Una vita di musica, una musica di vita
Un evento storico e straordinario quello del 3 ottobre. La presentazione di queste opere in tre versioni diverse pubblicate da una casa editrice specializzata nella musica classica è un riconoscimento enorme per la mia attività di musicista e per la cultura e l’arte romanì. Da sempre e soprattutto nel periodo Romantico l’arte romanì è stata sfruttata dai grandi musicisti e compositori. Qui l’operazione che noi proponiamo va in senso opposto: l’orchestra sinfonica o ensamble classico che accompagna e sostiene un gruppo musicale Rom. Un direttore d’orchestra che volesse fare un omaggio all’arte o alla cultura romanì in qualsiasi parte del mondo oggi con queste partiture può farlo. E’ un contributo all’umanità e al patrimonio artistico e culturale universale. Le opere nelle tre versioni di partiture per orchestra, partiture per ensamble e partiture per fisarmonica sola e voce sono presentate in sei lingue e anche i testi della linea vocale è tradotta in sei lingue: romanì, italiano, inglese, francese, spagnolo e tedesco per una diffusione mondiale.
I rom e la musica
L’attività musicale è un fenomeno complesso che è mediato dagli atteggiamenti e dai costumi culturali appresi. La musica è uno dei mezzi più importanti con i quali i Rom esprimono e trasmettono la romanipè (l’identità e la cultura romanì). Le performances musicali dei Rom avvengono quotidianamente sia all’esterno che all’interno delle famiglie e ciò permette un flusso continuo di comunicazioni, di esperienze e di espressioni variegate.
Solitamente il musicista suona accompagnato dal suo gruppo musical-parentale per la propria famiglia o all’interno della propria comunità.
Tutti hanno familiarità con ciò che avviene, la musica funge da collante familiare e sociale. Dal punto di vista del musicista o dei musicisti, la performance e l’elogio pubblico rinforzano il senso di autostima e il senso di appartenenza alla propria comunità. Il consenso è garanzia di appartenenza e garanzia di solidarietà. Il musicista Rom suona o canta all’interno delle famiglie brani che sono “condivisi” e che rappresentano un repertorio noto a tutti. La performance è diversa a seconda dei contesti e degli ambienti, ma soprattutto per “chi” si suona. L’interpretazione varia, così, a seconda di chi è il destinatario. Il Rom suona in maniera nettamente differente se suona per se stesso o per la propria comunità rispetto a quando suona per i Gage (non-Rom).
Ciascuna comunità romanì, quindi, ha una propria tradizione, una propria etica, un proprio modello di vita, una propria variante della lingua romanì o romanès che la rendono unica: la lingua, in particolar modo, condiziona i canti e il modo di cantare.
Si deduce una stretta relazione fra gli aspetti musicali e il contesto esecutivo, esistono cioè, vari condizionamenti che influenzano la performance musicale. Ogni comunità ha un proprio repertorio musicale e un proprio stile artistico. Sono, però, riscontrabili dei tratti comuni: l’impiego nelle melodie, ove il canto o lo stumento lo permetta, di quarti di tono o di microintervalli, l’impiego di fioriture ornamentali e abbellimenti, l’utilizzo di scale d’importazione orientale, l’utilizzo di ritmi o poliritmie trascinanti e coinvolgenti, l’utilizzo della variazione e dell’improvvisazione e l’impiego dei melismi nel canto.
I Rom, generalmente, prediligono sonorità dense e compatte, senza interruzioni o silenzi, capaci di emozionare, sedurre e commuovere e di coinvolgere i sensi.
I sistemi sonori della popolazione romanì si basano essenzialmente su due scale, ereditate dalla musica orientale e adattate al sistema temperato equabile della musica occidentale, una di modo maggiore: DO, Reb, MI, FA, SOL, Lab, SI, DO e l’altra di modo minore:
LA, SI, DO, Rediesis, MI, FA, SOLdiesis, LA.
I Rom ne hanno fatto un utilizzo diverso adattandole e modificandole a piacimento.
I canti son contraddistinti da timbri acuti, sforzati e nasalizzati e dall’utilizzo di melismi e vibrati. Di solito al canto i Rom associano sentimenti di grande emotività, perché spesso il canto narra o ricorda un’esperienza vissuta o una persona cara. Quando i Rom vogliono essere felici cantano, così anche se hanno bisogno di liberarsi di una pena o quando vogliono esprimere un sentimento.
