Lo studio delle civiltà (II)

Coscienza e materia come pilastri della storia

Di regola i manuali di storia valutano il livello di civiltà di una determinata formazione sociale dal tasso di tecnologia applicato alle sue opere di edificazione. È molto difficile trovare uno storico che accetti l’idea che una civiltà avanzatissima sul piano tecnologico possa essere particolarmente arretrata sul piano dello sviluppo etico.

Eppure da tempo sappiamo che coscienza e materia sono due concetti che, pur dovendo coesistere, dispongono di una relativa e reciproca autonomia. Ci siamo serviti di questa verità lapalissiana anche per dimostrare che il marxismo, privilegiando la struttura economica, era finito in un cul-de-sac. Anzi, oggi dovremmo sostenere, guardando i fatti del nostro tempo, che un forte sviluppo della tecnologia raramente comporta un elevato sviluppo della coscienza.

L’essere umano, per restare “umano”, ha un bisogno relativo di tecnologia e un bisogno assoluto di coscienza. Sicché là dove le civiltà hanno puntato maggiormente l’attenzione sulla tecnologia, lì bisogna porre il dubbio riguardo al loro livello di autoconsapevolezza.

Le civiltà dotate di un certo livello di sviluppo tecnologico sembra – agli occhi degli storici – che abbiano lasciato all’umanità grandi conquiste storiche semplicemente perché la civiltà odierna (quella occidentale) punta allo stesso modo di quelle tutti i propri sforzi allo sviluppo della tecnologia. Leggiamo il passato così come noi leggiamo noi stessi e come vorremmo che il passato e il futuro leggessero noi.

In realtà queste civiltà tecnologiche (di ieri e di oggi) il più delle volte hanno assai poco da trasmettere alla coscienza degli uomini; sono civiltà malate di individualismo e socialmente pericolose, proprio perché a motivo della loro forza materiale, che è impiegata soprattutto per scopi militari, esse minacciano l’esistenza di altre civiltà e anche quella della natura.

Sarebbe interessante far capire ai ragazzi un possibile nesso tra “bullismo” e “civiltà”. Come comportarsi quando qualcuno vuole emergere sugli altri utilizzando modi illeciti? La storia sarebbe forse potuta andare diversamente se si fosse impedito a queste forme di “bullismo storico” di nuocere al di fuori dei propri confini geografici, ovvero di cercare oltre questi confini una soluzione alle proprie interne contraddizioni.

È infatti sintomatico che nonostante la loro vantata tecnologia, queste civiltà, basate sull’antagonismo sociale, riescono a sopravvivere solo a condizione di poter depredare le civiltà meno evolute sul piano tecnologico, saccheggiando altresì ogni risorsa naturale disponibile.

L’uomo è un ente di natura e sono anzitutto le leggi di natura che vanno rispettate. Queste leggi non prevedono un impiego massiccio della tecnologia, ma anzitutto il rispetto della coscienza e della libertà degli esseri umani.

Si dovrebbe considerare il fatto, nell’analisi storica delle civiltà, che quando la maggioranza della popolazione di una civiltà arriva ad accettare, o per convinzione o per rassegnazione, la modalità immorale o antidemocratica di gestione del potere politico, il destino della civiltà è praticamente segnato. Cioè non vi sono più possibilità di vero sviluppo.

La popolazione che vive in periferia tenderà a chiedere aiuto alle popolazioni limitrofe (come facevano i romani più indigenti nei confronti dei barbari), e saranno loro che porranno le basi (morali e di un diverso uso della tecnologia) del futuro sviluppo, e i criteri di questo sviluppo saranno sicuramente diversi da quelli precedenti.

Civiltà immorali e antidemocratiche tendono a distruggere i popoli confinanti, per spogliarli dei loro beni, ma tendono anche a creare delle contraddizioni sempre più acute al loro interno. La gestione del potere diventa molto difficoltosa, poiché tende a dominare l’egoismo delle classi e degli individui. Si perde la consapevolezza del bene comune.

Queste civiltà, anche se apparentemente sembrano molto forti, in realtà finiscono coll’autodistruggersi, poiché scatenano conflitti irriducibili non solo al loro esterno ma anche al loro interno. Sono civiltà che, se incontrano una qualche forma di resistenza, inevitabilmente si indeboliscono, proprio perché tutta la loro forza materiale, tecnologica, non è supportata da alcuna risorsa morale; senza peraltro considerare che il loro stesso sviluppo tecnologico può innescare dei meccanismi automatici che ad un certo punto sfuggono al controllo razionale degli uomini (oggi, in tal senso, è facile pensare a situazioni ove è presente il nucleare bellico, ma gli storici farebbero bene a mettere in relazione anche la desertificazione con la deforestazione praticata su vasta scala al tempo dello schiavismo).

È davvero così grave permettere che uno storico faccia politica quando sostiene che, poiché l’uomo è un ente di natura, se la sua tecnologia distrugge l’ambiente, sarà minacciata la sua stessa sopravvivenza come specie? La tecnologia non dovrebbe forse essere composta di materiali facilmente riciclabili dalla natura stessa? Non bisogna forse trovare un criterio umano di usabilità della tecnologia?

La tecnologia deve permettere uno sviluppo sostenibile, cioè equilibrato, delle società democratiche e una riproduzione garantita dei processi naturali. Non può essere usata la tecnologia per sfruttare il lavoro altrui, per saccheggiare risorse naturali, specie se queste non sono rinnovabili. Il criterio di usabilità della tecnologia deve essere, allo stesso tempo, quello dell’utilità sociale e quello della tutela ambientale. Questi due aspetti devono coesistere uno a fianco dell’altro.

Altro che italiani brava gente…..

Spesso in questo blog sono divampate le polemiche riguardo la debolezza o la mancanza di memoria storica di noi italiani, il nostro non voler ammettere le nostre responsabilità pregresse, il cullarci nell’illusione di “italiani brava gente” e di essere abbastanza immuni dal razzismo. Credo quindi valga la pena riportare per intero un articolo (e relativo link) del giornale on line del quale mi occupo da poche settimane. Forse la protagonista del caso esagera, ma è comunque istruttivo non solo ascoltare le sue ragioni, ma anche leggere i commenti davvero bestiali e razzismi che ha raccolto, compreso un articolo di Paolo Granzotto che su Il Giornale arriva a darle della “coprofila”, cioè dell’”amante della merda”. Sempre meglio che essere coprofagi, come ormai sono molti giornalisti e molti giornali italiani, compresa la loro servile memoria.

Buona lettura

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In un lungo e sofferto post sul suo blog Dacia Valent attacca l’ignoranza, il menefreghismo e il razzismo neanche tanto nascosto degli italiani. Un pugno nello stomaco che ha provocato un gran numero di reazioni.

di Noantri

http://www.giornalettismo.com/archives/7617/razzismo-allincontrario/

C’è questa storia del razzismo al contrario che mi ha colpito molto. Perché dopo i fatti di Parma, Milano e Castelvolturno, da qualche giorno sono alcuni italiani a sentirsi discriminati. Almeno è quello che pensano, per esempio, ad Azione Giovani. Il presidente Giovanni Donzelli ha infatti annunciato querela contro Dacia Valent. «Questa signora grazie agli italiani è andata al parlamento europeo, si dovrebbe vergognare. Questi interventi razzisti sono il vero ostacolo per una serena integrazione. Come Azione universitaria – annuncia Donzelliquereleremo per diffamazione la signora Valent, raccogliendo adesioni in tutti gli atenei italiani. Nel frattempo chiediamo al presidente della Repubblica di intervenire personalmente per difendere l’immagine del nostro popolo». Continua a leggere