:

    Ad U. non viene mai il dubbio che a sbagliare valutazioni possa essere lui.
    Mi fa ridere quando parla di elezioni democratiche in Palestina. Ma se non sono mai state democratiche nemmeno da noi, figuriamoci da quelle parti, dove la parola ‘democrazia’ non si sa neanche come si pronuncia…
    Ma a parte quello, a parte anche l’attribuirmi concetti che non mi appartengono (gli epiteti li dò per scontati) al buon U. non è mai venuto in mente che esistono interessi specifici a che la pace in Israele non si faccia mai? Interessi da parte di chi vende armi, di chi lucra sugli aiuti umanitari, di chi cerca una preminenza politica di tipo dittatoriale…no, macchè, Uro ci vede solo un’espressione democratica malamente calpestata dai cattivoni di Israele, che mettono i blocchi così per passatempo, giusto per indurre diversi milioni di palestinesi a cambiare aria.
    Non si è mai chiesto Uro cosa comporterebbe la cacciata dei palestinesi? Non si è mai chiesto come sia invece infinitamente più conveniente una pace da quelle aprti? Non si è mai chiesto come mai nella West Bank i palestinesi di Fatah intervengano pesantemente sui sostenitori di Hamas, come riportato persino dalla Morgantini, che non è certo filoisraeliana e come, viceversa, nella striscia giungano notizie del contrario, ovvero di Hamas che mena (uccide) i sostenitori di Fatah?
    No, tutto questo non ha alcuna rilevanza per il buon Uro, perchè dar rilevanza ad indizi del genere significherebbe demolire la sua tesi di pulizia etnica totale. Non si rende conto di cosa possa comportare una pulizia etnica come quella da lui creduta realistica.
    Una diaspora palestinese significherebbe dare una scusa perenne a qualsiasi stato arabo per intervenire in qualsiasi momento contro Israele, con la giustificazione della restituzione delle terre ai palestinesi. Una pulizia etnica significherebbe avere perennemente un popolo che in qualsiasi modo tenterà di danneggiare Israele colpendolo alla disperata.
    Capisco che gli israeliani vadano anche loro molto a spanne, come si usa da quelle parti, ma che siano così stupidi da non prendere in considerazione certi parametri, lo escludo categoricamente.
    Uro, invece, lo dà per scontato.
    Io credo che le sue valutazioni pecchino di enorme superficialità. Lui mi accusa della stessa cosa.
    Tempo al tempo, vedremo chi ha ragione e chi ha torto, dei due. Anche se la nostra ragione e il nostro torto, alle parti in causa non fa assolutamente nè caldo nè freddo, perchè noi, per loro, non esistiamo e basta.

  30. marco tempesta
    marco tempesta says:

    Io me lo immagino come un grande organismo che risponda, come ogni specie e come ogni singolo individuo, alle leggi dell’evoluzione e quindi ricerchi la forma e la condizione migliore in cui puo’ continuare se’ stesso.
    Se una forma non funziona, esso se ne liberera’, come un serpente si libera della pelle che gli va troppo stretta, affinche’ affiori quella nuova, e cosi’ via.
    ————-
    Caro Vox, attenzione perchè questo è un concetto molto pericoloso: giustificherebbe l’evoluzione della Specie con l’eliminazione delle sue parti più deboli e inefficaci. In parole povere, giustificherebbe i conflitti armati come un sistema di depurazione dell’organismo dalle scorie che impedirebbero l’evoluzione con la loro presenza.
    Un concetto molto, molto pericoloso.

  31. Controcorrente
    Controcorrente says:

    Tempi di “crisi” delle abitazioni…

    ………la trovata più geniale l’ha avuta però in l’austriaca Traude Daniel. Nessuno rispondeva alle inserzioni per la sua villa da 400mq. affacciata sul lago Woerthersee, in Carinzia. Lei non s’è scoraggiata. Ha organizzato una lotteria via internet, prezzo 99 euro al biglietto con in palio la residenza di famiglia. Un successo clamoroso. Ha venduto 9.999 biglietti, incassando quasi un milione di euro. E il prossimo 20 gennaio, giorno dell’estrazione, il fortunato vincitore si ritroverà con una nuova casa da sogno al prezzo di una cena per due al ristorante……..