I bambini imitano gli adulti.
L’esecuzione musicale nella società romanì, una società patriarcale e patrilineare in cui il sistema di residenza è virilocale, è un fatto prettamente maschile, alle donne si permette, tuttavia, di cantare e soprattutto di danzare.
Gli anziani cantano spesso canzoni della loro infanzia, canti che hanno udito o imparato o inventato essi stessi. In tal modo canzoni anche molto antiche vengono tramandati da una generazione all’altra. I patriarchi, detti phurè, sono insegnanti per i più giovani e assicurano la continuità della trasmissione culturale, sono garanti legittimi della tradizione attraverso le kris (tribunali degli anziani) nei riguardi dei trasgressori delle norme morali del gruppo, sono i tutori del controllo sociale e della moralità della famiglia. I canti di pena hanno la funzione di esorcizzare un dolore o una situazione di sofferenza o una traumatica esperienza. Sono canti intimi e personali, accessibili ai soli membri familiari, sono canti malinconici e tristi, eseguiti in uno stile intimo e raccolto.
Queste canzoni rappresentano un mezzo per eliminare la frustrazione e affermare la propria individualità, sono una valvola di sfogo e di decontrazione psicologica. La vita errabonda, il viaggio e il rifiuto secolare della romanipè, la ricerca dello spazio vitale, il movimento continuo, le esperienze emotive forti e contrastanti, le veglie notturne, il calore del fuoco, lo spazio all’aperto, gli odori e i “rumori” delle notti sotto le stelle e la luna hanno acuito nei Rom una sensibilità particolare, liberandoli da schemi mentali precostituiti. Le forme musicali pur rientrando in un discorso tradizionale e/o condiviso, vengono elaborate individualmente essendo forme flessibili, adattabili e aperte alle influenze esterne e all’attualità.
La partecipazione dei membri della comunità alle performances garantisce la continuità della funzione sociale. Gli eventi quotidiani e quelli occasionali all’interno della comunità permettono la reiterazione delle performances e con esse la trasmissione culturale.
La festa è un momento magico, un rito solenne a cui gli invitati partecipano volentieri per ribadire il forte senso di appartenenza alla propria comunità. La musica ha un ruolo centrale nella cosmologia culturale romanì, una parte vitale del processo di conservazione di usi e consuetudini nonché una posizione dominante nello sviluppo delle relazioni interpersonali.
Nella società romanì c’è una stretta relazione fra il suono eseguito e il movimento della danza, fra l’individuo e la comunità, tra il canto e le sue variazioni, tra il ritmo e l’ovazione, tra il patriarca e i suoi familiari. La vita quotidiana e la musica, nella società romaní, sono il luogo culturale dello sviluppo.
La musica come mezzo di difesa culturale
L’uomo presenta vari livelli di identità. La comunità di appartenenza è il livello di identificazione più ampio al quale si aderisce.
In questo contesto la musica gioca un ruolo importante: essa non vive in una sfera astratta, è fatta dall’uomo, fa parte della sua esistenza, si produce nelle circostanze concrete della vita culturale e sociale, si connette con le altre dimensioni della vita, interagisce con gli altri aspetti della realtà individuale e collettiva.
La musica può effettivamente parlare della realtà, ne parla in maniera del tutto particolare, decisamente diversa da quanto si riscontra nel linguaggio comune.
Un suono o una serie di suoni ci forniscono una notizia riguardante persone, cose, fatti.
Un suono o una sequenza sonora servono per così dire, “da nome proprio”, identificano dunque persone, cose o fatti.
