LE ZONE D’OMBRA E LE ALTERNATIVE STORICHE (I)
La storiografia marxista dell’attuale ex-Urss è stata alle prese, negli anni della perestrojka, con problemi legati all’autenticità dei fatti storici, alla loro completezza e verità, nonché alla revisione di talune interpretazioni schematiche e decisamente superate. Vi era stato un grande desiderio di conoscere tutto il proprio passato e soprattutto quelle “zone” tenute in ombra dallo stalinismo e dai governi della stagnazione. A ciò si collegava la discussione sul valore delle “alternative storiche”, cioè delle diverse opzioni che si potevano seguire nel momento in cui andavano risolte questioni d’importanza vitale.
Vi sono state alcune “rivelazioni” che hanno per così dire dato il via a molti ripensamenti storiografici. Si pensi alla scoperta di un patto segreto fra Urss e Germania che affiancava quello ufficiale di Ribbentrop-Molotov, o alla responsabilità accertata di Stalin nell’esecuzione degli ufficiali polacchi a Katyn, o anche al fatto che i sovietici morti nel corso della II guerra mondiale sono stati non 20 ma 27 milioni.
Solo oggi si può tranquillamente ammettere che molti fatti storici erano completamente o parzialmente ignorati non solo dai manuali scolastici, ma anche dalle pubblicazioni scientifiche. Il che per molti decenni ha contribuito a fare della storiografia un compito riservato a pochi specialisti rigidamente allineati. Anche quando, p.es., si cominciò ad accennare alle violazioni della legalità durante gli anni dello stalinismo, si continuò a tacere sulle milioni di vittime innocenti, nonché sulle responsabilità dei delatori, dei calunniatori e dei seguaci di Stalin, favorevoli allo sterminio di massa.
Il giudizio sulla II guerra mondiale
Molti storici sovietici, anche nel periodo della stagnazione, attribuivano la scarsa preparazione dell’Urss, per una guerra contro la Germania nazista, al fatto ch’essa non ebbe tempo sufficiente per riorganizzare e riarmare l’Armata Rossa: il che spiegherebbe -a loro giudizio- le sue sconfitte durante le prime tappe della guerra. Oggi invece gli storici sono del parere che l’Urss avesse sin dall’inizio capacità adeguate a respingere l’aggressore, in quanto i carri armati e i corpi corazzati non avevano nulla da invidiare a quelli tedeschi. Furono anzi proprio i sovietici a saggiare per primi le possibilità, teorico-pratiche, dei ponte-aerei, dei missili e dei razzi.
Il fatto è purtroppo che il genio di esperti militari come M. Tukhachevsky e V. Triandafillov, o di esperti scienziati come S. Korolev e V. Glushko, non venne capito, e sino al punto che essi stessi furono considerati dei sabotatori e dei “nemici del popolo”. E così, in luogo della produzione e dell’uso massiccio dei carri armati e dei corpi corazzati, si preferì rilanciare i mezzi e i metodi con cui si era vinta la guerra civile. I piani per creare le divisioni dei paracadutisti furono smantellati, e P. Grokhovsky, uno dei loro principali ideatori, venne declassato a un compito amministrativo. I progettisti dei razzi, Korolev e Glushko, furono spediti nei campi di prigionia di Kolyma. Y. Alksnis e Y. Smushkevich, loro collaboratori e specialisti teorico-pratici nell’uso degli aeroplani da guerra, caddero sotto le repressioni staliniane. Molti generali dell’Armata Rossa e tantissimi ufficiali di valore furono uccisi o finirono nei gulag.
Oggi ci si chiede quanti storici sovietici abbiano studiato a fondo gli inizi della Grande Guerra Patriottica. Quando la Germania attaccò l’Urss, il 22 giugno 1941, ci fu un notevole ritardo nell’allertare le truppe sovietiche nei distretti militari occidentali. Solo durante il primo giorno di guerra, l’aviazione sovietica perse circa 1200 aerei: questo perché l’intelligence del nemico aveva informazioni dettagliate sullo spiegamento delle forze sovietiche e sulle linee di rifornimento e di comunicazione dislocate per almeno 300 km.
Questi e molti altri errori di valutazione dello staff di Stalin comportarono il tracollo quasi immediato del fronte occidentale. S’impedì addirittura alle truppe di terra di attraversare i confini con la Germania e alle forze aree di oltrepassare i limiti aldilà di 100-150 km.
