STRAGI E BOMBARDAMENTI AMERICANI SULLA POPOLAZIONE CIVILE NELLA SICILIA DEL 1943.

LA CULTURA AMERICANA DEL PIU’ FORTE CHE NON DEVE RENDER CONTO A NESSUNO

STRAGI E BOMBARDAMENTI AMERICANI SULLA POPOLAZIONE CIVILE NELLA SICILIA DEL 1943.

di Benito Li Vigni

Non voglio parlarvi ancora del pantano iracheno con i suoi fotogrammi di raccapriccio ai confini dell’inferno ne delle stragi americane di Falluja, di Ishaqi, di Haditha compiute dai marines sulle popolazioni civili. Non voglio parlarvi delle immagini sconvolgenti di corpi bruciati e scarnificati fino all’osso dalle bombe al «fosforo bianco» usate dalle truppe americane contro donne e bambini, né delle «bombe a grappolo» lanciate dai bombardieri Usa sulle aree residenziali di Baghdad e del «triangolo sunnita». Non voglio parlarvi delle violenze oscene nelle prigioni di Abu Ghraib e Guantanamo, sfacciatamente illegali, perpetrate da quel modello di potenza egemone chiamata Stati Uniti che, con le buone o con le cattive, per ragioni che di volta in volta sono economiche o etiche o umanitarie, si considera “il migliore dei mondi possibili”. Voglio riflettere con voi sulla «sindrome della superpotenza» che si arroga il diritto di distruggere il nemico con qualsiasi mezzo, che non accetta di misurarsi alla pari, che vuol far sentire il peso della propria forza militare considerata superiore ad ogni sfida. E in nome di questa superiorità, George W. Bush, in un suo storico discorso del 29 gennaio 2002, ebbe a concludere dicendo che «l’unico modello superstite di progresso umano è quello statunitense». E in nome di questa “cultura del più forte che non deve render conto a nessuno”, ci sono state le stragi in Vietnam, in Iraq, i bombardamenti sulle rispettive popolazioni civili e, perché no, le bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki; crimini contro l’umanità che il mondo occidentale ha finito per accettare come inevitabili. E in Sicilia, nel 1943, le truppe americane compirono altre stragi e bombardarono la popolazione civile con micidiali raid aerei.

SICILIA 1943: LA STRAGE NASCOSTA

Nei giorni immediatamente successivi allo sbarco di Gela del 10 luglio 1943, settantatrè prigionieri italiani furono brutalmente uccisi a sangue freddo da un plotone della 45ª divisione americana mentre venivano portati dietro la prima linea e precisamente nelle località di Biscari (oggi Acate) e Comiso. A ordinare il massacro fu il generale George Smith Patton, comandante della divisione; un cinquantottenne dal linguaggio scurrile e dal carattere violento, che amava esibire al suo cinturone due pistole tipo western con le impugnature in avorio. Subito dopo lo sbarco c’era stato un preciso invito di Patton ai suoi uomini: «Uccidere quei figli di puttana che fingessero di arrendersi». Pochi giorni dopo a Canicattì, a pochi chilometri da Agrigento, i soldati di Patton spararono sulla folla di civili che protestava pacificamente per fame uccidendo una decina di disperati. Il cinismo e la disumanità del generale massacratore non trovarono censori nell’ambito del comando dell’armata Usa in Sicilia grazie alla decisione di Ike Eisenhower che ordinò di metter tutto a tacere per non esporre a rischio il prestigio delle forze americane che, proprio in quei giorni, con il sostegno della mafia, si accingevano a conquistare, senza sparare un colpo, Palermo e il versante occidentale dell’isola. Un mese dopo, durante una ispezione in un ospedale mobile nella capitale siciliana, Patton, mollò uno schiaffo a un soldato americano decretando l’inizio della sua parabola discendente. Non pagò per gli eccidi compiuti ma per un rispetto mancato ad un suo connazionale.

9 MAGGIO 1943: PALERMO MASSACRATA

Il 9 maggio 1943, trecento bombardieri americani volando in formazioni serrate sopra la città di Palermo sganciarono una quantità rilevante di bombe sull’abitato civile provocando molte centinaia di morti innocenti: donne, vecchi, bambini che non avevano nulla a che vedere con la guerra. Quei bombardieri erano venuti per chiudere i conti una volta per tutte con una città già sottoposta a continui devastanti bombardamenti, ma in quel momento disarmata e indifesa in quanto abbandonata dai contingenti militari italiani e tedeschi. Ero, allora, molto giovane. Ricordo che per sei o sette ore caddero migliaia di bombe sulla città e il rifugio antiaereo fu scosso da tremendi sussulti. Oscillarono le sue fondamenta, tremò il pavimento, scricchiolarono le pietre come ossa di morto, urlò di paura la gente. Non ho mai dimenticato la rabbia delle donne, il pallore dei loro volti, le urla disperate, le loro mani minacciose sopra un uomo in camicia nera, che a stento si sottrasse alla loro rabbia. Pareva di udire l’urlo di tutta la città bombardata, massacrata, scoperchiata, terrorizzata, colpita nei quartieri, nelle scuole, nelle fabbriche, nel patrimonio storico, nelle chiese, negli ospedali e, perfino, negli orfanotrofi.

Ricordo la fuga dal rifugio dentro un fiume di gente, nei loro racconti di terrore, nei loro pianti disperati. Si passava fra due file di palazzi distrutti o danneggiati e si vedevano uomini coperti di polvere, le braccia e le mani incrostate di terra, i volti del colore della pietra; cercavano tra le rovine, e già si vedevano i morti dissepolti allineati sulle strade. Ricordo un camion che passava in quel momento. Trasportava decine di corpi di bambini morti, orribilmente straziati, come agnelli scannati; lasciava sulla strada una tremenda scia di sangue. Un vecchio, pallido il volto, le mani magre e tremanti, gli occhi fissi su quei morti innocenti, seguiva quel vascello fantasma. Sulla strada un fiume d’acqua sgorgato dalla rottura dell’acquedotto; acqua segnata da un rivolo di sangue. Alcuni gridarono che era stato colpito un orfanotrofio. Il camion s’arrestò davanti a un cumulo di macerie, il vecchio si piegò con fatica, immerse una mano nell’acqua, disegnò nell’aria il segno della croce e lentamente benedisse quei morti. Ora davanti a noi c’era la stazione ferroviaria, sopra di noi il cielo grigio e cupo, in lontananza una nuvola di fuoco sospesa sul porto.

Di Benito Li Vigni è di prossima pubblicazione il romanzo “I SENTIERI DELLA LUNA – Sicilia 1943: diario di guerra di un adolescente”.

3 commenti
  1. carmelo greco
    carmelo greco says:

    una bella testimonianza. io invece mi sto interessando del bombardamento che la città di palermo subì il 7 gennaio 1943. i morti furono 139 più 59 marinai del c.t. “Bersagliere” affondato mentre era ormeggiato al molo sud (da allora Molo Bersagliere). qualcuno mi può aiutare? cordiali saluti greco carmelo

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