    Veramente geniale,,,bisognerebbe estendere questo concetto a tutti i servizi ,per cui in tempi di crisi si poterbbero istituire le seguenti lotterie:

    A)Lotteria per un posto di lavoro…
    B)Lotteria per un posto all’asilo Nido
    c)Lotteria per un posto all’università
    ed anche chicca

    F)Lotteria per un posto in ospedale

    Le casse dello stato di guadagnerebbero,,,e senza dubbio un minimo Di DEMOCRAZIA verrebbe applicata…

    La DEMOCRAZIA del CULO….

    che è sempre meglio di niente…
    Ho comprato La SMORFIA, che il Testo sul quale preparerò le mie analisi per il Fututro, ed ho regalato il libro ai miei figli, dicendogli :”studiate ,studiate che poi vi interrogo..!!

    cc

  32. marco tempesta
    marco tempesta says:

    Dice Vox: “Quello venezuelano, nel caso specifico, ha fatto una cosa inaudita, spaventosa e orripilante: ha cacciato a calci in culo le corporations e ha nazionalizzato le proprie risorse naturali. Perche’ la ricchezza deve appartenere a tutta la comunita’, non a una minoranza di parassiti, molti dei quali vivono altrove.” VOX
    ————
    Se le cose stanno così, Chavez ha fatto benissimo.
    Speriamo solo che la faccenda non finisca come nella Russia sovietica, dove pochi privilegiati godevano delle ricchezze ‘in nome del popolo’, che ne aveva teoricamente la proprietà ma non l’uso nè il possesso.
    Una unione sudamericana forte e ricca sarebbe un buon elemento di stabilizzazione. Il dubbio è sempre il solito: riusciranno i nostri eroi a non fare come nell’Unione Sovietica?

  33. marco tempesta
    marco tempesta says:

    entro confini sicuri e riconosciuti».
    @ Morgantini

    Gia’, ma quali confini? Questo mi piacerebbe sapere. VOX
    ——————–
    Credo che la richiesta sia di rientrare nei confini di prima del ’67. Una richiesta minima, direi.
    La faccenda del controllo dell’acqua potrebbe essere invertita, anche perchè Israele potrebbe comodamente investire nei dissalatori e comunque avrebbe una forza di deterrenza sufficiente a spegnere qualsiasi tentativo di boicottaggio idrico da parte dei palestinesi.

  34. Sylvi
    Sylvi says:

    caro Vox,

    in questi giorni mi sono chiesta spesso come sarebbe finito il caso Englaro se Governatore fosse stato Illy, valdese, cosmopolita e a Roma Prodi.

    Temo sarebbe finita allo stesso modo, perchè se in Italia nemmeno basta una sentenza della CC…
    Viviamo nella terra di pagliaccilandia, dove il legislatore non legifera e il governo impedisce l’applicazione delle sentenze della Corte C.

    Per quanto riguarda le Chiese e i Palazzi il suo discorso è molto ipotetico e la Chiesa per molti secoli è stato potere temporale,esattamente come gli Imperi che si sono succeduti.
    Basta scorrere la storia del Merdioevo con i suoi Castelli e le sue Cattedrali.

    La Chiesa è stata “propulsore d’arte e civiltà” perchè la costruzione di una Cattedrale non prescinde dall’arte e dall’ingegneria.
    Lo è stata per i “suoi” fini, che a lei non piacciono, e per molti versi neppure a me.
    Affamando e sfruttando i milioni e milioni di miserabili
    servi della gleba, ma era esattamente ciò che faceva l’Imperatore di turno e i suoi vassalli, se non peggio!
    Aggiungerò con cinico realismo che non c’era bisogno di scuole, ospedali perchè il servo della gleba contava molto meno di un cavallo o di una vacca!

