PANORAMICA DELLA STORIOGRAFIA FRANCESE (I)
Il pensiero storico francese ha occupato, durante quasi tutto il XIX secolo, una delle posizioni più avanzate nella scienza storica mondiale.
E’ sufficiente ricordare i nomi dei suoi più grandi rappresentanti: A. Thierry, F. Guizot, J. Michelet, F. A. Mignet. Costoro spiegavano tutta l’evoluzione della Francia e dell’Inghilterra in termini di lotta di classe tra nobiltà e borghesia, cioè in termini di scontro sociale e politico.
Ma negli anni 1880-1890 si ebbe un declino di questa storiografia: i suoi nuovi rappresentanti (si pensi a A. Sorel, Ch. Seignobos, A. Aulard, E. Lavisse) si limitavano a svolgere la ricerca su un piano meramente politico-diplomatico.
Solo verso la fine del secolo e l’inizio del successivo si può notare un’inversione di marcia. Nuovi storici, come P. Lacombe (fece epoca il suo libro La storia considerata come scienza) e H. Berr (fondatore della teoria e del movimento della “sintesi storica”, cui aderiscono, fra i giovani, P. Mantoux, L. Febvre e M. Bloch) presero a combattere con nuove energie l’involuzione della storiografia francese.
H. Berr, come E. Durkheim (caposcuola della sociologia francese), non s’interessava molto di economia: la sua preoccupazione principale era quella di realizzare una sintesi culturale su basi filosofiche e idealistiche. Il problema in effetti era quello di come superare il quadro tradizionale della storia cronologica, la storia per secoli o per regni, focalizzando invece l’attenzione sui problemi, al fine di trovare delle costanti nel tempo, senza soffermarsi sugli avvenimenti singolari, le biografie, gli aneddoti ecc.
Nel 1920 Berr intraprese la pubblicazione, che portò avanti fino alla morte, di una collezione intitolata L’evoluzione dell’umanità, in 80 volumi: qui videro la luce le opere di L. Febvre e M. Bloch, fra cui, di quest’ultimo, la famosissima Società feudale.
Questa rinnovata scienza storica aveva subito una certa influenza da parte della scuola sociologica di Durkheim, la cui Année sociologique (1879) opponeva allo studio del fatto individuale, irripetibile, quello delle determinazioni sociali, cui si attribuiva un ruolo essenziale in tutto lo sviluppo della società. Attorno a questa scuola gravitavano ricercatori come F. de Saussure, L. Lévy-Bruhl ecc.
Oltre a questo ebbe un peso notevole sullo sviluppo della scienza storica francese la teoria marxista. Fu J. Jaurès, coi suoi volumi sulla Storia socialista della rivoluzione francese (1900), che indusse gli storici francesi a prestare maggiore attenzione ai fatti socio-economici. G. Lefebvre, il maggior storico francese della prima metà del sec. XX, rimase profondamente impressionato dal valore di quest’opera.
Quando, su iniziativa di Jaurès, fu creata una commissione incarica di raccogliere i documenti relativi alla storia economica della rivoluzione, Lefebvre vi partecipò così attivamente che furono proprio i lavori di Jaurès e di Luchitski, uno storico russo specializzatosi nello studio dei rapporti agrari nella Francia del XVIII sec., che lo portarono a scegliere un argomento di economia rurale per la sua tesi di dottorato: I contadini del Nord durante la rivoluzione, frutto di quasi 20 anni di ricerche.
Ormai l’idea di completare se non di superare la tradizionale storiografia politica con l’analisi economica dei fatti sociali era diventata sufficientemente matura per imporsi all’attenzione di molti storici. A ciò naturalmente avevano contribuito anche altri fattori, come lo sviluppo del capitalismo, i progressi delle scienze naturali (specie la fisica) ecc.
A Strasburgo, nel 1929, appaiono i primi numeri della rivista “Annales de l’histoire éeconomique et sociale”, diretta da L. Febvre e M. Bloch. Due anni prima A. Mathiez, il maggior storico della rivoluzione francese durante il primo trentennio del secolo, aveva pubblicato la sua migliore opera socio-economica: Il carovita e il movimento sociale sotto il Terrore.
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