La musica ha funzione socializzante, in quanto fa sentire l’individuo come membro di un gruppo, di una comunità. La musica “unisce”, come spesso si dice, e si fa portatrice di valori comuni, di una identità collettiva. E’ questa la principale funzione degli inni nazionali. 3elèm 3elèm è l’inno trasnazionale della popolazione romanì che ed è il canto in cui tutte le comunità romanès di Sinti, Rom, Kalè, Romanichals e Manouches distribuite nei cinque continenti (12 milioni), si riconoscono. Cantare, danzare, suonare, ascoltar musica aiuta a ricostruire la propria identità. Nel canto romanò si racchiude e si schiude tutto un mondo poichè troviamo nel testo:
-la lingua romanì con le sue origini, le sue sfumature e le sue acquisizioni;
-una storia e una narrazione che si traducono in memoria storica del gruppo o della famiglia;
-l’etica e la filosofia di vita della comunità di appartenenza;
- un’emozione personale legato ad un evento; in sintesi un universo complesso e particolare.
La musica rivela, così, un’identità linguistica, sociale e culturale che si auto-difende attraverso la sua trasmissione di generazione in generazione.
Privi di una cultura letteraria fino a pochi decenni fa, i Rom si esprimono con straordinaria eleganza attraverso il linguaggio corporeo e il linguaggio musicale.
La musica, col suo alto valore formativo e comunicativo, ha svolto nella società romanì, nel corso dei secoli, un ruolo attivo nella difesa, nella conservazione e nella trasmissione della cultura, dell’identità e della lingua romanì, ovvero della romanipé. L’alta presenza di musica nella vita quotidiana di un Rom produce familiarità con i repertori più ascoltati e questa familiarità produce di fatto competenza.
I Rom e la musica
L’arte romaní è caratterizzata da due aspetti indivisibili e complementari perfettamente coerenti con la particolare visuale dualistica dell’esperienza di vita romanès: la malinconia e l’allegria.
Grazie a questi due atteggiamenti simbiotici il Rom è in grado di passare istantaneamente dalla gioia al dolore e dalla morte alla vita e viceversa, sublimando la passione e la tristezza, la felicità e la noia con ritmi incalzanti e colori sgargianti, vividi e mai domi nell’ispirata improvvisazione. Un’arte profondamente intuitiva e sinceramente spontanea, estremamente creativa e morbosamente comunicativa. Nel codice linguistico sono ricorrenti le parole strada, cammino, carovana, famiglia, figli, accampamento, ma anche dolore, solitudine, incomprensione codici basilari come una spina dorsale. Il significato religioso pure è presente nel tema altrettanto ricorrente di passione e morte. Nonostante le politiche repressive e l’emarginazione il mondo romanó ha espresso importanti artisti come: Demetrio Karman, che influenzò generazioni di importanti musicisti Rom ungheresi (1550); Barna Mihály, vissuto a cavallo tra il XVI e il XVII secolo, violinista eccelso, fu apprezzato dal Principe ungherese Ferenc II Ràkóczi. A lui si deve la Marcia di Ràkóczi, anima dell’insurrezione contro l’Austria degli Asburgo e che diventerà l’Inno Nazionale ungherese; Panna Czinka (1711-1792), nipote di Barna Mihály fu una violinista apprezzata dalla nobiltà asburgica e fu lei a fissare la strumentazione per l’orchestra tipicamente romaní: violino, viola, contrabasso e cymbalom; Janos Bihari (1764-1827) violinista straordinario, che fu invitato a suonare durante i festeggiamenti per il Congresso di Vienna (1814-15), fu il Primas (leader) di un gruppo di musicisti celebri, conosciuto anche al di fuori dei confini Austro-Ungarici. E’ l’autore della Bihari-nota che compose nel 1808 per l’incoronazione dell’Imperatrice Maria Luisa come Regina d’Ungheria. A lui si deve anche la diffusione dello stile Verbunkos (motivi suonati durante il reclutamento con intermezzi improvvisati, che daranno origine alle famose Czárdás); Barbu Lautaru (1775-1858) musicista moldavo che meravigliò Franz Liszt e che gli ispirò le Rapsodie Ungheresi e la Rapsodia rumena. In Romania il musicista Anghelus Dinicu (prima metà del XIX secolo) rielaborò una melodia del folklore locale: Ciocirlia che è diventato un brano per virtuosi del violino; Dimitrie Dinicu (1868 -1936) violinista di grande levatura, diresse l’Orchestra Sinfonica di Bucarest; – Grigoras Dinicu (1889 -1949) ebbe una reputazione mondiale, a lui si deve la celebre Hora Staccato.