    Oggi qualcosa è mutato, e, qui le do ragione, non sempre la Chiesa è stata in prima fila nel cambiamento, anzi è rimasta al traino attenta a mantenere il suo potere.
    Combattendo, ed efficacemente,i poteri che volevano distruggerla.

    Ma in questo blog si fa una “voluta” confusione fra potere temporale della Chiesa e l’idea trascendentale di Dio; fra religioni monoteiste e un fine spirituale che l’uomo cerca e spera di trovare; fra le malefatte di uomini di chiesa e la dedizione eroica di molti che perseguono un ideale di giustizia diverso dal vostro.
    Non credete in Dio? Rispettabilissimo atteggiamento che io mi guardo bene dal confutare!
    Credete sia un segno di libertà sbattermelo sui bus e sui muri, gridandolo ad ogni angolo di strada? Io credo di no!

    Mandi sylvi

  35. marco tempesta
    marco tempesta says:

    l’armamento di Hamas consiste solo in armi individuali, tutte le altre sono state immediatamente sequestrate dagli issraeliani che controllano perfettamente i famosi tunnel (proprio come le famose armi). U.
    ———–
    E con questi parametri, Hamas provoca deliberatamente l’invasione israeliana?
    O sono assolutamente pazzi o i motivi di tale comportamento nascondono affari indicibili, sempre sulla pelle del popolo palestinese.

  36. marco tempesta
    marco tempesta says:

    Non credete in Dio? Rispettabilissimo atteggiamento che io mi guardo bene dal confutare!
    Credete sia un segno di libertà sbattermelo sui bus e sui muri, gridandolo ad ogni angolo di strada? Io credo di no! Sylvi.
    ———-
    Perchè, è segno di libertà da parte della Chiesa cattolica, intervenire punto e momento sugli affari dell’Italia laica in nome del ‘loro’ dio?

  37. marco tempesta
    marco tempesta says:

    Ma in questo blog si fa una “voluta” confusione fra potere temporale della Chiesa e l’idea trascendentale di Dio. Sylvi
    —————-
    Per niente. I miei interventi sono stati tutti sull’idea trascendentale di Dio, non sul potere temporale della Chiesa, i cui effetti sono talmente evidenti da non avere necessità di discussione.

  38. Sylvi
    Sylvi says:

    caro Marco,

    due torti non hanno mai fatto una ragione, ma solo, come ben sai, guerre e distruzioni.
    E se il Parlamento italiano non sa mettere i paletti costituzionali
    vada a casa!
    O forse non siamo mai usciti dal Medioevo, mentre il resto d’Europa…

    sylvi

  39. marco tempesta
    marco tempesta says:

    x Sylvi:
    O forse non siamo mai usciti dal Medioevo, mentre il resto d’Europa…
    —————–
    Su questo, non ci piove. Abbiamo sempre la mentalità di guelfi e ghibellini, in tutto.

  40. AZ Cecina Li
    AZ Cecina Li says:

    Cara Sylvi,
    All’ultimo capoverso del tuo post non ti seguo più, secondo quale logica e quale principio di giustizia, un “rispettabilissimo atteggiamento”, l’ateismo, dovrebbe restare accuratamente celato nelle menti degli atei mentre un altrettanto rispettabile atteggiamento, quello religioso, avrebbe ogni diritto di essere esternato. Non con semplici scritte ma con segni ben più ingombranti (e dispendiosi) quali chiese, sinagoghe, moschee, scampanamenti o stridule grida dai minareti, cappelle, edicole, croci e statue di santi e madonne piazzate in ogni dove, dalla cima dei monti agli abissi marini, fino ai simulacri vari esibiti al colo ed ai polsi in ogni situazione comprese le meno consone, come nel caso delle pornodive.
    Perché le mille religioni il loro CREDO possono “sbattermelo in faccia” ad ogni cantonata, ed impedirlo sarebbe un grave attentato alla liberà religiosa, mentre affermare il mio NON CREDERE dovrebbe essere sconveniente??

