Per una filosofia della storia (III)
Protestantesimo e capitalismo
Il protestantesimo emerge dalla constatazione che il principio cattolico dell’obbedienza non era più in grado di reggere o di sopportare la contraddizione dei rapporti feudali. Tale contraddizione -come noto- diventava tanto più acuta e insostenibile quanto più crescevano le forze della borghesia. Rifiutando la logica autoritaria, centralistica della chiesa cattolica, unitamente alla profonda corruzione del suo idealismo politico, il protestantesimo ha affermato il principio della libertà interiore del singolo individuo, cioè il primato della coscienza individuale, permettendo così al cristianesimo di recuperare una parte del modello originario del Cristo (modello che la Riforma non ha dedotto dall’esperienza ortodossa perché qui era connesso al rispetto scrupoloso della tradizione, motivo per cui l’ortodossia non aveva più alcuna influenza in Europa occidentale da almeno mezzo millennio prima che nascesse la Riforma).
Tuttavia, il protestantesimo, non riuscendo a modificare i rapporti sociali esistenti, basati sullo sfruttamento, non ha fatto altro che accelerare la trasformazione del servaggio in dipendenza salariata (quella per cui l’uomo è giuridicamente libero e socialmente schiavo), lasciandosi coinvolgere, anima e corpo, nel gretto mondo dell’economia borghese.
Sotto tale aspetto, i protestanti hanno operato un tradimento peggiore di quello dei cattolici, perché più sofisticato e più pericoloso. Da un lato infatti essi hanno permesso che lo Stato usasse del proprio potere nella maniera più arbitraria possibile; dall’altro hanno fatto dell’esperienza sociale della religione una pura e semplice “intellettualizzazione della fede”. In verità, anche la Scolastica medievale non era meno astratta e speculativa; tuttavia la teologia protestante, essendo più “libera” (perché non vincolata a concetti come “tradizione”, “autorità”, ecc.), è arrivata a giustificare quasi ogni cosa.
Il protestantesimo non ha mai avuto un interesse specifico di potere ecclesiastico da difendere, eppure, per salvaguardarsi come confessione, si è servito del potere degli Stati come nessun’altra confessione aveva fatto prima. Resta tuttavia interessante nel protestantesimo la tendenza all’agnosticismo se non all’ateismo, che è il frutto appunto di uno studio razionalistico delle Scritture, fatto con l’apporto di buona parte della cultura laico-umanistica. Questo aspetto lo avvicina al marxismo, lo allontana di molto dal cattolicesimo e di moltissimo dall’ortodossia, per la quale unica vera preoccupazione è quella di salvaguardare la tradizione e gli aspetti rituali-sacramentali, mentre il livello della riflessione speculativa -dopo le grandi dispute sulla natura del Cristo e sulle eresie del mondo cattolico- è rimasto poco consistente.
Il ruolo del socialismo scientifico
Nel mondo medievale era chiaro che il servo della gleba non poteva essere libero, anche se aveva più diritti dello schiavo. Nel mondo moderno invece l’uomo è formalmente libero ed è in questa libertà fittizia ch’egli accetta “spontaneamente” -come vuole la borghesia- di diventare operaio salariato. E’ stato il marxismo a togliere il velo all’ipocrisia della società capitalistica, e quindi all’ipocrisia della religione protestante, della filosofia idealistica, dell’economia politica classica e dell’ideologia politica borghese: il marxismo ha dimostrato che una libertà affermata davanti alla legge o allo Stato, nel pensiero o nella coscienza, senza una corrispettiva libertà dal bisogno, è una libertà falsa.
Non bisognerebbe mai dimenticare che i princìpi fondamentali del marxismo sono due: la socializzazione dei mezzi produttivi e il materialismo storico-dialettico (che include l’ateismo-scientifico). E’ sulla base di questi due princìpi ch’esso è stato in grado di ereditare le migliori conquiste della filosofia tedesca, della politica francese e dell’economia inglese.