Django Reinhardt (1910-1953), chitarrista straordinario, precursore del Jazz Manouche in Francia e originalissimo solista che ha realizzato una perfetta fusione del linguaggio musicale romanò con quello dello swing, fu uno dei pochi jazzman europei ad aver influenzato la musica nera americana, fu invitato in America a suonare nella grande orchestra di Duke Ellington; il suo nome è venerato nei club jazzistici di tutto il mondo. El Camaron de la Isla (1950-1992), il più importante interprete del flamenco contemporaneo. Fra gli artisti geniali di oggi, va sicuramente annoverato il chitarrista Sinto francese Bireli Lagrene, ma anche altri musicisti Rom, Sinti, Manouches, Romanichals e Kale sono eccellenti creatori di arie, melodie e ritmi apprezzati e imitati in tutto il mondo. Bisogna far attenzione alle tendenze musicali e alle mode che tendono ad imitare e banalizzare i contenuti profondi dell’arte romaní. In alcune nazioni l’arte romanì ha contribuito notevolmente al folklore nazionale: in Spagna, in Ungheria, in Romania, nella Ex- Yugoslavia, in Russia.
La popolazione romaní da secoli risiede in Europa ed ha attivamente contribuito alla formazione delle tradizioni popolari dei Balcani, al Flamenco iberico-francese, allo Swing Sinto tedesco e al Jazz Manouche francese influenzandole con il suo inconfondibile stile inserendosi così in quel mosaico culturale e musicale che è l’Europa..
Per musica romaní deve intendersi una musica vocale e strumentale transnazionale, spesso semi-improvvisata, caratterizzata da un’immediatezza di comunicazione, da un ritmo complesso, fluido e trascinante e da una melodia influenzata dall’eredità musicale orientale, con l’impiego, ove il canto o lo strumento lo permetta, dei quarti di tono e di fioriture ornamentali d’ogni tipo.
Per capire la musica romaní occorre viverla alla maniera romanès. Parlare della musica romaní significa parlare della cultura di questo popolo e della sua evoluzione che segue le vicende di un interminabile cammino nel mondo. Un popolo disperso, incompreso e oppresso, che gelosamente e in modo straordinario, ha custodito i suoi tratti essenziali nel tempo e nello spazio. Un popolo caratterizzato dal suo destino, dal suo fatalismo atroce, da quel suo girovagare per alleviare il dolore del vivere, da quel ricominciare sempre daccapo.
Ecco allora il virtuosismo inarrivabile, le dissonanze, i ritmi incalzanti: tutto ciò è dovuto all’interiorizzazione millenaria del dolore e della precarietà, del travaglio fisico, morale e psicologico che lottano incessantemente con la voglia di vivere e di gioire.
Le aree e gli ambiti musicali
Le aree musicali romanès, con diversi stili e ramificazioni, sono sei e sono strettamente connesse le une con le altre.
Ogni area musicale si estende in una determinata regione e include diverse nazioni, che a loro volta ospitano diverse comunità romanès. In ogni area le comunità romanès hanno sviluppato particolari stili musicali, questo è il risultato dell’incontro fra la cultura romaní e il patrimonio etnofonico dei paesi che via via hanno ospitato le diverse comunità nel loro lungo migrare dall’Oriente verso Occidente. Le diverse ramificazioni musicali non sono altro che tasselli di un unico, grande e colorato mosaico. Fu grazie alla loro abilità di musicisti e di danzatori che i Rom riuscirono a farsi benvolere in Europa: in Ungheria ed in Polonia erano al servizio della corte reale come pure in Moldavia ed in Valacchia e nei domini dei Boiardi.
In Russia divennero addirittura una moda, tanto che Listz potè ascoltarli a Mosca.
In Italia li troviamo nel Ducato di Ferrara nel 1469. In Spagna la musica dei Kale (chiamati Gitani, termine diminutivo derivato da “Egiptano=egiziano”) è stimata fin dal XVI secolo, quando Cervantes scrisse la “Gitanilla”, ma ebbe grande fama solo a partire dalla fine del XVIII secolo.
Le sei aree in cui i diversi stili musicali romanès si sono sviluppati, intrecciandosi in un rinnovamento continuo tanto da rappresentare ognuno l’estremo sviluppo dell’altro, sono:
area Orientale: dall’Asia Minore, fino alla penisola Anatolica-Armena (Turchia) e l’Africa Nord-Orientale (Egitto).