    Antonio - – – antonio.zaimbri@tiscali.i

  41. Sylvi
    Sylvi says:

    caro AZ,

    affermare il tuo non credere non solo non è sconveniente, ma credo che nessuno ti abbia mai impedito di esternarlo, nè di costruire templi di ateismo, nè scrivere, nè educare i tuoi figli all’ateismo.
    E’ l’esercizio pacato del tuo ateismo, ma…ho anche parlato di spot durante i Gay pride, di preghiere provocatorie davanti alle Chiese, potrei aggiungere che tu NON hai il diritto di bestemmiare il mio Dio, che ci sia o no!
    Ho parlato di rispetto e civismo. E di palesi provocazioni.

    Quanto alle chiese, cappelle ecc ecc. se vince la tua maggioranza puoi fare come Stalin, tabula rasa, se non trovi un sacrestano o un architetto, barricati dentro.
    Ne ho viste di Chiese in Russia e in Ukraina salvate così!
    Sarò fissata, ma io torno al Parlamento!

    Ma qui in Friuli non c’erano i guelfi e i ghibellini!

    Sylvi

  42. Pino Nicotri
    Pino Nicotri says:

    Yehoshua: «Antisemitismo? Reazione a un’ identità ambigua»
    di Davide Frattini (Corriere della Sera)

    DAL NOSTRO INVIATO GERUSALEMME – « In ogni generazione sorgerà un nemico che vuole distruggerci » . Seduti attorno al tavolo per celebrare la pasqua, stasera gli israeliani ripetono ancora una volta i versi della Haggadah . Le stesse parole che Abraham Yehoshua ha scelto per confrontarsi con l’ antisemitismo in un saggio che è stato attaccato da politici e intellettuali. Lo scrittore – è l’ accusa – in qualche modo imputa agli ebrei l’ odio contro di loro. C’ è qualcosa di « ambiguo » nell’ identità ebraica – sostiene il romanziere, nato a Gerusalemme nel 1936, nell’ articolo pubblicato dalla rivista Alpayim – che genera avversione e furore. « L’ elemento fondamentale dell’ antisemitismo è la paura, non l’ invidia. Una paura irrazionale che nasce dalla combinazione di religione e nazionalismo nell’ ebraismo, una fusione che ha generato catastrofi nell’ Europa cristiana » . Le nostre caratteristiche da camaleonti – continua – spaventano, una personalità in continuo cambiamento è difficile da gestire. Qualità che hanno affinato talenti intellettuali, ma anche scatenato disastri. « E’ vero che queste caratteristiche – ha commentato a Yedioth Ahronoth dopo l’ uscita del saggio, che in Italia era stato pubblicato in anteprima mondiale da Einaudi nel 2004 con il titolo Antisemitismo e sionismo – hanno prodotto dei Nobel, ma restituirei tutti i premi per avere indietro i bambini sterminati nell’ Olocausto » . Il primo a reagire è stato Avi Beker, fino al 2003 segretario generale del Congresso ebraico mon diale, sul quotidiano liberal Haaretz: « Molti intellettuali, compresi quelli che accusano il governo israeliano di essere la causa dell’ odio, trovano difficile spiegare i sintomi della rinascita di un classico antisemitismo, oggi rivolto contro lo Stato ebraico nel suo complesso. Yehoshua si rifiuta di distinguere tra invidia, incitamento e avversione imbevuta di antisemitismo » . Tommy Lapid ha attaccato l’ idea della « doppia identità » : « L’ odio si scagliò – ha detto il presidente del partito Shinui, di origini ungheresi e sopravvissuto al l’ Olocausto – soprattutto contro chi si era assimilato. Famiglie integrate, che sentivano di appartenere completamente all’ Ungheria, per loro la religione non aveva alcun ruolo. Ma avevano avuto più successo dei non ebrei » . « L’ incapacità di guardare den tro se stessi – ha replicato Yehoshua nell’ intervista a Yedioth – è una cosa orribile. Nel mio saggio non accuso nessuno, descrivo la struttura dell’ identità ebraica e cerco di capire perché risvegli rapporti così patologici » . « Non è colpa nostra – gli ha risposto il filosofo Yirmiyahu Yuval – se abbiamo sviluppato un’ identità ambigua. Non credo che siamo stati messi nelle condizioni di scegliere » . Robert Wistrich, professore di Storia dell’ Europa contemporanea all’ università di Gerusalemme, ha riconosciuto al romanziere il coraggio di « avventurarsi sulle sabbie mobili, dove perfino gli angeli hanno paura di camminare » . Yehoshua è convinto che la nascita dello Stato di Israele avesse rappresentato la soluzione, perché aveva collocato gli ebrei fra le altre nazioni. La guerra dei Sei giorni nel 1967 e il controllo sui territori palestinesi – sostiene – sono stati il grande contraccolpo. « I confini si sono confusi e il popolo ebraico ancora una volta ha cominciato a mischiarsi con un altro » .

