LA STRATEGIA ANGLOAMERICANA DIETRO LE PRIVATIZZAZIONI ITALIANE DEGLI ANNI NOVANTA.
LA STRATEGIA ANGLOAMERICANA DIETRO LE PRIVATIZZAZIONI ITALIANE DEGLI ANNI NOVANTA.
Grandi banche d’affari straniere avrebbero organizzato l’attacco alla lira, per ridurre il costo delle aziende pubbliche da privatizzare.
di Benito Li Vigni
Nel 1992, a trent’anni dalla fine di Enrico Mattei, ucciso mentre stava per spezzare la morsa costruita intorno a lui dal cartello petrolifero dominato da Usa e Gran Bretagna, si scatenò una guerra meno cruenta ma più violenta tra Stati: quella per il prevalere delle rispettive economie. Tutto iniziò poco dopo il crollo del muro di Berlino, quando l’Italia da tempo area di influenza americana, diventò campo di una battaglia subdola e pericolosa combattuta utilizzando tutte le leve possibili: moneta, finanza, produzione. E se un paese si fosse ritrovato in condizione di debolezza, è facile che sarebbe finito per essere colonizzato. In un’intervista rilasciata il 6 dicembre 1996 al quotidiano Il Tempo, l’ex ministro degli Interni Vincenzo Scotti rivelò che nel febbraio 1992 i servizi segreti italiani avevano raccolto informazioni su una imminente destabilizzazione politico-economica dell’Italia, a cui avrebbero concorso forze internazionali e potenti lobby finanziarie estere mobilitate contro l’economia italiana. Il quadro descritto da Scotti corrispondeva a quanto aveva denunciato qualche tempo prima il «Gruppo Solidarietà», emanazione di un movimento politico Usa vicino al partito democratico, con un documento intitolato La strategia angloamericana dietro le privatizzazioni italiane: il saccheggio di un’economia nazionale. In quel documento, inviato ad alcuni organi di stampa, alle forze politiche ed alle istituzioni, si delineava un quadro preoccupante di attacco all’economia italiana nel contesto della cosiddetta «globalizzazione dei mercati», cioè la realizzazione di un unico sistema economico mondiale in cui non vi sarebbe stato più alcun controllo sui movimenti e sulla creazione di capitali.
Un episodio passato inosservato
Che la destabilizzazione fosse in arrivo lo si sapeva da quando l’allora capo della Cia sotto George Bush, William Webster, annunciò che, come conseguenza del crollo del comunismo, l’apparato di spionaggio Usa avrebbe impegnato le sue risorse in una strategia volta a contrastare i rivali economici: l’Europa ed il Giappone. La strategia di contrasto dell’apparato dello spionaggio americano porterà, qualche anno dopo, a molteplici controversie che faranno salire la tensione fra i due continenti, con accuse sempre più frequentemente agitate contro l’Europa. In quel documento del «Gruppo Solidarietà» si riferiva un episodio passato inosservato, e che invece rivestiva una grandissima importanza. «Il 2 giugno 1992 si svolgeva una riunione semisegreta tra i principali esponenti della City, il mondo finanziario londinese, ed i manager pubblici italiani, rappresentanti del governo di allora e personaggi che poi sarebbero diventati ministri. Oggetto di discussione le privatizzazioni. La cosa più grave è che questa riunione si svolse sul panfilo Britannia di proprietà della regina Elisabetta II, la quale fu presente ai colloqui. Il Britannia, dopo avere imbarcato gli ospiti italiani a Civitavecchia, prese il largo e uscì dalle acque territoriali. Avvenne dunque che i potenziali venditori delle aziende da privatizzare (governo e manager pubblici) discutessero di ciò con i potenziali acquirenti, i banchieri londinesi, a casa di questi ultimi».
Le banche d’affari straniere e l’attacco alla lira
Tra quanti, il 2 giugno 1992 complottarono la strategia delle privatizzazioni a bordo del panfilo Britannia spiccava la presenza della Banca Rothschild e di George Soros, famoso per orchestrare con i suoi hedge funds la crisi di monete o di titoli azionari, soprattutto nei paesi del terzo mondo, per poter poi rilevare i capitali a prezzi stracciati in dollari. Soros affermava di essere un idealista che promuove la «società aperta», ovvero lo smantellamento dello Stato nazionale ad opera degli sciacalli della finanziarizzazione dell’economia. Secondo alcune interrogazioni parlamentari esponenti di banche d’affari straniere avrebbero organizzato l’attacco alla lira, per ridurre il costo delle aziende pubbliche da privatizzare. Quanti denunciarono il complotto britannico si chiesero come mai un finanziere d’assalto come George Soros, che aveva fatto tremare le valute di mezzo mondo si interessasse ora dell’Italia. La risposta a questa domanda sta nel memorandum che il «Gruppo Solidarietà» fece circolare in Italia nel giugno 1993, sul vertice segreto che si tenne sul panfilo Britannia al largo di Civitavecchia: in quel vertice si discusse la svendita a prezzi stracciati dell’industria dello Stato italiano.
Privatizzare senza liberalizzare per distruggere la concorrenza ottenendo il massimo profitto
Si mandò in porto la liquidazione dell’Iri, l’affare Telecom Italia, quindi Eni, Enel, Comit eccetera. Operazioni che hanno portato a una rivoluzione culturale nel rapporto tra società e mercato, tra società e risparmiatori e che in assenza di una vera liberalizzazione dei mercati hanno trasformato in molti casi il monopolio dello Stato e la sua posizione dominante, in oligopolio, cioè una situazione di mercato in cui una merce o un servizio sono offerti da un numero ristretto di operatori economici, che sono pertanto in grado di influenzare il mercato stesso, distruggendo la concorrenza. Così la strategia di privatizzazione ha costretto l’ente fondato da Enrico Mattei a concentrarsi esclusivamente nel cosiddetto core business del petrolio e del gas e a svendere le diverse attività nei campi della chimica, del tessile, dell’industria meccanica e del settore alberghiero, con un elevato danno per l’occupazione. Con l’ingresso nella logica del mercato e nell’ottica esclusiva del profitto e della privatizzazione, un’azienda strategica come l’Eni, essenzialmente vitale per lo sviluppo del paese, ha dovuto di fatto abbandonare l’obiettivo principale del suo fondatore: quello di assicurare all’Italia «energia a basso costo», ovvero «l’interesse nazionale». Una Eni diversa dunque con un anzionariato preminentemente estero. Una scelta coerente con la realtà del nostro tempo in cui le ideologie sono state soppiantate dal mercato. Le oligarchie dei poteri economici e finanziari, che vedono nel profitto il «valore assoluto» in una logica utilitaristica tipica del liberal capitalismo, hanno avuto la meglio su Mattei e il suo oil nationalism che, è stato, in definitiva, il tentativo di dare all’Italia e all’Europa un destino che fosse legato alla crescita di quello che al tempo della sua azione si chiamava «terzo mondo». La «globalizzazione dei mercati» è dunque contro i poveri.
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