Caratterizzata dall’assenza di strutture e cadenze armoniche, impiego di fioriture ornamentali, impiego nel canto di melismi ed emisioni nasali;
area Balcanica: include la Romania, i territori dell’ex-Jugoslavia, la Bulgaria e la Grecia. Presenza di strutture modali ripetute, forte accentuazione ritmica (per esempio: 8/8= 3+2+2+1), presenza di fioriture ornamentali nella melodia e melismi nel canto ;
area dell’Europa Centro-Orientale: sono compresi i territori dell’Ungheria, la Repubblica Ceca, la Slovacchia, la Polonia, l’Estonia fino alla Russia.
Presenza di cadenze armoniche tradizionali, melodie liriche e struggenti interpretazioni, il ritmo tipico è un binario accellerato con progressiva velocità, sovente impiego di virtuosismo tecnico;
area Mediterranea: riguarda in particolare la Spagna; il Portogallo, la Francia Meridionale e l’Italia. Lo stile principale è il flamenco, ma quest’area include anche altri stili caratterizzati dalla presenza di strutture modali, di cadenze armoniche tradizionali, vivacità e ricchezza ritmica. Melodie intense e profonde;
area dell’Europa Occidentale: include le ballate dei Kale e dei Romanichals del Regno Unito, il Jazz dei Manouches francesi, il Jazz dei Sinti e Rom Belgi e Olandesi, lo Swing degli Sinti tedeschi e i canti (spesso religiosi) dei Kale Finlandesi e dei Rom Svedesi. Il jazz manouches si caratterizza per il tipico ritmo in 4/4 accentuato al 1°e al 3° movimento in battere.
area AmericaLatina:include il tango dei Rom argentini e la musica (salsa /samba) che i Kalãos producono in Brasile.
In ogni area musicale ci sono degli stili fortemente influenzati non solo dalla cultura d’origine, ma anche dagli eventi della vita e dalle situazioni contingenti.
E’ il dolore, causato dalle costanti minacce esterne, a dare un pathos particolare all’arte romaní caratterizzata dai ritmi incalzanti, frenetici, diabolici che si fondono con canti intensi, vibranti, profondi. La cultura romaní per secoli si è trasmessa solo oralmente e ciò ha permesso che essa divenisse parte integrante dell’interiorità del popolo romanó che l’ha intrisa di carica emozionale e di sapore popolare.
Sono fondamentalmente tre gli ambiti in cui la musica romaní, sia a livello vocale che strumentale, si è articolata e sviluppata: l’ambito professionale (musicisti affermati), l’ambito dell’intrattenimento sociale (cantori di paese, gruppi musicali di piazza o locali) e l’ambito familiare (canti infantili, canti narrativi, musiche, danze e canti di pena, di divertimento e di preghiera).
Al primo dei tre ambiti: quello professionale, possiamo ricollegare l’attività di musicisti come Django Reinhardt, Demetrio Karman, Janos Bihari, Juaquin Cortès, Paco Suarez, i Gipsy Kings, Camaron de la Isla, Carmen Amaya, Ricardo Ballardo detto Manitas de Plata, la Kocani Orkestar, i Taraf de Haidouks, Esma Redzepova, che grazie al loro talento ed alla loro attività sono riusciti a superare le barriere sociali e razziali, si sono esibiti in prestigiosi teatri , alla radio e in televisione, riescono a vivere dei frutti del loro talento e godono di ammirazione e rispetto a livello internazionale.
Il secondo ambito: quello dell’intrattenimento sociale riguarda principalmente i piccoli gruppi musicali che si esibiscono nei locali, nelle feste di piazze in quelle religiose naturalmente dietro compenso. Questo tipo di intrattenimento è rivolto ad un pubblico che chiede svago ed ha quindi un carattere più popolare ed è quello più praticato. Il terzo ambito: quello familiare, comprende la musica che i Rom suonano per se stessi e per i propri familiari. I Rom esprimono i loro stati d’animo più profondi (dolore, pena, amore, gioia). Le melodie sono per lo più improvvisate e seguono il filo delle emozioni che si vogliono esprimere al momento.