    Abraham Yehoshua è nato a Gerusalemme nel 1936. Professore di letteratura comparata all’ università di Haifa, i suoi libri sono tradotti in Italia da Einaudi. Tra i romanzi ricordiamo « Cinque stagioni » , « Il signor Mani » , « L’ amante »

  43. Pino Nicotri
    Pino Nicotri says:

    TENETEVI FORTE E LEGGETE QUESTE CORRISPONDENZE DA GAZA DEL PACIFISTA VITTORIO ARRIGONI, CON ANNESSE FOTO:
    Vi posto l’inizio dell’ultimo articolo, seguito dal link sul quale potete leggere tutto il resto. Prima però sedetevi. E fatevi coraggio.
    pino nicotri
    ——————————–
    Dante non avrebbe saputo immaginare gironi così infernali come le corsie dei dannati negli ospedali di Jabalia. La legge del contrappasso qui è applicata al rovescio. Tanto più innocente è la vittima tanto meno viene risparmiata dal martirio delle bombe. Al Kamal Odwan, all’ Al Auda, le piastrelle in ceramica dei pronti soccorsi sono sempre belle lustre, gli inservienti hanno sempre un gran da fare a ripulirle dal sangue che gronda dall’incessante via vai di barelle cariche di corpi massacrati. Iyad Mutawwaq stava camminando per strada quando una bomba ha aperto uno squarcio in un edificio poco distante. Insieme ad altri passanti si era precipitato per prestare i soccorsi, mentre una secondo ordigno colpiva il palazzo, uccidendo un padre di 9 figli, due fratelli, e un altro passante che al pari di Iyad era corso sul posto per aiutare i feriti. La solita storia ripetuta, dieci, cento volte. La tecnica preferita di ogni terrorismo ricalcata alla perfezione dall’ esercito di Tsahal. Si lancia un bomba, si attendo i soccorsi, si ribombardano feriti e soccorsi. Per Iyad queste sono bombe americane ma portano l’autografo anche di Mubarack, il dittatore egiziano che qui Gaza fa concorrenza ad Olmert in capacità di catalizzare livore. Dietro il letto di Iyad, un anziano con le braccia ingessate sta disteso con gli occhi fissi al soffitto, non proferisce più parola, mi dicono abbia perso tutto, famiglia e casa. Fissa le crepe di un intonaco che cade a pezzi come per cercare una risposta alla disfatta della sua esistenza. Khaled ha lavorato 25 anni in Israele, prima dell’ultima intifada. Come gratifica Tel Aviv non gli ha concesso una pensione, ma una serie di missili aria-terra sulla sua abitazione; presenta ferite su tutto il corpo da schegge di esplosivo.
    SEGUE SU
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  44. Pietro Falco
    Pietro Falco says:

    per Gideon Levy, Olmert – dopo il massacro di Gaza – meriterebbe di finire dinanzi ad una corte speciale del L’Aia per crimini di guerra

    http://www.facebook.com/ext/share.php?sid=45629681599&h=rDY0_&u=IW4Mn

    Things one sees from The Hague

    By Gideon Levy

    When the cannons eventually fall silent, the time for questions and investigations will be upon us. The mushroom clouds of smoke and dust will dissipate in the pitch-black sky; the fervor, desensitization and en masse jump on the bandwagon will be forever forgotten and perhaps we will view a clear picture of Gaza in all its grimness. Then we will see the scope of the killing and destruction, the crammed cemeteries and overflowing hospitals, the thousands of wounded and physically disabled, the destroyed houses that remain after this war.