A loro volta, queste tre correnti di pensiero rappresentano l’eredità e lo sviluppo, in veste laicizzata, di quanto di meglio potevano esprimere le due religioni principali dell’Europa occidentale: cattolicesimo e protestantesimo (quest’ultimo nella forma luterana in Germania e nella forma calvinista in Inghilterra). Il leninismo, dal canto suo, rappresenta una nuova sintesi, poiché è riuscito a ereditare non solo tutto il marxismo (e quindi tutta la cultura occidentale), ma anche tutta l’ortodossia (attraverso il populismo), rappresentando così, nell’epoca contemporanea (che è imperialistica), una via sicura per la realizzazione dei due suddetti princìpi fondamentali del marxismo.
Vista da questa angolazione, l’attuale perestrojka non andrebbe considerata come un superamento del leninismo, ma come una sua progressiva democratizzazione sul piano sociale e umano. Il leninismo infatti, quale ideologia politica, potrà essere superato solo dalla sua stessa democratica realizzazione: cosa che in URSS e negli altri paesi socialisti, lo stalinismo prima e la stagnazione dopo avevano reso del tutto impossibile. Il leninismo è stato il tentativo di affrontare il problema di una democrazia socialista a partire da una prospettiva prevalentemente politica; l’attuale perestrojka va vista come un tentativo di aggiungere a tale prospettiva anche quella eminentemente sociale e umanistica (quella cioè in cui il popolo si sente protagonista attivo del suo destino).
La perestrojka, se bene attuata, comporterà un modo diverso non solo di concepire le relazioni sociali e umane, ma anche la stessa attività politica, la quale non potrà più essere delegata dalle masse alle istituzioni statali e partitiche come fino ad oggi è accaduto.
Lo sviluppo del socialismo, sul piano culturale o ideologico, è una conseguenza indiretta della precedente cultura (non diretta, poiché nella storia non solo non c’è nulla di assolutamente arbitrario ma neppure nulla di assolutamente automatico). Ora, siccome la cultura pre-socialista era prevalentemente caratterizzata dalla religione, ciò significa che sul piano culturale il socialismo ha un debito nei confronti della religione. Infatti, grazie anche alla religione, cioè nonostante il suo “tradimento” dell’ideale originario, noi possiamo risalire (almeno sul piano dell’interpretazione storica) a questa positività primitiva, mettendola a confronto con gli ideali più significativi del moderno socialismo.
In altre parole: se per vivere una società a misura d’uomo oggi possiamo farlo senza alcun riferimento alla religione (in quanto il socialismo è un’esperienza di umanesimo integrale), per vivere questa stessa società con una coscienza storica, cioè con una coscienza dell’intera evoluzione del genere umano, una coscienza che ci aiuti a non dimenticare nulla del passato ma anzi a valorizzare quanto di meglio esso abbia prodotto, la religione può ridiventare utile, in quanto riflesso opaco di una positività tradita.
Se noi ad es. riuscissimo a dimostrare che la moderna emancipazione dalla religione e soprattutto dallo sfruttamento del capitale è, in fondo, un ritorno, in nuce, alle idee originali del Cristo -che predicò comunione dei beni e primato dell’uomo- noi non avremmo fatto un “servizio” alle chiese di questo mondo, ma al socialismo, poiché la storia ha dimostrato che lo sviluppo della religione costituisce sempre un tradimento degli ideali originari, benché nonostante questo tradimento (o in virtù di esso) possano verificarsi dei progressi, condotti in ambito religioso, per “purificare” l’idea di religiosità, e dei progressi, condotti in ambito laico, utili al superamento della stessa religione e utili persino alla recupero dell’ideale tradito. Naturalmente con questo non si ha alcuna intenzione di sostenere che gli ideali umanistici del socialismo possono di per sé garantire dagli eventuali abusi che si compiono sul piano pratico. Il fallimento del “socialismo reale” rappresenta anche la fine di questa illusione.