Stalin decise di reagire soltanto quando il nemico era giunto nei territori sud-occidentali. Nel settembre del ’41, invece di acconsentire al ritiro delle 600.000 truppe sud-occidentali, al fine di preparare la difesa lungo il fiume Psel, favorì il loro accerchiamento nella battaglia di Kiev. Nel maggio ’42, invece di ascoltare il generale A. Vasilevsky che gli aveva suggerito di fermare l’offensiva su Kharkov, Stalin (e con lui Timoshenko) la pretese ad ogni costo, determinando così l’accerchiamento delle truppe sovietiche nel saliente di Barvenkovsky.
Milioni di soldati sovietici furono fatti prigionieri durante il primo periodo della guerra. Milioni di loro morirono nei lager nazisti. E milioni di soldati furono uccisi nei territori sovietici occupati. Ciononostante, nei confronti di chi riusciva a sopravvivere e a tornare in patria, lo stalinismo spesso riservò una particolare accoglienza: il sospetto di tradimento!
Il giudizio sulla democrazia
Ovviamente qui sarebbe ingiusto attribuire al solo Stalin ciò di cui furono responsabili anche gruppi sociali e leaders politici amanti dei metodi dirigistico-amministrativi, senza considerare che in parte vanno responsabilizzati anche tutti coloro che provavano indifferenza per la gestione politica della vita sociale. Lo stesso culto della personalità non può essere ritenuto come un prodotto esclusivo del carattere autoritario di Stalin. Se così fosse, si dovrebbe anche ammettere che la società socialista non può mai garantirsi contro l’apparizione di tale fenomeno, in quanto può solo sperare che a un leader autoritario faccia seguito, casualmente, uno democratico.
D’altra parte non ha neppure senso giustificare quel culto appellandosi a fattori storico-oggettivi, come p.es. lo stato arretrato del paese, l’assenza di esperienze democratiche, la necessità della centralizzazione, ecc. Se così fosse il culto andrebbe visto come una necessità storica cui la società di allora non poteva opporsi. Questi due punti di vista portano -come si può notare- a uno stesso risultato: prevenire il culto o sopprimerlo, dopo che si era formato, era allora impossibile.
Oggi finalmente si sono acquisiti dei criteri fondamentali grazie ai quali si può scongiurare la riedizione (magari riveduta e corretta) di quel culto: il principio della elettività, l’obbligo di rendere conto del proprio operato, il controllo di tutto l’apparato gestionale, la rotazione delle cariche, la trasparenza, la partecipazione collettiva all’elaborazione ed applicazione delle leggi, ecc. Non esistono fattori oggettivi o soggettivi che di per sé possano impedire il formarsi del culto della personalità: occorre il contributo di entrambi.
Gli storici si stanno p.es. chiedendo se l’esigenza della centralizzazione, manifestatasi subito dopo la rivoluzione d’Ottobre, doveva per forza di cose realizzarsi sulla base del centralismo burocratico. Ora, il fatto stesso che Lenin e altri bolscevichi avessero prospettato l’eventualità di democratizzare tale centralizzazione, non sta forse ad indicare che né la mancanza di esperienze democratiche, né il basso livello culturale del popolo, avrebbero potuto impedirne la realizzazione? Disgraziatamente Lenin morì troppo presto per continuare la lotta in questa direzione, e dopo la sua morte nessun altro dirigente fu in grado di farlo in maniera convincente: anche sui motivi di questa sconfitta della democrazia gli studi sono ancora insufficienti per offrire risposte esaurienti.
Tuttavia, non ogni interpretazione sulle vicende del passato va rivista. Alcuni storici non-marxisti hanno rispolverato la tesi secondo cui la riforma agraria di Stolypin avrebbe potuto costituire un’alternativa alla rivoluzione d’Ottobre, se la Ia guerra mondiale non l’avesse impedita. In realtà, quella riforma, di tipo prussiano, era fallita ancor prima del 1914, proprio a motivo del fatto che l’autocrazia non era riuscita a vincere né l’attaccamento dei contadini alle tendenze egualitaristiche delle comuni, né il bisogno di protezione sociale tipico di quest’ultime, nonostante il loro carattere limitato. Anche da questo si comprende come la rivoluzione d’Ottobre non fu una semplice alternativa al capitalismo, ma una necessità storica vera e propria.
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