    The questions that will beg to be asked, as cautiously as possible, are who is guilty and who is responsible. The world’s exaggerated willingness to forgive Israel is liable to crack this time. The pilots and gunners, the tank crewmen and infantry soldiers, the generals and thousands who embarked on this war with their fair share of zeal will learn the extent of the evil and indiscriminate nature of their military strikes. They perhaps will not pay any price. They went to battle, but others sent them.

    The public, moral and judicial test will be applied to the three Israeli statesmen who sent the Israel Defense Forces to war against a helpless population, one that did not even have a place to take refuge, in maybe the only war in history against a strip of land enclosed by a fence. Ehud Olmert, Ehud Barak and Tzipi Livni will stand at the forefront of the guilty. Two of them are candidates for prime minister, the third is a candidate for criminal indictment.
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    It is inconceivable that they not be held to account for the bloodshed. Olmert is the only Israeli prime minister who sent his army to two wars of choice, all during one of the briefest terms in office. The man who made a number of courageous statements about peace late in his tenure has orchestrated no fewer than two wars. Talking peace and making war, the “moderate” and “enlightened” prime minister has been revealed as one of our greatest fomenters of war. That is how history will remember him. The “cash envelopes” crimes and “Rishon Tours” transgressions will make him look as pure as snow by comparison.

    Barak, the leader of the party of the left, will bear the cost of the IDF’s misdeeds under his tutelage. His account will be burdened by the bombing and shelling of population centers, the hundreds of dead and wounded women and children, the numerous targetings of medical crews, the firing of phosphorus shells at civilian areas, the shelling of a UN-run school that served as a shelter for residents who bled to death over days as the IDF prevented their evacuation by shooting and shelling. Even our siege of Gaza for a year and a half, whose ramifications are frighteningly coming into focus in this war, will accrue to him. Blow after blow, all of these count in the world of war crimes.

    Livni, the foreign minister and leader of the centrist party, will be remembered as the one who pushed for, legitimized and sat silent through all these events. The woman who promised “a different kind of politics” was a full partner. This must not be forgotten.

    In contrast to the claims being made otherwise, we are permitted to believe that these three leaders did not embark on war for electoral considerations. Anytime is good for war in Israel. We set out for the previous war three months after the elections, not two months before. Will Israel judge them harshly in light of the images emanating from Gaza? Highly doubtful. Barak and Livni are actually rising in the polls instead of dipping. The test awaiting these individuals will not be a local test. It is true that some international statesmen cynically applauded the blows Israel dealt. It is true America kept silent, Europe stuttered and Egypt supported, but other voices will rise out of the crackle of combat.

    The first echoes can already be heard. This past weekend, the UN and the Human Rights Commission in Geneva have demanded an investigation into war crimes allegedly perpetrated by Israel. In a world in which Bosnian leaders and their counterparts from Rwanda have already been put on trial, a similar demand is likely to arise for the fomenters of this war. Israeli basketball players will not be the only ones who have to shamefully take cover in sports arenas, and senior officers who conducted this war will not be the only ones forced to hide in El Al planes lest they be arrested. This time, our most senior statesmen, the members of the war kitchen cabinet, are liable to pay a personal and national price.

    I don’t write these words with joy, but with sorrow and deep shame. Despite all the slack the world has cut us since as long as we can remember, despite the leniency shown toward Israel, the world might say otherwise this time. If we continue like this, maybe one day a new, special court will be established in The Hague.