I primi due ambiti sono dedicati alla musica suonata per guadagnarsi da vivere, quella suonata per gli altri, la vera musica romaní, quella che sgorga dall’anima viene riservata per l’interno del gruppo, per comunicare gli uni con gli altri, per restare uniti, per tramandare tradizioni, memorie e sentimenti ed è la musica più autentica.
Uno degli stili musicali che meglio rispecchia la concezione dualistica della vita è la Csardas. Questo stile è nato nei primi decenni del secolo XIX e nei paesi dell’Europa Centro-Orientale significa letteralmente “osteria” (locali in cui i gruppi musicali romanès solevano suonare); deriva dal settecentesco “Verbunko” (letteralmente “ingaggio”), ovvero uno stile musicale militare suonato da bande (spessissimo romanès) nelle piazze pubbliche dell’Impero Austro-ungarico durante il reclutamento delle truppe.
Grande è stato l’apporto che la popolazione romaní ha dato alla musica colta occidentale: si pensi, quando le possibilità di viaggiare erano ridotte, quale ispirazione e quale valore potesse avere per un musicista poter ascoltare stili musicali differenti, ciò ha permesso a numerosissimi musicisti cosiddetti colti di trarre ispirazione, e non solo, per comporre opere oggigiorno celeberrime, tra essi possiamo citare Liszt, Brahms, Schubert, Musorgskij, ¢aikovskij, Dvorák, ma più tardi anche Granados, Turina, De Falla, Ravel, Debussy, Bartòk, Stravinskij, oggi Goran Bregovic. Grande valorizzazione ma non riconoscimento alla popolazione romaní dei suoi meriti. Pochissimi sanno che uno degli strumenti più utilizzati e più popolari del nostro tempo: il pianoforte ha come antenato un antico strumento importato in Europa dalla popolazione romaní: il cymbalom (costruito a somiglianza del santur persiano) da cui è derivato anche il Clavicembalo (clavi=tastiera, cembalo=cymbalom). Un altro strumento introdotto nei Balcani dai Rom è la zurna o zurla, strumento conico a doppia ancia, da cui deriva l’oboe.
La spontaneità, l’immediatezza, la libertà d’espressione, la variazione, l’improvvisazione sono elementi da cui la creatività romaní non può prescindere.
La musica romaní è ancora “nascosta ed invisibile” a coloro che non la concepiscono alla romanès. Essa va intesa nel profondo rapporto esistente con la popolazione romaní, in un mondo e in una cultura dove il sacro, il simbolico, il magico, la comunità, le regole del clan familiare si fondono con la quotidianità, la determinano e la sostengono, sopportando le durezze, spesso disumane, di una vita vissuta sovente ai margini di tutto.
Sono convinto che se i Rom coltivassero meglio e soprattutto diffondessero meglio la loro cultura musicale, si aprirebbero alla benevolenza della gente poichè la musica unisce i popoli.
La vasta produzione spinelliana non l’ho mai trovata in vendita da nessuna parte.
Una sfilata di moda Rom ( le donne rom sarebbero certamente in grado di creare una linea particolare) sottolineata da musica rom, contribuirebbe fortemente a dare dignità e successo a un popolo autolesionista, che invece fa di tutto per farsi discriminare ed anche odiare. Se i Rom si rendessero economicamente indipendenti ( possono farlo benissimo) come hanno fatto i giostrai e i circensi, la discriminazione non esisterebbe, come non esiste per gli ambulanti neri o indiani che vanno di fiera in fiera a vendere la loro mercanzia.
Facciamo vedere che non valiamo meno di questi gonfi tacchini.
Secondo me i Rom hanno di fronte a se una scelta drammatica e inevitabile.
Modernizzarsi rinunciando ad una parte delle loro tradizioni, abbandonando o attenuando quelle socialmente meno accettate, avranno la possibilità di accentuare quelle e più importanti legate all’arte.
Se invece tentano di mantenere intatte le loro tradizioni con stili di vita anacronistici, alla fine di una lunga e dolorosa discesa nel degrado sociale, fino forme di autodistruzione come droghe ed alcolismo, finiranno per perderle tutte.
Antonio - – - antonio.zaimbri@tiscali.it