La facilità con la quale Silvio Berlusconi giura, di solito la propria innocenza, sulla “testa dei miei figli” rimanda al rito arcaico e orrendo dei sacrifici umani, compreso a volte quelli dei propri figli immolati a Dio o agli Dei.
E si riallaccia alla figura altrettanto orrenda del padre padrone, che dei figli può disporre a proprio piacimento anche per quanto riguarda il loro vivere o morire, come fossero merci od oggetti. Ciò che infatti i giuramenti di questo tipo sottendono è che se non si sta dicendo la verità i figli possano per punizione crepare. Eh sì, il significato è questo. Berlusconi, e chi giura come lui, dice che se lui mente allora per punizione gli crepino i figli. Strana punizione, visto che a esserlo sarebbero i figli, e con la vita, non direttamente lui. Sarebbe più corretto, e meno paleolitico-tribale, se dicesse “giuro sulla mia testa”, cioè “potessi crepare io”
La feroce superstizione – o, se preferite, il diverso modo di essere umani – dei nostri antenati vive ancora dentro non poche delle nostre abitudini. Pochi riflettono sul fatto che le parole “sacrificare” e “sacrificato”, vale a dire “fare sacro” ed “essere fatto sacro”, non significano altro che “uccidere” ed “essere ucciso”, sia pure in (pazzesca e blasfema) offerta a Dio o agli Dei. E che il “sacerdote” altri non era se non colui che conduceva la vittima al sacrificio eseguendolo: in altre parole, un assassino di uomini o di animali. Il tanto strombazzato verbo “immolare”, che così spesso si invoca perché ci si “sacrifichi”, appunto!, per una causa ritenuta superiore, magari facendosi oggi saltare nella folla, non significa altro che “spalmare di salsa mola”, dato che la “salsa mola” era quella che i “sacerdoti”, cioè gli assassini di uomini o animali in nome di Dio o degli dei, spalmavano sulle vittime da “sacrificare”, cioè da uccidere.
Vista così, cioè alla luce della Storia, ovvero dei fatti accaduti e non delle chiacchiere e delle esegesi giustificatorie ex post, si vede bene che da certi argomenti, e personaggi, è bene prendere per prudenza almeno un po’ le distanze, senza farsi prendere troppo per mano. Il paradiso, o l’inferno, dovremmo sapercelo costruire con le nostre mani qui sul pianeta Terra, mentre viviamo la vita terrena, anziché rassegnarci che questa sia la famosa “valle di lacrime”, resa tale da noi o da chi ci sfrutta, e che più vi soffriamo più saremo felici nell’asserito Aldilà, magari allietati anche carnalmente dalle vergini Urì. Le donne peraltro non si è mai ben capito chi le allieterà…. Mah.
A parte tutto ciò, è buffo come Bush abbia chiesto scusa per avere il suo addetto a certe cose descritto Berlusconi e l’Italia quali esattamente sono nella percezione dei fatti quotidiani: un personaggio imbarazzante in un Paese corroso dalla corruzione e dai malcostumi dilaganti. Vedremo. Vedremo se questo “errore”, ammesso e non concesso che sia tale, è una la prima di una serie di mosse sulla via di un destino alla Andreotti o alla Craxi del viale del tramonto a pedate giudiziarie o un modo di tirare per le orecchie, in pubblico, il nostro capo del governo per fargli capire che magari può anche essere sputtanato di brutto, rivelando i motivi per cui sarebbe imbarazzante, se non accetterà senza recalcitrare anche eventuali altre brutte avventure dopo quella in Iraq: in Iran, per esempio.
Due parole sulla manifestazione di piazza Navona a Roma, peraltro già dette in un mio commento della puntata precedente. Sabrina Guzzanti e suo fratello sono bravi. Ma in televisione alla Rai come ci sono arrivati? FORSE, grazie a loro padre? E a Cossiga, visto che lo stesso padre Guzzanti ha raccontato della cortese sollecitudine dell’allora capo dello Stato verso sua figlia? E Guzzanti padre a suo tempo in tv, alla Rai, come ci è arrivato col suo “Rosso di sera”, visto che oltretutto televisivamente parlando non rende neppure un po’? Per caso c’entra De Mita, allora potente segretario della Dc e di passata anche capo del governo per 465 giorni oltre che molto amico del direttore di Repubblica dell’epoca, giornale nel quale lavorava Guzzanti padre?
Senza nulla togliere alla bravura dei fratelli Guzzanti, prima di guardare le travi negli occhi altrui bisognerebbe dare una sbirciatina allo specchio, o farsela dare dall’oculista, agli occhi propri. E magari pure a quelli dei propri familiari. Forse, può esserci qualche pagliuzza. Ma non è questo il problema. Credo dovremmo preoccuparci del fatto che sul palco di piazza Navona ci fossero in prima luogo gli esclusi dalla Rai, come in testa a tutti Beppe Grillo in collegamento ectoplasmatico. Non sostengo affatto che Grillo sia fascista. Dico solo che con questo populismo non si va da nessuna parte, se non verso il burrone o verso la riassunzione in Rai, o magari a Mediaset, dei vari Grillo-Guzzanti-&C. Una manfrina simile l’abbiamo già vista con Santoro. Direi che poteva bastare. E aggiungo che non solo la politica ormai è stata sostituita dal sonnifero e dal blablablà televisivo, formato spettacolo e anche avanspettacolo, ma anche buona parte dell’opposizione sociale, cioè noi, si sta acconciando al ruolo di spettatore di spettacolo – altrui, in questo caso in piazza Navona – anziché essere protagonista.
Questa mania del puntare tutto sull’apparire anziché sull’essere, vedasi il successo demenziale delle griffe non solo per il vestiario, ma anche per gli accessori e ormai quasi per l’aria che respiriamo, ci costerà cara. Puntare l’attenzione sulle apparenze anziché sui dati reali e basilari significa diventare sempre meno capaci di vederli e capirli. Sempre meno capaci cioè di vedere i problemi, che certo non si possono affrontare e risolvere se non si è neppure in grado di vederli, di percepirne l’esistenza. Così come non possiamo sapere se una persona è sana o malata, e se è malata guarirla, se ci fermiamo a vedere come è vestita, quali griffe indossa, come e quanto culo mostra, come si trucca, se ha fatto il lifting o il botulino, il laser depilatorio o il trapianto di capelli, se l’abbronzatura è da luce solare o da lampada, se ha il telefonino con o senza telecamera, ecc.
Allo stesso modo ci illudiamo se pretendiamo che il pianeta possa guarire dall’inquinamento costringendo anche i Paesi in via di sviluppo – quelli che cioè dove la gente non muore più in massa di fame, carestie e malattie, ma mangia finalmente quasi quanto noi, come l’India e la Cia – ad abbattere l’inquinamento in percentuali eguali alle nostre. Lo ha già fatto notare in un commento, magari un po’ velenoso, un lettore della puntata precedente. Poiché noi inquiniamo a rotta di collo da molto tempo, è ovvio che l’inquinamento dovremmo ridurlo percentualmente più degli altri. Certo, è più facile a dirsi che a farsi, ma dice una bestialità Bush quando declama che “lo stile di vita americano non è contrattabile”. Gli americani, e gli europei, hanno uno stile di vita che consuma e inquina troppo, troppo più del resto del mondo, a partire dal petrolio che oggi tanto fa gola alla Cina – ma anche all’India, al Brasile, ecc. – perché ne ha bisogno come e più di noi. E’ ovvio che o si “contratta” o si va al disastro, magari con guerre.
Non c’e’ data e non ci sono commenti.
Anita
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Florence
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