  45. Pietro Falco
    Pietro Falco says:

    Se pensate che i tg nazionali – ed in particolare il tg1 e il tg5 – vi stianao propalando solo le veline dell’Idf, disinformandovi su quello che sta realmente accadendo a Gaza, non temete di essere diventati improvvisamente antisemiti: lo pensa anche il buon Gideon che ha scritto su haaretz che lui ormai, per sapere quello che davero accade, guarda Al Jazeera english…

    E poi dicono che Santoro è fazioso…

    http://www.facebook.com/ext/share.php?sid=57360089456&h=9gaHo&u=REZVo

    Gideon Levy / My hero of the Gaza war

    By Gideon Levy

    My war hero likes to eat at Acre’s famed Uri Burri restaurant. He thinks it’s the best fish restaurant in the world, and told me as much yesterday from the porch of the central Gaza City office building from which he has broadcast every day for the past two weeks, noon and night, almost without rest.

    My war hero is Ayman Mohyeldin, the young correspondent for Al Jazeera English and the only foreign correspondent broadcasting during these awful days in a Gaza Strip closed off to the media. Al Jazeera English is not what you might think. It offers balanced, professional reporting from correspondents both in Sderot and Gaza. And Mohyeldin is the cherry on top of this journalistic cream. I wouldn’t have needed him or his broadcasts if not for the Israeli stations’ blackout of the fighting. Since discovering this wunderkind from America (his mother is from the West Bank city of Tul Karm and his father from Egypt), I have stopped frantically changing TV stations.

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    Whoever recoils from the grotesque coverage by Channel 2’s Roni Daniel is invited to tune in to this wise and considered broadcaster. Whoever recoils from our heroic tales, bias, whitewashed words, Rorschach images of bombing, IDF Spokesman-distributed photographs, propagandists’ excuses, self-satisfied generals and half-truths is invited to tune in. Whoever wants to know what is really happening, not only of a postponed wedding in Sderot and a cat forgotten in Ashkelon. Watching is sometimes hard, bloodcurdlingly hard, but reality is no less hard right now.

    I have followed him throughout the war. Sporting a helmet and protective vest, and sometimes a Lacoste jacket, he stands on the roof, broadcasting in the most restrained tones, never getting excited or using flowery adjectives to describe what we’re inflicting on Gaza, even when planes fly over him and bomb a house in the distance. Sometimes he crouches during a blast, his eyes perpetually glazed from fatigue, his face sometimes betraying helplessness.

    At age 29, he has already seen one war, in Iraq, but he says this war is more intense. He is frustrated that his broadcasts are carried virtually everywhere in the world except the United States, his own country, the place he thinks it is most important that these images from Gaza be seen.

    “At the end of the day, if there is one country that can have influence, it’s the United States. It’s frustrating to know you’re not reaching the viewers you would like to,” he told me this week from the roof. On Friday he finally came down, for safety’s sake, after the Israel Defense Forces bombed a neighboring media center.

    Is he afraid? “I’d be lying if I said I don’t feel fear, but my obligation is greater than the fear,” he says.

    Nor does he have a single bad word to say about Israel. He says he would gladly return to visit – after all, he’s got friends here. We even set a dinner date at his favorite restaurant, for 6 P.M. after the war.

  46. Pino Nicotri
    Pino Nicotri says:

    Ormai l’impazzimento dilaga: questa è la gente che non vuole giornalistimo e informazione perché è gente che non ha e non vuole sentimenti umani. Purtroppo, come ci è ben noto, hanno supporters, tifosi e complici anche in Italia.
    pino nicotri
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    Messaggi minatori, insulti e un annuncio a pagamento contro i reporter israeliani considerati «poco patriottici»
    «Oscurate Yonit», la conduttrice tv «filo-palestinese»
    Petizione con 32mila firme per cacciare il volto delle news: «Troppa pietà per il nemico, a casa» In difesa «Yonit parla con voce equilibrata. Cosa c’ è di patriottico in un bambino ucciso dalle bombe?»

    GERUSALEMME – È rimasta pallida e fredda come la neve (la chiamano Iceberg), anche quando la petizione che la vorrebbe far cacciare ha raggiunto trentaduemila firme, in Israele bastano per eleggere un deputato alla Knesset. Non ha allargato o rimpicciolito i sorrisi (pochi), neppure adesso che i forum su Internet la invitano ad andarsene a Gaza con il fidanzato («i terroristi vi aspettano»). Yonit Levy presenta ogni sera il telegiornale più seguito del Paese. In questi giorni di guerra, è circondata da generali e analisti militari, politici e soldati della riserva. È accusata di mostrare troppa compassione per le vittime palestinesi e troppo poca per i connazionali bersagliati dai Qassam. «Perché nessuno le tappa la bocca – attacca il manifesto che circola online -, quando si domanda in diretta com’ è possibile che noi abbiamo un solo morto e loro trecento? È inaccettabile che una giornalista televisiva esprima un eccesso di pietà per il nemico e sostenga le sue idee estremiste davanti a tutti. Boicottatela, non guardate il Canale 2». Levy, 32 anni, è criticata anche da parte della sua redazione. Qualche giorno fa sarebbe scoppiata a piangere dopo la diretta, per una discussione con i produttori. «È il simbolo delle news in Israele – la difende Guy Soderi -. Fa le domande che vanno fatte». «La gente le crede, ha fiducia in lei», commenta Ilana Dayan, una delle più famose giornaliste investigative. «Sta pagando il prezzo di essere una donna che parla con voce gentile. È equilibrata, in uno studio dove niente sembra abbastanza nazionalistico», scrive Yehuda Nuriel, critico televisivo del quotidiano Yedioth Ahronoth. Nuriel denuncia la «caccia alle streghe». Che ha colpito anche il poeta Yonatan Geffen. Maariv, il giornale per cui scrive da quarant’ anni, ha accettato di pubblicare un annuncio a pagamento per dirgli «siamo stufi di te» e invitarlo «ad andare a farsi…». Firmato e pagato da Oded Tirah, fino al 2005 presidente della Confindustria israeliana. «Prima di essere sionista, e lo sono, io sono un umanista – replica Geffen, che ha ricevuto minacce di morte -. È giusto partecipare al dramma della popolazione israeliana colpita dai razzi palestinesi, non possiamo certo dimenticare i cadaveri delle vittime civili a Gaza». Il Paese (e i suoi media) avvolti nella bandiera preoccupano un veterano delle guerre e del giornalismo come Nahum Barnea, prima firma di Yedioth. «L’ armonia nazionalista è ammissibile nella gente, non nella stampa, la televisione o i politici. Amira Haas, giornalista di Haaretz, ha detto di essere contenta che i suoi genitori siano morti, perché così non devono assistere ai crimini israeliani nella Striscia. A differenza di lei, io sono dispiaciuto che i miei non ci siano più e a differenza di lei, non credo che Tsahal sia un esercito di criminali di guerra. Ma le immagini da Gaza sono inquietanti. Non c’ è niente di patriottico in un bambino ucciso dall’ artiglieria o in una famiglia seppellita sotto le macerie. Hamas non si preoccupa per loro, noi dovremmo». Gideon Levy, giornalista di Haaretz come Amira Haas, in passato è stato accusato dal ministero degli Esteri di danneggiare l’ immagine di Israele. Nell’ email riceve messaggi come questo: «Va istituito l’ esilio interno, alla russa. Ti devono spedire a Sderot, senza passaporto». Scrive Levy: «Uno spirito malvagio è calato sulla nazione. Un editorialista, cosiddetto illuminato, descrive il fumo nero che si alza da Gaza come uno spettacolo. Questo non è il mio patriottismo. Il mio patriottismo è criticare, fare le domande fondamentali. Questo non è solo il momento dell’ uniforme e della fanfara, ma dell’ umanità e della compassione». Davide Frattini

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